Cassazione Penale, Sez. 4, 24 marzo 2022, n. 10335 - Lavoratore travolto da un tronco di pino rotolato dalla scarpata. Ricorso tardivo del datore di lavoro condannato in primo e secondo grado


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 24/02/2022
 

Fatto




1. La Corte d'appello di Firenze, in data 9 luglio 2020, ha parzialmente riformato (dichiarando estinti per prescrizione i reati contravvenzionali contestati) la sentenza, nel resto confermata, con la quale C.P. era stato condannato dal Tribunale di Grosseto, in data 17 gennaio 2019, in relazione al delitto di lesioni personali colpose, a lui contestato come commesso nella sua qualità di amministratore unico della MANNO s.r.l., in danno del suo dipendente H.S.V., in Civitella Paganico - loc. Bagnolo - Lampugnano, in data 24 settembre 2014.
Ha trovato conferma l'assunto accusatorio con il quale si contestava al C.P. di non avere provveduto ad aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi rilevanti ai fini della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; e di avere, in particolare, previsto misure di prevenzione generiche nel documento di valutazione dei rischi con riguardo all'attività di abbattimento di piante e di taglio di legna nei boschi cedui, senza cioé indicare appropriate misure di sicurezza; ciò, secondo l'imputazione, aveva fatto sì che il lavoratore, mentre era impegnato a raccogliere e sistemare la legna ottenuta dal taglio di piante a piccolo fusto, veniva travolto da un grosso tronco di pino, del peso di circa 8 quintali, che si trovava a monte, giacente sulla parete di una scarpata e che, a causa della pendenza, era rotolato a valle.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il C.P., con atto articolato in due motivi di doglianza.
Con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 192, comma 2, cod.proc.pen., con riferimento alla mancanza di sicurezza della catasta di tronchi tagliati, a fronte della quale il ricorrente evidenzia che il rotolamento di un solo tronco rappresenta un evento del tutto accidentale e fortuito, laddove era necessario procedere al taglio delle fronde dai tronchi, indi sistemare i tronchi stessi, ed infine rimuovere le fronde in modo da consentire il passaggio dei mezzi meccanici per l'asportazione dei tronchi.
Con il secondo motivo il deducente lamenta vizio di motivazione con riguardo alle operazioni in corso di svolgimento al momento dell'incidente: ciò che era in corso al momento del sinistro era la ripulitura del terreno dalle ramaglie e dalle fronde recise dai tronchi prima di accatastarli, operazione necessaria in quanto finalizzata a liberare il passaggio per i mezzi meccanici che dovevano asportare i tronchi, nonché prevista dal DVR.


 

Diritto




1. Il ricorso é tardivo, e perciò inammissibile.
Consta in atti che la sentenza impugnata é stata pronunziata dalla Corte di merito in data 9 luglio 2020 e che essa é stata depositata 1'11 settembre 2020, ossia entro il termine di 90 giorni indicato dalla Corte di merito per la redazione della motivazione, a norma dell'art. 544, comma 3, cod.proc.pen .. Il predetto termine di 90 giorni scadeva il 7 ottobre 2020 e, ai fini dell'appello, non rileva il fatto che, durante il relativo decorso, vi fosse il periodo di sospensione feriale, atteso che il termine di cui sopra é spirato in data successiva a tale periodo, e non nel corso dello stesso (cfr. Sez. U, Sentenza n. 7478 del 19/06/1996, Giacomini, Rv. 205335; Sez. 5, Sentenza n. 18328 del 24/02/2017, Clivio, Rv. 269619).
E', dunque, dal 7 ottobre 2020 che decorreva il termine di 45 giorni per proporre impugnazione, ai sensi del combinato disposto dei commi 1, lettera c), e 2, lettera c), dell'art. 585 cod.proc.pen.; termine che, pertanto, scadeva il 21 novembre 2020.
A fronte di ciò, il ricorso é stato redatto, e depositato presso il Tribunale di Grosseto, il 22 dicembre 2020; dunque, dopo che il termine per proporre l'impugnazione era già spirato. Di qui la tardività e la conseguente inammissibilità del ricorso.

2. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 3000,00 in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.
 



dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 febbraio 2022.