Cassazione Penale, Sez. 4, 24 marzo 2022, n. 10323 - E' indiscutibilmente al lavoro il dipendente che, all'esito del completamento di un lavoro già svolto, scende dalla scala che gli ha fornito la ditta, in assenza di presidi di sicurezza, e cade


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 03/12/2021
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Napoli il 3 febbraio 2021 ha integralmente confermato la sentenza, impugnata dall'imputato, con cui il Tribunale di Torre Annunziata il 19 aprile 2019, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto A.C. responsabile del reato di lesioni colpose gravi, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandolo, con le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti all'aggravante, alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento del danno alle parti civili (infortunato e sindacato), da liquidarsi in separato giudizio.

2. Il fatto, in sintesi, come ricostruito concordemente dai giudici di merito. L'operaio R.DP., dipendente della s.r.l. "A.C.", il 17 luglio 2013, mentre, in piedi sopra una scala estensibile a tre tronchi, aveva terminato di dipingere la ringhiera di un balcone posta a circa quattro metri di altezza da terra e stava per scendere (v. p. 4 della sentenza di primo grado), è caduto procurandosi fratture delle vertebre lombari che hanno comportato inabilità per più di un anno, sino all'11 novembre 2014, e postumi di menomazione dell'integrità psicofisica nella percentuale del 68 %.
Si è ritenuto A.C., in qualità di legale rappresentante della s.r.l. "A.C." e di datore di lavoro dell'operaio, oltre che di responsabile del servizio di prevenzione e protezione della società, responsabile dell'infortunio, per avere violato l'art. 122 del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, fornendo all'operaio una scala inadatta ed omettendo di allestire un'adeguata impalcatura o ponteggio o opera provvisionale o precauzioni atte ad eliminare il pericolo di caduta né provvedendo a che un collega fornisse ausilio da terra.
E' anche emerso che il piano operativo di sicurezza dell'azienda "A.C.", datato 16 luglio 2013, prevedeva che per i lavori edilizi da effettuarsi ad altezza superiore a due metri venisse installata un'impalcatura e che l'addetto a tali lavori fosse dotato di imbracatura anticaduta, non presente nel caso di specie.

3. Ricorre, tramite Difensore di fiducia, A.C., affidandosi a due motivi, con i quali lamenta violazione di legge (entrambi i motivi) e vizio di motivazione (il primo motivo).
3.1. Con il primo motivo, in particolare, censura nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla richiesta difensiva di assoluzione.

3.2. Con il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in riferimento alla violazione della disciplina antinfortunistica di cui al d. lgs. n. 81 del 2008.
Rammentato che la sentenza impugnata ha fatto rinvio a quella di primo grado, con particolare riferimento ai temi del comando impartito al dipendente (che non sarebbe stato dato dall'imputato, non presente in cantiere il giorno dell'infortunio) e del tipo di attività da svolgere quel giorno (non tinteggiare ma rimuovere i ponteggi e portare via il materiale), si sottolinea che nel caso di specie la necessità di effettuare un "ritocco" sarebbe emersa solo dopo avere rimosso l'impalcatura e sarebbe stata valutata autonomamente dagli operai, peraltro debitamente formati ed informati, usando allo scopo una scala marcata CE che era in dotazione, oltre al trabatello e ad altra attrezzatura. L'infortunio, peraltro, si sarebbe verificato a lavoro ultimato, a conferma della sicurezza della scala impiegata, mentre l'operaio stava scendendo, come si legge nella sentenza del Tribunale, per avere messo un piede male, cadendo da un'altezza che si assume essere inferiore a tre metri.
Tali aspetti, che - si rammenta - sono stati già sviluppati con l'atto di appello (alle pp. 5-6), non avrebbero però ricevuto adeguata risposta e, anzi, non ne avrebbero ricevuta alcuna, sicchè vi sarebbe una omissione di pronunzia, poiché, essendo la necessità del ritocco emersa solo dopo lo smontaggio dell'impalcatura, effettuata in assenza del datore di lavoro, questi non avrebbe potuto dare il comando perché non in grado di prevedere il futuro.
Si ribadisce che la scala utilizzata era conforme alla normativa di sicurezza C.E., come risulta anche dalla sentenza di primo grado.
In conseguenza, non vi sarebbe nessuna norma cautelare violata e l'infortunio sarebbe dipeso solo dall'avere il dipendente messo un piede in fallo a lavoro eseguito: non si sarebbe, dunque, concretizzato quel rischio che la norma intende prevenire, richiamandosi giurisprudenza stimata pertinente.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata
4. Il P.G. della S.C. nelle proprie conclusioni scritte ex art. 611 cod. proc. pen. del 5 novembre 2021 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

Diritto
 



1. Premesso che la prescrizione del reato maturerà non prima del 20 dicembre 2021, il ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.
2. L'impugnazione si limita a reiterare i medesimi temi già svolti con l'appello e che hanno trovato tutti adeguata e logica risposta nella doppia conforme.
Al riguardo, è appena il caso di rammentare che «È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour Sami, Rv. 277710; nello stesso senso, tra le numerose altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo ed altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Amone ed altri, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708; Sez. 6, n. 12 del 29/10/1996, dep. 1997, Del Vecchio, Rv. 206507;  Sez. 2, n. 11126 del 26/06/1992, Petrosillo ed altro, Rv. 192556).

Peraltro il ricorrente, nel sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio, confonde vistosamente il concetto di ultimazione dello specifico lavoro di pitturazione nell'occasione svolto dall'operaio con quello di ultimazione del lavoro, in senso assoluto, in sicurezza, poiché è indiscutibilmente al lavoro il dipendente che, all'interno del cantiere, all'esito del completamento, rientrante nei propri compiti, di un lavoro già svolto in altezza, scende dalla scala che gli ha fornito la ditta, nell'assenza di presidi di sicurezza, e cadendo si fa male.
Il ricorso, inoltre, in rilevante parte è costruito in fatto.
Infine, non si apprezza alcun travisamento delle risultanze istruttorie, essendo peraltro pacifica la dinamica dell'infortunio, dovendosi al riguardo tenere presente che «In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa de/l'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio» (così Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758; in termini, v. già Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; nello stesso senso cfr., tra le numerose altre, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).

Nel caso di specie non si apprezza in alcun modo la ipotetica forza dimostrativa "scardinante" del tessuto giustificativo del dato probatorio che si assume da parte del ricorrente frainteso o trascurato.

3. Essendo dunque il ricorso inammissibile e non ravvisandosi, ex art. 616 cod. proc. pen., assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima conforme a diritto ed equa, indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 03/12/2021.