Tribunale di Cagliari, Sez. Lav., 18 marzo 2022, n. 2690 - Obbligo vaccinale e possesso del Green Pass




N. Ra.c.l. 2955/2021

Decreto di rigetto n. cronol. 2690/2022 del 18/03/2022
RG n. 2955/2021
 



TRIBUNALE DI CAGLIARI
Sezione Lavoro
Il dott. Giorgio Murru, in funzione di Giudice del Lavoro, a scioglimento della riserva, ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA

(Art. 700 c.p.c.)

 


nella causa in materia di lavoro iscritta al n. 2955 del R.A.C.L. dell'anno 2021 promossa, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., da:
... rappresentata e difesa dall'avvocato ... in virtù di procura speciale come in atti; elettivamente domiciliata presso il suo studio in Cagliari;


RICORRENTE
 


contro



 

.... con sede legale in Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in Bari presso lo studio del professore che la rappresenta e difende, anche disgiuntamente, con l'avvocato ... giusta procura speciale come atti;
 

RESISTENTE


 

FattoDiritto


In data 29 novembre 2021 ... ha proposto un ricorso ex art. 700 c.p.c. col quale, premesso di lavorare alle dipendenze della resistente come Ausiliare addetto alla assistenza di base generico, livello Al del CCNL Cooperative Sociali e di essere stata assegnata al servizio di assistenza domiciliare integrata e assistenza disabili affidato alla datrice di lavoro dal Comune di Cagliari, contesta la legittimità della determinazione datoriale dell'8 ottobre 2021 che ha imposto, quale condizione per proseguire lo svolgimento del suo lavoro il possesso del cd. Green Pass, ottenibile previa vaccinazione anti Covid 19, a partire dal 10 ottobre successivo.
Difatti a partire dal 12 ottobre 2021 le è stato impedito di svolgere la normale attività lavorativa fino a quel momento regolarmente prestata presso il domicilio degli utenti residenti all'interno del territorio comunale di Cagliari.
Tale condizione, che persiste nonostante varie diffide inoltrate alla ... ha determinato non solo la impossibilità di lavorare ma anche di percepire la correlata retribuzione provocando, pertanto, un grave ed irreparabile pregiudizio giacchè tale remunerazione costituisce l'unica fonte di sostentamento per sé e per la figlia minore che convive con lei.
A sostegno delle sue doglianze ha in sintesi articolato quattro motivazioni:
la prima concerne l'esatta portata applicativa dell'art. 4 bis comma 1 del D.L. 44/2021, laddove prevede che Dal 10 ottobre 2021, l'obbligo vaccinale previsto dall'articolo 4, comma 1, si applica altresì a tutti i soggetti, anche esterni, che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo i-bis, incluse le strutture semiresidenziali e le strutture che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità.
Si tratta di una disposizione che riguarda esclusivamente i soggetti che prestano attività lavorativa nelle strutture di cui all'art. 1 - bis, ossia strutture residenziali, socio-assistenziali, sociosanitarie e hospice, meglio ivi dettagliate, ovvero le strutture semiresidenziali e quelle che a qualsiasi titolo ospitano persone in situazione di fragilità.
Dunque, secondo la ricorrente, ambienti di lavoro ben differenti rispetto a quelli ove ella usualmente presta la sua attività i quali coincidono con l'abitazione privata dei beneficiari del servizio di assistenza per i quali ella si occupa delle pulizie della casa senza attività di cura ed assistenza della persona, demandate ad altre figure professionali.
Per tale ragione ha sostenuto che il possesso del Green Pass ottenuto all'esito dell'effettuazione di un tampone antigenico con esito negativo soddisfi le prescrizioni normative che disciplinano la sua condizione lavorativa;
il secondo profilo verte sulla dedotta illegittimità dell'art. 4 bis del D.L. n. 44/2021 e dell'art. 3 comma 6 del D.L. n. 127/2021 e, più in generale, dello strumento del cd. Green Pass per violazione del Regolamento Europeo n. 953/2021, fonte normativa sovraordinata rispetto alla legge ordinaria, e per contrasto con le risoluzioni del Consiglio D'Europa nn. 2361/2021 e 2383/2021, posto che la decisione di non vaccinarsi costituisce la causale alla base della condotta discriminatoria che ha condotto alla sua sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, nonché rispetto alla decisione della CGUE di sospendere l'obbligo di possesso per i ricorrenti di analoga certificazione.
il terzo argomento a sostegno della domanda cautelare verte sulla dedotta illegittimità costituzionale dell'art. 4 bis del D.L. n. 44/2021, come convertito con legge n. 76/2021, e del D.L. 127/2021, come convertito con legge n. 165/2021, per violazione degli art. 4 e 32 della Costituzione stante la irragionevolezza e/o sproporzione della compressione del diritto al lavoro ed alla salute avuto riguardo agli altri interessi alla cui tutela ha inteso far riferimento il legislatore italiano suscettibili di protezione mediante l'imposizione dell'obbligo di effettuazione di un tampone antigenico per i lavoratori interessati.

Al riguardo ha chiesto sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 bis del D.L. n. 44/2021 e dell'art. 3 comma 6 del D.L. n. 127/2021 nei termini meglio precisati in ricorso, il quarto ed ultimo argomento verte sulla illegittimità dell'articolato normativo costituito dalle norme testè richiamate rispetto alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo stante la violazione del diritto al lavoro a cagione del contrasto della normativa anzidetta con gli artt. 8 e 14 della Convenzione.
Tanto premesso, e ritenuta la sussistenza della verosimiglianza del diritto che si assume leso e del pericolo nel ritardo, ha così concluso
l ..Stante il fumus boni iuris ed il periculum in mora indicati nella parte espositiva del presente ricorso, con decreto inaudita altera parte, ovvero, con successiva Ordinanza, per tutti i motivi in ricorso:
In via principale, accertata l'inapplicabilità al caso concreto della normativa di cui gli articoli: 4 bis del decreto legge 44/21, come introdotto dall'art. 2 del Decreta Legge 122/21, successivamente abrogato, ma confermato, negli effetti, atti e provvedimenti dalla Legge 133 del 24 settembre 2021; e dell'art. 3, comma 6° del Decreto Legge 127/2021, come convertito in legge; trattandosi di lavoro domiciliare non prestato in nessuna struttura di cui l'art. 4 bis D.L. 44/2021:
ORDINARE Alla Convenuta/Resistente, ... come in epigrafe generalizzata e rappresentata, in persona del legale rappresentante pro tempore, la reintegrazione a lavoro della lavoratrice, ... come in atti generalizzata EMETTENDO i provvedimenti necessari e sufficienti a dichiarare il diritto della ricorrente di scegliere liberamente se vaccinarsi o meno, senza che ciò comporti la sua collocazione in stato di assenza ingiustificata dal lavoro senza retribuzione o, peggio, il suo licenziamento, so-spendendo e/o annullando i provvedimenti datoriali di messa in stato di assenza ingiustificata senza retribuzione dal lavoro e/o che nel frattempo dovessero eventualmente essere adottati in tal senso in corso di causa, quand'anche peggiorativi, come l'eventuale licenziamento.
2. Per l'effetto, condannare ... come in epigrafe generalizzata e rappresentata, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegra dell'odierna ricorrente nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e la stessa qualifica, ed alla corresponsione di quanto dovutole a titolo di retribuzioni ed oneri accessori, a decorrere dall'intervenuta collocazione in stato di assenza ingiustificata e fino alla data dell'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria. Voglia, altresì, condannare la società convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, dalla data della cessazione dalla retribuzione e fino a quella dell'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro.
3. In via subordinata, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle superiori conclusioni, Disapplicare gli articoli 4 bis del decreto legge 44/21, come introdotto dall'art. 2 del Decreto Legge 122/21, successivamente abrogato, ma confermato, negli effetti, atti e provvedimenti dalla Legge 133 del 24 settembre 2021,· e l'art. 3, comma 6° del Decreto Legge 127/2021, come convertito in legge; per contrasto con il Regolamento UE 953/2021 e per contrasto con le risoluzioni 2361/2021 e 2383/2021 del Consiglio d'Europa, oltre che per contrasto con la Giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e per manifesto contrasto con gli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU);
ORDINANDO Alla Convenuta/Resistente, ...,come in epigrafe generalizzata e rappresentata, in persona del legale rap-presentante pro tempore, la reintegrazione a lavoro della lavoratrice, ... come in atti generalizzata,
EMETTENDO i provvedimenti necessari e sufficienti a dichiarare il diritto della ricorrente di scegliere liberamente se vaccinarsi o meno, senza che ciò comporti la sua collocazione in stato di assenza ingiustificata dal lavoro senza retribuzione o, peggio, il suo licenziamento, so-spendendo e/o annullando i provvedimenti datoriali di messa in stato di assenza, ingiustificata senza retribuzione dal lavoro e/o che nel frattempo dovessero eventualmente essere adottati in tal senso in corso di causa, quand'anche peggiorativi, come l'eventuale licenziamento.
4. Per l'effetto, condannare ..., come in epigrafe generalizzata e rappresentata, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegra dell'odierna ricorrente nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e la stessa qualifica, ed alla corresponsione di quanto dovutole a titolo di retribuzioni ed oneri accessori, a decorrere dall'intervenuta collocazione in stato di assenza ingiustificata e fino alla data dell'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria. Voglia, altresì, condannare la società convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, dalla data della cessazione dalla retribuzione e fino a quella dell'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro.
5. In via di ulteriore subordine, Voglia l'Ill.mo Giudice adito, sollevare questione di legittimità costituzionale sugli articoli 4 bis del decreto legge 44/21, come introdotto dall'art. 2 del Decreto Legge 122/21, successivamente abrogato, ma confermato, negli effetti, atti e provvedimenti dalla Legge 133 del 24 settembre 2021, e sull'art. 3, comma 6° del Decreto Legge 127/2021, come convertito in legge, per violazione degli articoli 1, 3, 4, 32, 35 della Carta Costituzionale, ADOTTANDO i provvedimenti urgenti di giustizia, volti a garantire i diritti costituzionali dell'odierna lavoratrice, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, dal cui esito dipende la domanda dell'odierna lavoratrice di reintegra nel posto di lavoro con diritto allo stipendio e ad ogni altro emolumento.
6. In tutti i casi, con condanna del datore di lavoro, ... come in epigrafe generalizzata e rappresentata, in persona del legale rappresentante, alle spese di lite ed al compenso professionale".
La società resistente, ritualmente costituitasi in giudizio, ha contestato in fatto ed in diritto la fondatezza dell'avverso ricorso del quale ha domandato il rigetto deducendo la piena coerenza della determinazione datoriale in contestazione rispetto al quadro normativo di riferimento.
La causa, istruita mediante produzioni documentali, è stata trattenuta per la decisione all'esito del decorso dei termini concessi alle parti per il deposito di note illustrative il primo ed eventuali repliche il secondo.

 

*


Il ricorso, sulla scorta della sommaria delibazione delle ragioni prospettate dalle parti, non appare fondato.
La disciplina normativa che regola la vicenda in esame è quella contenuta nell'art. 4 bis comma 1 del D.L. n. 44/2021, introdotto dall'art. 2 comma 1 del D.L. n. 122/2021, ed in vigore dal 2 ottobre 2021 con la seguente formulazione: Dal 10 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, l'obbligo vaccinale previsto dall'articolo 4, comma 1, si applica altresì a tutti i soggetti, anche esterni, che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo 1-bis, incluse le strutture semiresidenziali e le strutture che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità.
Si tratta di una disposizione la cui portata applicativa è quanto mai ampia soprattutto per effetto della introduzione dell'inciso finale mediante il quale il legislatore ha inteso evidenziare l'interesse primario dell'ordinamento rispetto alla tutela della persone in condizione di fragilità.
Il testo previgente, infatti, si limitava ad individuare le strutture ove il personale addetto era tenuto a vaccinarsi ( tutti i soggetti anche esterni che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo I-bis) sicchè la innovazione che consente di superare le obiezioni sollevate dalla ... - concerne proprio la presenza, in qualunque contesto ambientale, di soggetti meritevoli, a cagione della precaria condizione psicofisica, della massima protezione.
Se così è appare quantomeno formalistica la tesi attorea che mira ad escludere dalle strutture che ospitano persone in situazione di fragilità il loro domicilio.
A seguire tale ragionamento coloro che vengono supportati (sia con riguardo più diretto alla loro persona che attraverso servizi di ordine meramente materiale) presso la loro abitazione sarebbero meritevoli di un livello di tutela più attenuato sol perché il luogo fisico ove ricevono assistenza e cura non è una casa di cura ovvero una residenza sanitaria o, comunque, un luogo non strettamente privato.
Osserva il Tribunale che la ratio della disciplina in disamina non pare affatto essere quella propugnata in ricorso ove si abbia riguardo al valore preminente tutelato, ossia la salute dei soggetti più deboli, rispetto alla quale il luogo ove essi si materialmente trovano costituisce un mero elemento accidentale.
Né rileva il fatto che la ... sia addetta alle pulizie domestiche atteso che tali compiti comportano la prossimità con i beneficiari ed all'occorrenza anche il contatto con costoro giacchè, in caso di necessità, l'operatore non può certamente esimersi dal prestare assistenza diretta al paziente con conseguente pericolo di esposizione al contagio dell'infezione da SarsCov-2.
Dunque anche la ricorrente, alla luce delle considerazioni che precedono, è interessata dall'obbligo legale di sottoporsi alla vaccinazione, al quale pacificamente si è volontariamente sottratta con conseguente legittima sospensione dal lavoro.
Parimenti infondate appaiono, all'esito della sommaria delibazione propria della presente fase del giudizio, le ulteriori argomentazioni poste a fondamento della domanda.
Violazione del Regolamento Europeo n. 953/2021.
Va osservato che la materia degli obblighi vaccinali non costituisce in sé oggetto di una disciplina dell'Unione, e rispetto ad essa ogni Stato mantiene nell'ordinamento interno ampio margine di autonomia, come si ricava dalla adozione di misure differenziate tra gli Stati membri in merito alla previsione di vaccinazioni obbligatorie.
Secondo la costante giurisprudenza della CGUE i diritti fondamentali garantiti nell'ordinamento giuridico dell'Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione, ma non al di fuori di esse.
Anche la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato, a partire dalla sentenza n. 80 del 2011 sino alla sentenza n. 194 del 2018, che le disposizioni della Carta sono applicabili agli Stati membri solo quando questi agiscono nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione (Corte Cost.le sent. nn. 63/2016 e n. 111/2017).
La Corte di cassazione si è sempre allineata a dette posizioni, affermando ripetutamente l'irrilevanza della Carta dei diritti fondamentali nelle materie non regolate dal diritto UE, al fine di respingere sia istanze di rinvio pregiudiziale, per evidente irrilevanza del richiamo rispetto alla controversia, sia richieste di disapplicazione di norme interne, per presunta contrarietà a diritti e principi riconosciuti nella Carta.
Dunque in tema di obblighi vaccinali l'art. 3 CDFUE non determina alcun obbligo di disapplicazione di una normativa interna che imponga un obbligo di vaccinazione.
Il Regolamento 2021/953/UE approvato dal Parlamento e dal Consiglio il 14 giugno 2021, invocato dalla ricorrente, è intervenuto in materia di libera circolazione (campo di elezione del diritto europeo in quanto pilastro fondamentale nel processo di integrazione e per l'esercizio di altri diritti fondamentali) al fine di agevolare la libera circolazione sicura dei cittadini nell'UE durante la pandemia, ed ha introdotto il certificato Covid digitale quale strumento di facilitazione della libertà di spostarsi entro lo spazio europeo.
Al considerando 6 del Regolamento 2021/953/UE il legislatore dell'Unione ricorda che gli Stati membri possono limitare il diritto fondamentale alla libera circolazione per motivi di sanità pubblica e che tutte le restrizioni alla libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione, attuate per limitare la diffusione del SARS-CoV-2, dovrebbero basarsi su motivi specifici e limitati di interesse pubblico, quale è la tutela della salute pubblica, ed essere applicate conformemente ai principi generali del diritto dell'Unione, quali la proporzionalità e la non discriminazione.
Con riferimento alla discriminazione, il considerando n. 36 dello stesso Regolamento chiarisce che, essendo necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, 'il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l'uso di uno specifico vaccino anti Covid-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l'esercizio del diritto di libera circolazione o per l'utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto'.
Si stabilisce inoltre che 'il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati'.
Alla stregua di tale dato non pare che da tale considerando possa desumersi l'introduzione di un nuovo fattore di discriminazione protetto, quale 'la scelta di non essere vaccinati'.
A parte il rilievo che l'indicazione in questione è contenuta in un 'considerando' che, come chiarito dalla Guida pratica alla redazione degli atti normativi europei, hanno la funzione di motivare le norme contenute nei testi legislativi ma, a differenza degli articoli, 'non contengono enunciati di carattere normativo' - come evidente dall'utilizzo nello stesso testo del condizionale 'dovrebbe' che non ha evidentemente natura precettiva - lo stesso articolato precisa che non rientra nell'oggetto del Regolamento l'introduzione di un diritto o obbligo ad essere vaccinati e che la discriminazione determinata dal possesso o meno di una certificazione di vaccinazione va evitata per l'esercizio del diritto di libera circolazione o per l'utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto.
Così circoscritto l'ambito applicativo della previsione, si ritiene che nulla impedisca agli Stati membri di introdurre, per ragioni di sanità pubblica, condizioni più restrittive, che abbiano una finalità legittima e siano con tale finalità proporzionate, in ambiti che, quale quello di specie, non sono oggetto di disciplina unionale.
Reputa pertanto il giudicante che la norma in esame non contrasti con il Regolamento UE 2021/953.
Si ritiene altresì di dover escludere che l'introduzione dell'obbligo vaccinale in ambito lavorativo di cui all'art. 4 citato possa costituire una discriminazione 'per convinzioni personali' di coloro che sono per scelta contrari alla vaccinazione.
Nel caso del personale sanitario l'obbligo di vaccinazione anti Covid-19, nell'attuale contesto pandemico, appare un elemento essenziale per lo svolgimento di tali compiti di assistenza e cura siccome finalizzato alla tutela della salute dei pazienti ed anche della salute e della sicurezza delle condizioni di lavoro degli stessi lavoratori, e che tale misura risulti ragionevole e proporzionata, in quanto di natura temporanea oltre che sanzionata, in caso di inadempimento, con una mera sospensione del rapporto, coerente con l'essenzialità e temporaneità del requisito.
Quanto alla Risoluzione n. 2361 del 27 gennaio 2021 del Consiglio d'Europa (non vincolante per gli stati membri, al pari della Risoluzione n. 2383 del 23 giugno 2021, ove sono enunciati concetti analoghi alla prima) occorre osservare come la stessa suggerisca una campagna vaccinale non obbligatoria e mira a garantire che nessuno sia discriminato per non essere vaccinato, a causa di potenziali rischi per la salute o per non voler essere vaccinato.
Si tratta tuttavia di indicazioni che confermano come nell'ambito dell'esercizio del margine di apprezzamento riconosciuto a ciascuno Stato ogni limitazione imposta dagli ordinamenti nazionali a coloro che non intendano vaccinarsi contro il Covid-19,va ritenuta compatibile con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo se sussiste una giustificazione oggettiva e ragionevole che ne escluda la natura di discriminazione illegittima ai sensi dell'art. 14 CEDU.
Detta esclusione per la legislazione italiana può individuarsi nelle stesse ragioni innanzi evidenziate in riferimento alla disciplina dell'Unione.
Anche il richiamo alla pronuncia sul ricorso C-711/21 proposto alla CGUE da alcuni parlamentari europei appare non rilevante in questa sede posto che trattasi di questione del tutto differente da quella in disamina siccome correlata alla peculiare funzione politica rappresentativa che costoro svolgono e che verrebbe vulnerata dall'imposizione di obblighi particolarmente stringenti in materia vaccinale.
Violazione degli artt. 1, 3, 4, 32 e 35 della Costituzione.
Anche tale doglianza, alla stregua di una sommaria delibazione delle argomentazioni esposte in ricorso, appare non fondata: sul punto vale richiamare quanto chiarito dal Consiglio di Stato con sentenza n. 7045/2021, del quale si trascrive parte della motivazione che il Tribunale reputa dover condividere anche per le finalità di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c. con riguardo alla vicenda in disamina:
48.1. Non sarebbe possibile correlare un obbligo violativo della libertà di scelta della cura all'impossibilità di esercitare la propria professione, se non violando gli artt. 1, 2 4 e 36 Cost.
48.2. Anche quest'ultima censura è manifestamente infondata e va respinta.
48.3. Correttamente il legislatore infatti, nel comma 1 dell'art. 4, ha stabilito che vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati.
48.4. Questa previsione risponde non solo ad un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, a contatto con il pubblico, obbligo che, secondo una tesi dottrinaria autorevole, già discenderebbe in questa fase di emergenza - ma il tema è discusso - dall'applicazione combinata della regola generale di cui all'art. 2087 e.e. e dalle disposizioni specifiche del d. lgs. n. 81 del 2008, ma anche, come detto, al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente ad un interesse della collettività (art. 32 Cost.).
48.5. Un simile interesse è sicuramente prevalente, nelle attuali condizioni epidemiologiche, sul diritto al lavoro, di cui all'art. 36 Cost., e d'altro canto il legislatore, seguendo un criterio di gradualità, ha stabilito sanzioni proporzionate all'impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni perché, come prevede. il comma 8, il datore di lavoro deve adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio.
48.6. La sospensione dell'attività lavorativa e della retribuzione, peraltro temporanee perché possibili solo fino al 31 dicembre 2021, costituiscono l'extrema ratio ed operano solo quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile sicché, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.
48.7. Anche in questo caso il bilanciamento non appare irragionevole, avuto riguardo alla comparazione degli opposti valori, e qui merita solo ricordare che il Conseil constitutionnel in Francia, pronunciandosi con la decisione n. 824 del 5 agosto 2021 su una analoga legge la quale prevede che al lavoratore, che non presenta il passe sanitaire e non scelga di utilizzare ferie e congedi retribuiti, venga comunicata il giorno stesso la sospensione dal lavoro, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità perché il legislatore ha perseguito l'obiettivo, di valore costituzionale, di proteggere la salute, limitando la propagazione dell'epidemia.
48.8. Analoghe considerazioni non possono che valere a fortiori per il personale sanitario in Italia, con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata.
Violazione degli artt. 8 e 14 della Cedu.
E' da escludersi anche la violazione degli articoli succitati non emergendo profili di indebita lesione di posizioni giuridiche tutelate in capo alla ricorrente.
Valga anche in tal caso il richiamo alla statuizione del giudice amministrativo dianzi citata ove viene chiarito che:
37. È fuor di luogo - al di là della impossibilità, per il giudice nazionale, di disapplicare direttamente una norma nazionale contrastante con la Convenzione - anche il richiamo all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto l'art. 8 della Convenzione, contrariamente a quanto assumono gli appellanti, consente invece l'ingerenza pubblica nella sfera privata e familiare a precise rigorose condizioni, fissate dalla più recente giurisprudenza della Corte EDU intervenuta proprio in materia di vaccinazioni obbligatorie, è che sono ampiamente rispettate, a giudizio del Collegio, nel caso di specie, in quanto essa persegue una finalità di un interesse pubblico, il contenimento del contagio, per la tutela della società democratica, a tutela dei soggetti più fragili, di fronte ad una pandemia di carattere globale e alla minaccia di un virus a trasmissione aerea particolarmente pericoloso per i soggetti più vulnerabili, affetti già da altre malattie o anziani, mediante la somministrazione di un vaccino sulla cui efficacia e sicurezza si registra il generai consensus della comunità scientifica.
37.1. A questo riguardo si deve ricordare che proprio la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella recente e significativa sentenza Vavficka e altri c. Repubblica Ceca dell'8 aprile 2021 emessa dalla Grande Camera in rie. n. 47621/13, n. 3867/14, n. 73094/14, n. 19306/15, n. 19298/15 e n. 43883/1, ha ritenuto che le nove vaccinazioni obbligatorie introdotte nella Repubblica Ceca - in quel caso a tutela dei minori- possono costituire, ai sensi dell'art. 8 della CEDU, una legittima interferenza nel diritto al rispetto della vita privata quando vi sia una base legale, uno scopo legittimo ed esse siano necessarie in una società democratica per garantire, tra l'altro, il principio di solidarietà, che consiste nel!'esigenza di proteggere tutti i membri della società e, in particolare, quelli che sono più vulnerabili, a tutela dei quali si chiede al resto della popolazione di assumersi un "minimo rischio" sotto forma di vaccinazione (v., in particolare, §§ 279 e 306 della sentenza).
37.2. La Corte afferma che l'ingerenza nella vita privata, che l'obbligo vaccinale sicuramente realizza, può giustificarsi ove - oltre ad essere previsto per legge - persegua un obiettivo legittimo (legitimate aim) ai sensi della Convenzione, senz'altro rinvenibile nella protezione della salute collettiva e in particolare di quella di chi si trovi in stato dì particolare vulnerabilità (§ 272). 37.3. Quanto al requisito costituito della necessità della misura in una società democratica (necessity in a democratic society), da valutarsi in concreto accertando l'esistenza di un pressante bisogno sociale (pressing social need), di ragioni rilevanti e sufficienti a supporto della scelta (relevant and sufficient reasons) e del rispetto del principio di proporzionalità (proportionality), la Corte giunge a conclusioni ugualmente positive.
37.4. Il bisogno sociale deriva dalla consapevolezza che la vaccinazione infantile è una misura chiave nelle politiche di salute pubblica (§ 281); la rilevanza e sufficienza delle ragioni è affermata in considerazione della rispondenza della vaccinazione obbligatoria al miglior interesse, nel caso esaminato dalla Corte, dei bambini(§ 288); infine, la proporzionalità, è garantita - oltre che dalle garanzie specifiche del procedimento che presiede alla somministrazione - dalla riconosciuta efficacia e sicurezza dei vaccini, a condizione che ciascuna somministrazione sia preceduta da un'anamnesi individuale e sia previsto un meccanismo compensativo per gli eventuali danni.
37.5. Di particolare rilievo e interesse è il passaggio della sentenza - v., in particolare, § 300 - in cui la Corte giustifica la scelta della Repubblica Ceca di rendere obbligatori taluni vaccini alla luce del generai consensus della comunità scientifica sull'efficacia e sicurezza di questi ultimi («the Court refers once again to the generai consensus aver the vita! importance of this means of protecting populations against diseas that may have severe ejfects on individuai health, and that, in the case of serious outbreaks, may cause disruption to society».
37.6. Non corrisponde dunque al vero la tesi, sostenuta dagli appellanti, che il diritto convenzionale ritenga le vaccinazioni obbligatorie una inammissibile intromissione nel diritto al rispetto della sfera privata e familiare, in violazione dell'art. 8 della Convenzione, poiché anche la più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in armonia con l'orientamento assunto, del resto, dalle Corti costituzionali nazionali, ammette la legittimità delle vaccinazioni obbligatorie secondo principi e criteri, non dissimili da quelli seguiti dalla Corte costituzionale italiana nella propria giurisprudenza, che possono trovare applicazione anche alla vaccinazione qui contestata, che soddisfa tutti i requisiti, rigorosi, richiesti dal diritto convenzionale per giustificare l'intromissione pubblica nella sfera privata e familiare.
Ulteriori profili di illegittimità.
Con riguardo alle ulteriori argomentazioni sviluppate dalla ricorrente nelle note autorizzate rileva il Tribunale che la somministrazione del vaccino è preceduta dall'anamnesi prevaccinale e dalla prestazione del consenso informato curate da un medico talchè l'inoculazione è, correttamente, subordinata ad una apposita prescrizione medica.
Per il resto le ulteriori argomentazioni concernono notizie di stampa ovvero documenti di varia matrice che non risultano dirimenti ai fini decisori, pur se provenienti da fonti in parte qualificate.
Né rileva l'ordinanza resa dal Tribunale di Padova citata, recante la rimessione di vari quesiti alla CGUE posto che concerne il caso, differente da quello della ricorrente, di una infermiera una infermiera professionale già contagiata e guarita con conseguente effetto di "immunizzazione naturale" fatto non ricorrente nel caso di specie.

In conclusione non appare ricorrere il necessario fumus boni iuris, circostanza che esime il Tribunale dall'ulteriore vaglio del pericolo nel ritardo, a questo punto superfluo.
Le spese di lite possono essere opportunamente compensate, tenuto conto della indubbia novità delle questioni affrontate, secondo un orientamento seguito tendenzialmente dalla Sezione.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale, visti gli artt. 669 bis ss. e 700 c.p.c., ogni contraria istanza ed eccezione respinta:
1. Rigetta, siccome infondato, il ricorso cautelare proposto da ....
2. Spese compensate.
Si comunichi.
Cagliari, 18 marzo 2022.
IL GIUDICE
Giorgio Murru