Cassazione Penale, Sez. 4, 07 aprile 2022, n. 13198 - Infortunio durante le operazione di fissaggio di bobine di carta caricate su un autoarticolato a seguito all'improvvisa rottura di una cinghia. Lacune del DVR


Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: ESPOSITO ALDO
Data Udienza: 26/10/2021
 

Fatto




1. Con sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale di Pistoia del 29 marzo 2018, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, ha rideterminato in anni uno di reclusione la pena, già condizionalmente sospesa, inflitta a C.G.L. in relazione al reato di cui all'art. 590, comma secondo, cod. pen., perché, in qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della ditta "Rosso Trasporti di R.G. & C. s.n.c.", per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché in violazione degli artt.:
- 28, comma 2, lett. A), D. Lgs. n. 81 del 2008, in quanto nel Documento di Valutazione dei Rischi (D.V.R.) Aziendale, il datore di lavoro non ha valutato, i rischi a cui sono esposti i lavoratori autisti nelle operazioni di legatura delle bobine di carta condotte sul pianale i camion e stivate ad una altezza da terra di circa 2,80 metri, né tantomeno i rischi a cui sono esposti gli stessi durante l'utilizzo delle cinghie c/o dei sistemi di ancoraggio dei carichi al pianale degli stessi, ed in cui è rimasto involto T.I.P. nel momento in cui si è verificato infortunio;
- 71, comma 4, D. Lgs. n. 81 del 2008, in quanto il datore di lavoro non si è assicurato che i lavoratori (autisti) utilizzassero le cinghie di fissaggio in due parti Marca: LACE S.R.L. Articolo: LAP 15 con ancoraggio a cricchetto e nastro in poliestere ad alta tenacità (PES 100) nella misura di 9+0,45 mt. dotati di "gancio sponda" e "gancio ad uncino", in conformità alle istruzioni di uso riportate nel manuale a corredo delle stesse ovvero adatte solo per effettuare legature del carico al cassone il camion (fissaggio in basso e in diagonale) e non idonee invece per essere utilizzate per la semplice legatura di oggetti tra di loro;
cagionava al dipendente T.I.P. lesioni personali consistite in trauma cranio facciale, fratture delle ossa craniche e del massiccio facciale, frattura composta del capitello radiale, con durata della malattia in giorni 4. In particolare, il T.I.P. nelle operazione di fissaggio di bobine di carta già caricate su un autoarticolato, in seguito all'improvvisa rottura di una cinghia caduta a terra da un'altezza di circa m. 2,80, subendo le predette lesioni; le predette operazioni di legatura e fissaggio delle bobine avvenivano in violazione delle regole cautelari sopra descritte.
L'infortunio si verificava ai danni di un autista dipendente dell'impresa suindicata presso la cartiera Panigada, dove egli si era recato, per caricare sul camion dei rotoli di carta. Sul cassone del camion erano state caricate due file di rotoli, ciascuno dei quali alto cm. 132.
L'altezza della centina del cassone consentiva di impilare due file, una sovrapposta all'altra, ma la seconda fila non risultava ancorata al cassone; occorreva, quindi, fissare i rotoli, per evitare il loro spostamento a causa del movimento del camion. Per far ciò l'autista impiegava delle cinghie dotate di ganci particolari (a 'sponda' e ad uncino'), che non potevano essere unite tra loro in modo efficace e bloccante. Cinghie di quel tipo avrebbero dovuto essere utilizzate per effettuare una fasciatura 'basso­ alto' intorno al materiale: invece l'operazione di fasciatura che il lavoratore stava realizzando prevedeva la legatura delle bobine tra loro, a gruppi di quattro, 'abbracciandole a ciambella', in modo orizzontale.
Gli ispettori della ASL avevano accertato che l'infortunio si era verificato durante questa operazione di legatura, che non poteva essere effettuata stando a terra, per­ ché il lavoratore doveva necessariamente arrivare al secondo livello delle bobine. Il T.I.P. dichiarava che in questa fase la cinghia si era sganciata o strappata ed era caduto a terra da un'altezza di m. 2,8 circa (largamente superiore a quella massima prevista nel corso delle fasi di carico). Il DVR dell'impresa non prevedeva tale tipologia di rischio: misure più precise erano predisposte soltanto dopo l'infortunio al T.I.P.. L'isp. Danesi, il testimone del servizio prevenzione infortuni della ASL, esaminato nel corso del dibattimento. Il T.I.P. era caduto dopo essere salito in piedi sulla prima fila delle bobine di carta stivate sul cassone del camion, e quindi da una altezza cor­ rispondente a m. 2,80 circa da terra, mentre stava eseguendo l'operazione di legatura delle bobine ('a ciambella', in senso orizzontale), a gruppi di quattro, in modo da evitarne il movimento accidentale durante il trasporto (vedi deposizione T.I.P. all'udienza del 20 aprile 2017). Il T.I.P. non sapeva dire se la cinghia si fosse sganciata o strappata e si ricordava soltanto che nel momento in cui faceva forza sulla cinghia per tirarla era improvvisamente caduto a terra. Era possibile che la cinghia a cricchetto, in quanto tale, fosse funzionante e non si fosse affatto strappata, bensì semplicemente sganciata (il T.I.P. non lo metteva in dubbio e l'indicazione, contenuta nell'imputazione, che vi fosse stata la "rottura" della cinghia doveva essere conside­ rata inesatta, ma si trattava di un particolare nella sostanza del tutto irrilevante). Il pericolo derivava dall'operazione stessa di legatura, che era effettuata salendo ad una discreta altezza, senza nessuna protezione (anche perché il cassone del camion era aperto) e addirittura senza disporre neppure di una scala (che l'autista non aveva in dotazione), per di più utilizzando una cinghia certamente non adatta, per la conformazione dei ganci, a quel tipo di legatura.


2. La C.G.L., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo cinque motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge in ordine all'onere della prova ed alla ricostruzione della dinamica del sinistro.
Si rileva che il Collegio giudicante è incorso nell'erronea applicazione delle norme in tema di utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, adottando argomentazioni manifestamente illogiche e contraddittorie.
Il T.I.P. ricostruiva la dinamica del sinistro in termini lacunosi e contraddittori, per cui emergevano dubbi sull'attendibilità delle sue affermazioni. Il T.I.P. riferiva di essersi attivato per legare le bobine con una cinghia e in quel momento cadeva a terra. Non sapeva dire il motivo della caduta, ma ricordava di essere riuscito a raggiungere il capannone della ditta, aprire il portone e chiedere aiuto. Non sapeva riferire se la cinghia, consegnatagli in dotazione ed utilizzata per ancorare le bobine, si fosse strappata, sganciata o danneggiata. Dichiarava di non aver partecipato a corsi di formazione, ma in udienza smentiva detta circostanza.
Inoltre, sebbene il T.I.P. affermasse di essere caduto dal camion in quanto i teloni erano completamente aperti, l'isp. Danesi riferiva che al momento del suo arrivo il camion era chiuso, ma produceva documentazione fotografica, atT.I.P.nte lo stato dei luoghi al momento del sinistro, che ritraeva il camion aperto. Ciò nonostante, nessun teste specificava da chi e quando dette operazioni fossero state eseguite. Le versioni del T.I.P. e dell'isp. Danesi contrastavano in ordine all'altezza della presunta caduta. Il T.I.P., dopo aver affermato che con due file di bobine una sopra l'altra si raggiun­ geva un'altezza di m. 3 circa, dichiarava di essere caduto da un'altezza di circa m. 3/3,5, lasciando intendere - in quanto la dichiarazione era alquanto generica e lacunosa - che sarebbe salito sulla seconda fila di bobine e da lì sarebbe caduto. Il teste Danesi, pur non avendo visto nulla come, specificava che il lavoratore era salito in piedi sulla prima fila di bobine ed era caduto da lì.
2.2. Vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro.
Si osserva che la responsabilità dell'imputata non poteva essere desunta per relationem o basarsi esclusivamente sulla parola della persona offesa. Poiché l'istruttoria lasciava aperti dubbi sulla dinamica del sinistro, si doveva giungere ad un prosciogli­ mento in base alla regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
2.3. Vizio di motivazione in relazione al nesso causale tra la condotta omissiva contestata alla C.G.L. e l'evento caduta e all'elemento soggettivo.
Si rileva che la Corte di appello non ha svolto il giudizio controfattuale.
Come emerso dal DVR della ditta Rosso, che non si limitava a trasportare solo bobine ma diverse tipologie di materiale tra loro differenti, erano stati valutati i rischi derivanti dalle operazioni di ancoraggio al cassone del materiale stesso. A fronte dell'adozione concreta di misure organizzative e procedurali, un'apposita previsione nel DVR non aggiungerebbe nulla rispetto alla garanzia di sicurezza offerta al lavora­ tore. Anche dopo la specifica valutazione del rischio legatura delle bobine attuata dalla ditta Rosso, in ottemperanza alla prescrizione impartita dagli ispettori del la­ voro, le operazioni da eseguire da parte dell'autista erano rimaste esattamente le stesse. Il carico doveva essere ancorato ed assicurato al cassone mediante l'utilizzo delle solite cinghie (il cui utilizzo era stato puntualmente spiegato dai testi della difesa - Ch., M. e A.), all'autista era stato fatto espresso divieto di operare a quote superiori ai 2 mt. di altezza e di salire in piedi sul carico.
La persona offesa era stata regolarmente formata ed informata durante i corsi relativi alle modalità di ancoraggio del carico e a quelle di utilizzo delle cinghie nonché al divieto tassativo di operare al di sopra di m. 2 di altezza.
La Corte di appello ha erroneamente valutato il rapporto di causalità tra omessa previsione del rischio e infortunio, rapportando gli effetti dell'omissione all'evento concretizzatosi. Anche se la ditta Rosso avesse esplicitato nel DVR il rischio derivante dalle operazioni di legatura delle bobine, l'evento si sarebbe verificato comunque, in quanto dipeso da fattori diversi dall'omissione contestata alla C.G.L..
2.4. Violazione dell'art. 20 D. Lgs. n. 81 del 2008.
Si deduce che la Corte territoriale non ha valutato che il lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza, contribuendo insieme al datore di lavoro all'adempimento degli obblighi previsti di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ed utilizzando correttamente le attrezzature di lavoro.
Non si erano verificate le condizioni per ritenere la condotta posta in essere dall'autista al di fuori dell'area di rischio propria della prestazione lavorativa svolta. Solo in questa prospettiva la violazione contestata può fondare la responsabilità del datore di lavoro per omessa considerazione nel DVR dei rischi derivanti dalle operazioni di legatura del carico. Il T.I.P., trovandosi a distanza di oltre 400 km. dalla sede della propria ditta Rosso Trasporti, aveva mantenuto un comportamento abnorme e contrario alle direttive specificamente impartitegli. A tale distanza l'impresa di appartenenza non poteva adottare ulteriori e/o diversi strumenti per prevenirlo.
2.5. Vizio di motivazione in relazione all'art. 131 bis cod. pen..
Si osserva che, per concorde Giurisprudenza, la disciplina di cui all'art. 131 bis cod. pen. trova applicazione anche nella materia delle lesioni connesse alla disciplina della sicurezza sul lavoro.
Alla luce dell'integrale risarcimento del danno subito dalla persona offesa, emergevano i presupposti per riconoscere un concorso di colpa dell'infortunato, per cui era applicabile la causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen..

 

Diritto



1. Il ricorso è inammissibile.

2. I primi due motivi di ricorso sono basati su rilievi generici e manifestamente infondati.

La Corte territoriale ha fornito una ricostruzione completa ed esauriente della vicenda criminosa, basandosi sulle dichiarazioni della persona offesa, del teste M. e dei rilievi dell'ASL e ha efficacemente spiegato le ragioni delle contraddizioni nelle quali era incorsa la persona offesa T.I.P..
La Corte di merito ha logicamente chiarito che la presunta contraddittorietà tra l'iniziale affermazione del T.I.P. di non aver partecipato a corsi di formazione presso l'impresa e la sua successiva rettifica era evidentemente dovuta ad un fraintendimento, anche alla luce dell'assunzione delle prime dichiarazioni soltanto una settimana dopo l'infortunio, quando egli era ancora in ospedale, in condizioni fisiche non ottimali dovute ad un trauma cranio facciale ed a varie fratture, che ne avevano comportato il ricovero, in prognosi riservata, nel reparto di rianimazione dell'ospedale.
Nella sentenza impugnata si è sottolineata, con motivazione lineare ed esauriente, la rilevanza della deposizione del teste M., magazziniere nella cartiera presso la quale l'infortunio si era verificato, il quale, sebbene non avesse assistito all'incidente, confermava di aver sistemato le grosse bobine sul cassone del camion con le medesime modalità operative usualmente attuate dai dipendenti e ciò ovviamente avvalorava l'attendibilità dell'analoga ricostruzione della vicenda effettuata dal T.I.P.. Da ciò si è correttamente ricavata la conferma della dinamica dell'incidente e, cioè, di una caduta avvenuta mentre l'autista stava eseguendo l'operazione di legatura delle bobine, dopo che era salito sopra quelle collocate sul cassone al primo livello.
In ordine agli ulteriori profili di censura, il ricorso non risulta autosufficiente, in quanto la difesa non richiamava né allegava le deposizioni degli altri testi e le prove documentali, che renderebbero inattendibili le dichiarazioni del T.I.P..

2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte fiorentina ha sottolineato, con motivazione congrua e immune da censure, che il DVR dell'impresa Rosso non conteneva indicazioni specifiche in merito all'operazione di carico delle bobine sul camion, ma si limitava a prescrivere di non effettuare operazioni a quote superiori a 2 metri e di verificare l'eventuale scivolosità del pianale; ha chiarito altresì che il DVR non considerava l'evidente difficoltà di compiere un'operazione quale quella descritta dai testimoni rimanendo a terra, considerato anche lo spazio ristretto esistente tra la sommità delle bobine e la copertura del camion.
Risulta, quindi, sostanzialmente incontestato che la C.G.L. non aveva effettuato nessuna valutazione del rischio specifico sul DVR; di tal che la carente formazione del personale sul modo di fronteggiare il rischio derivanti dalle operazioni di sistemazione delle bobine sulle casse del camion assume rilievo ai fini della sua responsabilità, atteso che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, così sopperendo all'omessa previsione anticipata (Sez. 4, n. 4075 del 13/01/2021, Paulicelli, Rv. 280389). Come dichiarato dall'isp. Danesi, dopo l'infortunio e l'intervento della ASL, la valutazione dei rischi era stata rielaborata, aggiornando le procedure proprio con riferimento all'operazione di "legatura del carico al pianale mediante cinghie" nonché la formazione - informazione delle maestranze mediante la previsione di un modello per la verifica del rispetto delle procedure stesse.
La Corte di appello, pertanto, ha legittimamente tratto da tale aggiornamento un'ulteriore conferma delle riscontrate lacune del DVR; ha poi tratto un ulteriore elemento a sostegno della tesi accusatoria dalla circostanza che, contrariamente a quanto indicato dal ricorrente, le procedure aziendali erano state effettivamente modificate e sussisteva un rapporto di causalità tra l'omessa previsione del rischio e l'infortunio stesso, in quanto la tempestiva individuazione di quello specifico rischio avrebbe consentito di approntare misure specifiche, tali da non costringere il lavoratore a salire in quota senza nessuna sicurezza, al fine di bloccare le bobine nelle medesime posizioni nelle quali erano state avvinte dai magazzinieri.

4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Relativamente alle censure riguardanti il comportamento asseritamente abnorme ed esorbitante del dipendente, la Corte territoriale ha rilevato, con motivazione lineare e coerente, che il lavoratore stava espletando un'attività di collocazione di alcune bobine sul camion in base alle modalità in uso nell'azienda, sia pur senza adottare le dovute cautele, per cui tale condotta non poteva essere da sola idonea ad interrompere il nesso causale con l'evento verificatosi.
L'assunto del giudice d'appello è corretto e conforme al principio più volte affermato dalla Corte di legittimità in materia di infortuni sul lavoro, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222); nello stesso senso, si è affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603).
Pertanto, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386).
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di tutela approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Tali disposizioni, infatti, sono dirette a difendere il lavoratore anche da incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli (Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Meda, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497).
Orbene, risulta evidente, dai principi richiamati, non è possibile inquadrare nell'ambito delle condotte connotate da abnormità ed esorbitanza, il comportamento tenuto dal lavoratore infortunato, non essendosi realizzato in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte di merito.

5. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va premesso che, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131 bis, cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma primo, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
A tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, per valutarne la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non po­ tendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, Venezia, Rv. 275940).

Trattandosi, quindi, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all'art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di quei princìpi e la relativa motivazione non presenta evidenti discrasie di ordine logico.
La Corte distrettuale, infatti, ha reputato decisive, ai fini della valutazione del grado di offensività della condotta, il grado della colpa dell'imputata, le conseguenze lesive dell'episodio, l'entità non conoscibile della somma versata dall'imputato a titolo di risarcimento del danno e l'incertezza sull'epoca del versamento.
Si tratta di circostanze indiscutibilmente significative, sotto tutti i profili suindicati, che rientrano tra i parametri espressamente considerati dall'art. 133 cod. pen..

6. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

P. Q. M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26 ottobre 2021.