Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 28 marzo 2022, n. 11030 - Caduta dal ponteggio dell'imbarcazione privo di tavola fermapiede e di un corrente del parapetto. Responsabile il datore che non impedisce, anche attraverso un preposto, modifiche imprudenti al cantiere


 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: ESPOSITO ALDO
Data Udienza: 12/10/2021
 

Fatto


1. Con sentenza del Tribunale di Lucca del 10 maggio 2018, P.C. era stata condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi tre e giorni quindici di reclusione in relazione ai reati di cui agli artt . 81, 590, comma terzo, in relazione all'art. 583, n. 1, cod. pen., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, la P.C. quale titolare dell'impresa individuale omonima, armatrice della motonova Athena e datore di lavoro dell'infortunato, in violazione delle disposizioni indicate al successivo capo B), cagionava l'infortunio del lavoratore G.D. (autorizzato dall'armatore a soggiornare nell'imbarcazione durante la sosta dal lavoro), dipendente dell'impresa P.C. che, a causa di una caduta dovuta al fondo reso sdrucciolevole dalla pioggia e dalla concomitante assenza del corrente intermedio e del battitacco dalla "torretta" (costruita con componenti di ponteggio) realizzata per consentire l'accesso all'imbarcazione, cadeva al suolo e riportava un "trauma cranico con frattura frontale ed ematoma extra durale e frattura D3" ed una conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a quaranta giorni (capo A) e 81, 112, comma primo, in relazione all'art. 159, comma 2, lett. b), D. Lvo n. 81 del 2008, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, la P.C. nella qualità suindicata non provvedeva affinché le opere provvisionali fossero allestite a regola d'arte e conservate in efficienza per l'intera durata del lavoro; nello specifico non garantivano che il parapetto posto a circa quattro metri di altezza dal suolo, a protezione del lato maggiore del solaio di sommità della "torretta" di accesso all'imbarcazione Athena fosse mantenuto in efficienza con il corrente intermedio e il battitacco mantenuti in posizione (capo B).
Con sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo B) per intervenuta prescrizione ed ha ridotto a tre mesi di reclusione la pena inflitta a P.C. in relazione al reato di cui al capo A).
Il fatto era ricostruito sulla base di varie testimonianze: il 30 settembre 2013, alle ore 13.30 circa, il G.D. stava scendendo, per mezzo del ponteggio, dalla motonave ove si era recato per prendere una chiave che gli serviva per il lavoro di manutenzione, ma scivolava. Poiché in quel punto il ponteggio era privo della tavola ferma­piede e di un corrente del parapetto, cadeva a terra procurandosi varie fratture. La nave si trovava nel cantiere per alcuni interventi di manutenzione che gli operai eseguivano da terra, ma essi salivano abitualmente a bordo, per prelevare gli attrezzi necessari per il lavoro e perché erano autorizzati ad utilizzare la motonave come loro dimora.

Il ponteggio era stato montato da una diversa ditta che lo aveva consegnato al personale del cantiere, che ne aveva verificato l'idoneità e la completezza: il ponteggio era stato montato secondo le regole, con tutte le tavole, il fermapiede e i parapetti completi. Uno dei testi aveva anche asserito di aver visto quella mattina un membro dell'equipaggio della motonave salire a bordo, usando il ponteggio in modo scorretto, scavalcando tramite questo il parapetto della nave anziché salire dall'apposito accesso laterale. La ASL rilevava che la tavola fermapiede mancante era a terra, ma non presentava danneggiamenti e il corrente mancante sul parapetto era sganciato solo da un lato ed ancora attaccato al ponteggio dall'altro: questi pezzi, quindi, non si erano né sganciati né rotti al momento dell'infortunio, ma erano stati rimossi in modo volontario.
Il giudice, quindi, riteneva che gli stessi marinai avevano rimosso della motonave quelle parti del ponteggio, per poter accedere più facilmente all'interno di questa, convergendo le prove verso tale ricostruzione del fatto, e riteneva perciò responsabile dell'infortunio la P.C., datore di lavoro dell'infortunato, per avere omesso di assicurarsi che il ponteggio venisse mantenuto in perfetta efficienza, pur essendo prevedibile che i propri dipendenti lo usassero in modo improprio o addirittura lo modificassero per ragioni di praticità. Ella avrebbe dovuto, quindi, accertarsi che il ponteggio fosse conforme a tutte le prescrizioni di sicurezza, che venisse mantenuto tale e che il proprio personale lo utilizzasse in modo corretto e non pericoloso.
Il ponteggio risultava montato a regola d'arte. L'omesso controllo da parte della P.C. era la causa dell'infortunio; la rimozione di parti del ponteggio da parte dei suoi dipendenti non poteva essere ritenuta una condotta abnorme, stante la ampia prevedibilità di un comportamento del lavoratore volto a semplificare il proprio lavoro, anche a scapito della sicurezza. La Corte di appello ha ritenuto provato che l'infortunio era avvenuto perché il lavoratore era caduto da un ponteggio non a norma, bensì pericoloso in quanto privo, proprio nel punto di caduta, della tavola fermapiede e di un corrente del parapetto. Il G.D., scivolando, non era fermato da tali elementi di sicurezza ma cadeva a terra, da un'altezza di m. 4 circa.
La P.C. non aveva mai controllato le condizioni del ponteggio stesso né personalmente né tramite un responsabile di cantiere o un preposto. Al contrario, avrebbe dovuto verificare che il ponteggio fosse montato correttamente prima di consentirne l'utilizzo ai suoi dipendenti, che questi ultimi lo usassero in modo regolare e che non lo modificassero: tale omesso controllo comportava la violazione dell'art. 112 D. Lgs. n. 81 del 2008, norma che punisce il non corretto allestimento di detta opera provvisionale e la sua mancata conservazione in efficienza. Quel ponteggio risultava montato il giorno stesso dell'infortunio e collaudato intorno alle ore 12, la P.C. avrebbe dovuto essere presente sul posto, anche a mezzo di un proprio delegato, per controllare che esso fosse stato correttamente montato prima di farvi accedere i propri dipendenti. Stante il brevissimo tempo trascorso tra la sua consegna e l'infortunio, verificatosi alle ore 13.30 dello stesso giorno, ella avrebbe potuto così controllare che nessuno sfilasse il corrente o togliesse la tavola fermapiede.
Appariva credibile che gli stessi dipendenti della P.C. avessero alterato e modificato il ponteggio. Tale condotta non poteva essere qualificata come abnorme, essendo prevedibile che il lavoratore modificasse i presidi di sicurezza per velocizzare o facilitare il proprio lavoro. La circostanza menzionata dalla P.C., secondo cui il G.D., suo dipendenze dal 2005, non aveva mai subito infortuni, non era significativa: proprio la lunga esperienza spesso provoca un falso senso di sicurezza nel lavoratore, che lo spinge a violare le regole cautelari nella convinzione di sapersi comunque tutelare.

2. La P.C., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sen­tenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Manifesta illogicità della motivazione.
Si deduce che non era stata dimostrata la modifica volontaria del ponteggio da parte del lavoratore infortunato e non era stata provata la facilitazione del lavoro derivante dall'eventuale rimozione degli elementi del ponteggio.
Malgrado ciò, il Tribunale affermava che la decisione dei dipendenti di modificare il ponteggio, asportandone temporaneamente alcuni elementi, non era abnorme, ma prevedibile stante la loro connaturale tendenza a semplificare il proprio lavoro. Non era provato che i marinai avessero utilizzato il ponteggio in modo scorretto e che il ponteggio fosse servito per trasportare "macchinari" occorrenti alla lavorazione da svolgere sull'imbarcazione. Il ponteggio doveva essere montato solo per consentire ai marinai di sostare sulla barca durante le pause dalla lavorazione e anche di questo si sarebbe occupato il cantiere. Il ponteggio consisteva in una struttura aerea legata alla barca, il cui accesso era all'interno tramite una scala che "traforava" il centro di ognuno dei tre piani. Non era stato dimostrato che i marinai si dovessero recare sulla barca, passando dalla scala interna al ponteggio, per far scendere un macchinario ingombrante per eseguire la lavorazione allo scafo. Il comportamento abnorme non è prevedibile, per cui il datore di lavoro è esentato da responsabilità. I lavoratori, infatti, non avevano motivo di smontare il ponteggio dalla parte esterna, perché la salita e la discesa avvenivano attraverso il passaggio di scale interne e perché l'unico strumento che dovevano far scendere dall'interno della barca era una chiave inglese, tenuta in tasca.
La prova della non congruità del comportamento di smontare parti essenziali del ponteggio era fornita proprio dalla parte offesa dal reato G.D., il quale, sentito quasi nell'immediatezza del fatto, riferiva: "Mentre il collega stava lavando lo scafo, ero salito sull'imbarcazione per prendere delle chiavi che servivano per rimuovere i piombi dallo scafo". I Giudici di merito non si preoccupavano di verificare la prevedi­bilità ex ante della manovra di demolizione del ponteggio, ma facevano riferimento a ipotizzabili manovre di smontaggio occorrenti a facilitare il compito lavorativo.
Se il lavoratore doveva prendere una chiave che si trovava nella cabina della imbarcazione, e per farlo doveva salire e scendere, passando dalle scale interne al ponteggio, non aveva motivo di smontare il ponteggio. Smontare il ponteggio non avrebbe facilitato il suo compito di fare scendere la chiave inglese a terra. La condotta del lavoratore di smontare il ponteggio, pertanto, era inutile e non preventivabile.
2.2. Contradditorietà della motivazione in relazione alle prove acquisite al processo e, in particolare, alla deposizione resa dal teste M. all'udienza del 22 dicembre 2016 davanti al Tribunale di Lucca.
Si osserva che la Corte di appello di Firenze ha erroneamente sostenuto che il datore di lavoro non aveva verificato né personalmente né tramite un responsabile di cantiere o un preposto le condizioni del ponte. In realtà, il ponteggio era ben costruito e completo di tutti gli elementi al momento della consegna ed era stato sconfessato dalle risultanze probatorie. Il teste M., delegato, preposto al piazzale, aveva controllato la costruzione e la tenuta del ponteggio come sempre, salendovi sopra per verificarne la stabilità. E si trattava di uno dei servizi ricompresi nel prezzo pagato dalla P.C. al cantiere ARPECA. La P.C., infatti, non disponeva di un proprio piazzale, di attrezzatura per issare la barca a terra per pulirne lo scafo o di ponteggi per arrivare a bordo una volta a terra. Questi erano tutti servizi previsti nel contratto stipulato con l'ARPECA. Per questo motivo, il montaggio del ponteggio ed il suo controllo era eseguito da personale specializzato.

 

Diritto
 



1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Al riguardo, assume rilievo la questione prospettata dalla difesa circa il comportamento abnorme dei lavoratori, che sarebbe di natura tale da escludere il nesso di causalità tra la condotta ascritta alla P.C. e l'evento per cui è processo.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695). In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914). Perché possa ritenersi che il comportamento ne9ligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negli­genza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
In linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta e di conseguenza il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute (Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanina, Rv. 236991; Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721).
Si è poi affermato, sempre in tema di rilevanza esclusiva del comportamento del lavoratore, secondo un primo orientamento interpretativo circoscritta a condotte tenute in ambito del tutto eccentrico rispetto alle mansioni affidate e come tali imprevedibili da parte del garante - che può essere considerato imprudente e quindi abnorme ai fini causali anche il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie ma che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte dei lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2008, dep. 2009, Musso, Rv. 275017).
Per concludere sul punto, partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
Nel caso di specie va dunque valutato se la condotta tenuta dalla vittima e dagli altri dipendenti fosse o meno prevedibile per il titolare della società coinvolta nell'attività di lavoro, sì da attribuire efficacia causale alle sue eventuali omissioni.
1.1. Ciò posto sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la soluzione offerta dalla Corte di appello è sufficiente ed adeguata a sostenere la pronuncia di responsabilità dell'imputata, avendo fatto buon governo dei principi sopra riportati.
In ordine alla responsabilità del datore di lavoro, infatti, le opere provvisionali devono essere allestite con buon materiale ed a regola d'arte, proporzionate ed idonee allo scopo; devono essere conservate in efficienza per l'intera durata del lavoro.
Come evidenziato nella sentenza impugnata e non negato dalla stessa imputata, incontrovertibilmente emergeva che il ponteggio non fosse a norma in quanto privo, proprio nel punto di caduta del lavoratore, della tavola fermapiede e di un corrente del parapetto.
Tale dato costituiva il nucleo della compiuta pronuncia di condanna.
La Corte territoriale ha poi logicamente riaffermato la tesi che i dipendenti della P.C. avessero alterato e modificato il ponteggio, in quanto i pezzi mancanti erano stati trovati ancora presenti, la tavola a terra e il corrente sfilato solo da un lato, e non danneggiati: tali condizioni lasciavano ritenere che, dopo l'iniziale montaggio regolare, gli operai li avessero tolti forse per velocizzare la salita e la discesa dal ponteggio stesso o il passaggio di materiali. La vicenda si verificava a breve distanza temporale dall'installazione del ponteggio, per cui si è correttamente sottolineato che la P.C. avrebbe potuto agevolmente presenziare sul posto - o inviarvi un suo delegato - per controllare il regolare svolgimento delle operazioni di montaggio del ponteggio e per impedire l'esecuzione di improprie modifiche da parte dei dipendenti.
Peraltro, si è esclusa la dedotta abnormità del comportamento del dipendente e degli altri lavoratori, in quanto l'impropria modifica attuata non era radicalmente ed ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro e non integrava un fatto assolutamente eccezionale.
A ciò va aggiunto che le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo lo scopo di impedire l'insorgere di pericoli, anche se del tutto eventuali e remoti, in qualsiasi fase del lavoro, sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti derivanti da un suo comportamento colposo e dei quali, conseguentemente, l'imprenditore è chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato apprestamento delle idonee misure protettive, anche in presenza di condotta deviante o imprudente del lavoratore (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 25502 del 19/04/2007, Scanu, Rv. 237007).
Il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di apportare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure il dipendente ne faccia effettivamente uso (Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 47146 del 29/09/2005, Riccio, Rv. 233186; Sez. 4, n. 38850 del 23/06/2005, Minotti, Rv. 232420).
Incombe sul datore di lavoro il compito di vigilare, anche mediante la nomina di un preposto, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni sul lavoro, in quanto il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 10123 del 15/01/2020, Chironna, Rv. 278608; Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960).
Nel caso in esame, emerge la responsabilità del datore di lavoro, in quanto non aveva vigilato e non aveva previsto la presenza sul posto di un preposto o, quantomeno, di un caposquadra, che impedisse modifiche imprudenti al cantiere destinate a compromettere la sicurezza dei lavoratori, come poi effettivamente è accaduto tramite lo smontaggio di alcuni pezzi del ponteggio.

2. Il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce vizio di motivazione in ordine all'analisi della deposizione del teste M., non è proponibile in sede di legittimità. La P.C., infatti, aveva proposto appello per motivi riguardanti esclusivamente l'accertamento del nesso di causalità e il trattamento sanzionatorio, senza mai menzionare il nominativo del M..
Al contrario, con tale motivo di ricorso, la ricorrente formula una specifica doglianza, inerente alla deposizione del predetto soggetto.
Ebbene, non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745). Occorre evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedi­ mento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316).

3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

P. Q. M.
 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 ottobre 2021.