Cassazione Civile, Sez. 6, 30 marzo 2022, n. 10165 - Colpevole caduta dell'operaio edile introdottosi in un'area vietata. La conoscenza o conoscibilità del divieto da parte del lavoratore rende irrilevante stabilire se l'area di cantiere fosse accessibile o meno


 

Presidente: AMENDOLA ADELAIDE Relatore: ROSSETTI MARCO
Data pubblicazione: 30/03/2022
 

Fatto


1. Il 1° ottobre 2003 P.V.T., operaio edile, perse la vita in conseguenza di un infortunio sul lavoro, provocato dal cedimento di un solaio e dalla conseguente precipitazione della vittima. Nel 2004 i prossimi congiunti della vittima (OMISSIS), odierni ricorrenti, convennero dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il datore di lavoro della vittima, P.M., chiedendone la condanna al risarcimento del danno.

2. Il convenuto si costituì eccependo il concorso di colpa della vittima e la compensatio lucri cum damno, per effetto dell'intervento dell'assicuratore sociale; chiese di chiamare in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la Società Cattolica di Assicurazioni.
La società chiamata in causa si costituì aderendo alle difese del proprio assicurato.

3. Con sentenza 11 settembre 2014 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettò la domanda.
 

Ritenne il Tribunale che l'infortunio era avvenuto in un'area nella quale era interdetto l'accesso ai lavoratori, ed alla quale la vittima era acceduta in violazione delle prescrizioni impartite dal datore di lavoro. La sentenza venne appellata dai soccombenti.

4. Con sentenza 15 luglio 2019 n. 3926 la Corte d'appello di Napoli dichiarò inammissibile l'appello.
La Corte d'appello ritenne che gli appellanti:
a) avevano contestato in modo soltanto generico le valutazioni compiute dal Tribunale;
b) non avevano contestato l'attendibilità dei testimoni, ma avevano allegato che la sentenza di primo grado fosse erronea perché l'area dell'infortunio era sì isolata, ma recintata con mezzi facilmente superabili; tuttavia tale censura non era pertinente rispetto al deàsum, in quanto il Tribunale aveva ritenuto che non vi fosse bisogno di una apposita recinzione insormontabile, dal momento che il divieto di accesso a quell'area era stato portato a conoscenza dei dipendenti con mezzi idonei;
c) il gravame si limitava a denunciare principi astratti, che seppur corretti in sé, erano privi di relazione col caso concreto; in particolare gli appellanti si erano limitati ad invocare il principio per cui il datore di lavoro deve non solo dotare i lavoratori delle misure di sicurezza, ma anche vigilare affinché esse vengano concretamente rispettate; tuttavia nel caso di specie gli appellanti non avevano indicato né quali fossero le misure di sicurezza sulla cui mancata adozione il datore di lavoro aveva omesso di vigilare; né avevano censurato l'affermazione del Tribunale secondo cui la condotta della vittima, poiché esorbitante dalle mansioni alla stessa affidate, sollevava il datore di lavoro da qualsiasi responsabilità.

5. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da OMISSIS (il ricorso non indica mai quale sia il rapporto di parentela con quest'ultima), con ricorso fondato su un solo, articolato motivo.
Hanno resistito con controricorso P.M. e la società Cattolica.
 

 

Diritto


1. Con l'unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione di cinque diverse norme del codice di procedura civile, degli articoli 2087 e 2909 c.c., nonché di varie norme speciali.
Nella illustrazione del motivo vengono prospettate varie censure così riassumibili:
a) ha errato la Corte d'appello nel ritenere che il gravame fosse generico;
b) la Corte d'appello ha "violato la legge sostanziale', per avere attribuito la colpa dell'infortunio alla vittima, senza accertare né se fosse stata informata del divieto di accesso all'area dell'infortunio; né se la cintura di sicurezza di cui la vittima era dotata fosse idonea a prevenire l'infortunio;
c) la Corte d'appello aveva "violato la legge processuale" per avere ritenuto generico l'atto d'appello; nel suddetto atto, per contro, gli appellanti avevano censurato la sentenza di primo grado sostenendo che la responsabilità dell'accaduto non poteva essere ascritta interamente alla vittima, perché dalle prove raccolte era emerso che il luogo ove avvenne l'infortunio mortale non era validamente intercluso ed era agevolmente percorribile;
d) la Corte d'appello aveva ritenuto il datore di lavoro esente da responsabilità, sul presupposto che la vittima fosse a conoscenza del divieto di accedere all'area ove avvenne l'infortunio, senza però accertare se il suddetto divieto fosse stato concretamente portato a conoscenza o fosse comunque conoscibile da parte della vittima;
e) la Corte d'appello aveva "stravolto gli oneri di allegazione e prova", per avere rigettato la domanda nonostante il datore di lavoro della vittima non avesse dimostrato di avere completamente assolto il proprio dovere di vigilanza sul rispetto, da parte dei dipendenti, delle misure di sicurezza imposta dalla legge.

2. Tutte le censure sopra riassunte sono inammissibili per la stessa ragione per la quale la Corte partenopea ritenne inammissibile anche l'appello: e cioè la loro estraneità alla ratio decidendi.
La Corte d'appello, infatti, ha così ragionato:
-) il Tribunale ha ritenuto che il datore di lavoro, inserendo nel giornale di cantiere l'ordine di servizio contenente il divieto di accesso all'area dell'infortunio, e recintando quest'ultima con "nastri di cantiere", avesse fatto quanto necessario per rendere edotti in tutti i lavoratori del divieto (p. 7 della sentenza d'appello);
-) i congiunti della vittima hanno impugnato tale statuizione sostenendo che l'area interdetta era comunque facilmente accessibile, perché i nastri di cantiere non impedivano l'ingresso in essa;
-) tale motivo di appello era privo di decisività, perché la conoscenza o conoscibilità del divieto da parte del lavoratore rendeva irrilevante lo stabilire se l'area di cantiere fosse agevolmente accessibile oppure no.
I ricorrenti, incuranti di tale statuizione:, sostengono che il proprio appello era specifico e non generico.
Si tratta di una censura non pertinente rispetto al contenuto oggettivo della sentenza impugnata, sotto vari profili.

2.1. In primo luogo dalla trascrizione dell'atto d'appello, contenuta nelle pagine 3-7 del ricorso per cassazione, emerge che quest'ultimo non conteneva alcuna deduzione volta a censurare l'affermazione - compiuta dal Tribunale - secondo cui la vittima doveva ritenersi in colpa perché, pur conoscendo o potendo conoscere il divieto di accesso ad una certa area di cantiere, vi si era introdotta ugualmente.

2.2. Sebbene il rilievo che precede abbia carattere assorbente, ad abundantiam ritiene utile il Collegio aggiungere che:
-) lo stabilire se un divieto impartito dal datore di lavoro fosse o non fosse conoscibile da tutti i lavoratori è una questione di puro fatto, riservata al giudice di merito, e non sindacabile in sede di legittimità;
-) nessuno "stravolgimento degli oneri di allegazione e prova" è stato compiuto dalla Corte d'appello, dal momento che la domanda di risarcimento del danno proposta dai prossimi congiunti del lavoratore vittima di un infortunio mortale ha natura aquiliana e non contrattuale, con la conseguenza che l'onere di provare la condotta illecita, la natura colposa di essa, il nesso causale e il danno grava sugli attori (ex plurimis, Sez. L - , Sentenza n. 2 del 02/01/2020, Rv. 656405 - 01; Sez. 3 - , Ordinanza n. 907 del 17/01/2018, Rv. 647127 - 01; principio, quest'ultimo, che questa Corte tiene fermo da trent'anni: in tal senso, infatti, si veda già Sez. 3, Sentenza n. 4248 del 07/04/1992, Rv. 476651 - 01).
3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
Le spese sostenute da P.M. andranno liquidate in misura pari al minimo tabellare, avuto riguardo alla oggettiva stringatezza del controricorso.
 

P.Q.M.
 

(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna OMISSIS, in solido, alla rifusione in favore di Cattolica di Assicurazione soc. coop. a d. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 3.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) condanna OMISSIS, in solido, alla rifusione in favore di P.M. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 2051, oltre 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bzs dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 12 gennaio 2022.