Cassazione Penale, Sez. 4, 28 marzo 2022, n. 11034 - Lavoratore intrappolato all'interno della macchina fustellatrice non protetta


 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 14/01/2022
 

 

Fatto



1. Con sentenza emessa il 10.7.2019, la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena e, per il resto, ha confermato la condanna degli imputati in ordine al reato loro ascritto di lesioni colpose, per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.
1.1. La vicenda attiene all'infortunio subito dal lavoratore A.B., dipendente della Paperplast S.a.s., verificatosi in data 17.7.2013. Nella circostanza, l'infortunato era rimasto intrappolato all'interno della macchina fustellatrice, i cui ripari non precludevano l'accesso alle zone pericolose ovvero l'arresto dei movimenti pericolosi, prima che fosse possibile per l'operatore accedere alle zone interessate dai pericoli. Il macchinario in questione era stato ceduto da D.G. (giudicato separatamente), quale legale rappresentante della Pitagora S.r.l., alla ditta individuale Fep Grafica Cartotecnica di E.F., che a sua volta lo aveva ceduto, quale utilizzatore finale, alla Paperlplast S.a.s., di cui P.C. era socio accomandatario, e quindi datore di lavoro del soggetto infortunato.
1.2. I giudici di merito hanno ravvisato la colpa degli imputati nella causazione dell'evento. In estrema sintesi, è stata valorizzata l'insufficiente protezione offerta dai ripari presenti nella macchina rispetto al pericolo di schiacciamento concretizzatosi in occasione dell'infortunio. Tale accadimento avrebbe potuto essere previsto ed evitato non solo in forza della normativa UNI EN 1010-5 dell'anno 2005 ma, soprattutto, sulla base dei principi attinenti alla protezione dai rischi di contatto con organi in movimento, riconducibili alla disposizione contenuta al punto 6.1 dell'allegato V, parte I, del d.lgs. n. 81/2008.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati P.C. ed E.F..

3. L'avv. Mussa, nell'interesse di P.C. e E.F., lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale tentato neppure di spiegare perché le barre, e specificamente quella a "U", presente anche sui lati della piastra superiore, non abbiano svolto la loro funzione, pur essendo state controllate dall'Ispettorato dopo l'infortunio e valutate come perfettamente funzionanti. In sede di appello la difesa aveva offerto una spiegazione al mancato corretto funzionamento della barra ad "U" (legatura della barra nella parte superiore), chiedendo una perizia sul tema. La Corte di merito non ha fornito alcuna risposta in proposito, limitandosi a ribadire che le pedane laterali sensibili avrebbero evitato l'infortunio.

4. l'avv. Portulano, nell'interesse di E.F., lamenta quanto segue.
I) In merito alla posizione di garanzia, deduce che il ricorrente non ha "dato in uso" il macchinario (come richiesto dall'art. 23 d.lgs. n. 81/2008), poiché lo stesso è passato direttamente dalla ditta venditrice Pitagora alla ditta utilizzatrice Paperplast, venendo così meno la posizione soggettiva necessaria per attribuire all'imputato una qualche responsabilità penale nella vicenda. La Corte territoriale non ha risposto adeguatamente sul punto. Non è stata considerata la perizia asseverata Facchinato-Cairoli, attestante che il macchinario sin dal 30.7.2012 si trovava presso la Paperplast, a dimostrazione del fatto che la ditta del E.F. si era limitata, in concreto, a sostenere il costo mensile dei canoni di leasing.
II) In merito ai profili di colpa, rileva che il ricorrente è stato assolto dal Tribunale di Torino in ordine alle violazioni antinfortunistiche inerenti alla vicenda in oggetto. In proposito, è stato ritenuto rispettato il dovere oggettivo di diligenza "affidandosi" alle competenze tecniche del perito ing. Facchinato Cairoli. La sentenza impugnata nulla osserva sul punto. La figura del ricorrente, al più, può nel caso essere equiparata a quella del locatore finanziario del bene, che ha come unico onere quello di accertarsi che il bene locato sia accompagnato da documentazione attestante la conformità del medesimo alla normativa vigente.

5. È stata depositata una memoria scritta dalla difesa della parte civile INAIL con la quale si chiede il rigetto dei ricorsi.

 

Diritto
 



1. Il primo ricorso, proposto dall'avv. Mussa nell'interesse della P.C. e del E.F., è inammissibile, in quanto svolge, peraltro genericamente, censure di merito in ordine alla presunta rilevanza da attribuire, nel caso di specie, al mancato funzionamento delle barre di protezione ad "U".
I ricorrenti, al riguardo, si limitano ad invocare una perizia sul mancato funzionamento delle barre, ma sul punto la Corte territoriale ha fornito adeguata risposta, evidenziando che tale perizia non era necessaria in quanto è stata individuata la colpa (propria del datore di lavoro) di non aver previsto l'installazione di un dispositivo di sicurezza che avrebbe impedito l'evento, costituito dalle pedane laterali sensibili, imposto non solo dalla normativa UNI ma anche dall'allegato V del decreto legislativo n. 81/2008, e di non aver valutato il relativo rischio.
Sotto questo profilo, la decisione impugnata è in linea con l'insegnamento della Suprema Corte secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori macchinari provvisti di blocco automatico atto a impedire di entrare in contatto con le parti in movimento è configurabile anche in relazione alle attrezzature acquistate prima dell'entrata in vigore della "Direttiva Macchine" del 1996, in base al combinato disposto di cui agli artt. 70, comma 2, d.lgs 9 aprile 2008, n. 81, e 6.3. dell'allegato V al predetto decreto legislativo, atteso che quest'ultima disposizione richiama testualmente quella enunciata dall'art. 72, d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, la quale costituisce applicazione del principio generale affermato dalla disposizione di cui all'art. 68 del medesimo testo normativo, che trova applicazione in tutti i casi in cui vengono usate macchine pericolose, e che non è stata superata dal d.P.R. 24 luglio 1996, n . 459 (cfr. Sez. 4, n. 36153 del 22/09/2021, Rv. 281886 - 01).


2. Il secondo ricorso, proposto dall'avv. Portulano nell'interesse del solo E.F., coglie invece nel segno, evidenziando la carenza motivazionale della sentenza impugnata limitatamente alla posizione del medesimo.
Infatti, al di là dell'esatta individuazione del rapporto intercorso fra la ditta del E.F. e quella della P.C., è indubbio che la posizione del primo di concedente/fornitore/finanziatore (del macchinario utilizzato dalla ditta della seconda) è comunque diversa da quella di datore di lavoro dell'infortunato.
In tale prospettiva, è pacifico che nel caso il E.F., per come documentato nel ricorso, aveva ottenuto una perizia stragiudiziale che attestava la regolarità del macchinario dal punto di vista della normativa prevenzionistica; sicché, almeno formalmente, egli aveva adempiuto agli obblighi previsti dall'art. 23 del d.lgs. n. 81/2008, avendo fornito un'attrezzatura di lavoro rispondente "alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro". Ciò ha trovato conferma nell'intervenuta sentenza di assoluzione del medesimo dalla relativa contravvenzione, pronunciata dal Tribunale di Torino il 24.5.2016 (divenuta irrevocabile il 22.11.2016).
Si tratta di aspetti che non sono stati affrontati dalla sentenza impugnata, con specifico riferimento alla posizione del E.F., atteso che in ordine alla sopra indicata pronuncia assolutoria la Corte di appello nulla dice. Di contro, sarebbe stato onere dei giudici del gravame di merito confrontarsi con tale decisione, al fine di valutare compiutamente i profili di responsabilità addebitati al E.F. non quale datore di lavoro, ma quale concedente/fornitore/locatore finanziario del macchinario. A tale riguardo, occorre rammentare che il E.F., non essendo datore di lavoro, non era tenuto a valutare il rischio specifico della macchina fustellatrice all'interno del ciclo di lavoro della ditta della P.C., ma il problema in disamina non è stato minimamente affrontato dalla Corte territoriale, che si è limitata ad equiparare la posizione del E.F. con quella della P.C., non cogliendo la diversità fra le due figure e la conseguente necessità di differenziarle sotto il profilo dei diversi obblighi di protezione a carattere prevenzionistico ad esse riconducibili.

3. A questo punto della trattazione, si deve osservare che il reato oggetto di imputazione è estinto per intervenuta prescrizione. Il fatto-reato risale, infatti, al 17.7.2013, ed il termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi risulta decorso il 17.1.2021, in data successiva a quella di emissione della sentenza impugnata.
Da ciò discende, limitatamente al ricorso proposto dal E.F., i cui motivi di censura non sono inammissibili, ma anzi fondati, che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, agli effetti penali, perché il reato nei confronti del medesimo è estinto per prescrizione. Di contro, non emergono dagli atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità del E.F., ai fini dell'emissione di una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
Non può essere, invece, dichiarata la prescrizione del reato nei confronti della P.C., stante la riscontrata inammissibilità del ricorso proposto nel suo interesse, cui consegue la mancata instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione che preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., tra cui la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266-0:1.).

4. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, agli effetti penali, nei confronti del solo E.F., per intervenuta prescrizione del reato. La stessa sentenza, agli effetti civili, va annullata, sempre nei confronti del solo E.F., con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà anche alla regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Deve essere, invece, dichiarata l'inammissibilità del ricorso proposto dalla P.C., e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo. La ricorrente va, inoltre, condannata a rifondere le spese sostenute dalla parte civile Inail in questo giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

 

P.Q.M.




Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, nei confronti di E.F. perché il reato è estinto per prescrizione.
Annulla la stessa sentenza, agli effetti civili, nei confronti del E.F. con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione fra le parti di questo giudizio di legittimità.
Dichiara inammissibile il ricorso di P.C. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Inail che liquida in euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 14 gennaio 2022