Cassazione Penale, Sez. 4, 11 aprile 2022, n. 13736 - Ribaltamento del macchinario caricato sull'autocarro. Ciò che contraddistingue il lavoro subordinato da quello autonomo è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del DL


 

Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: VIGNALE LUCIA Data Udienza: 23/03/2022
 

 

Fatto



1. La Corte di appello di Potenza, con sentenza del 18 settembre 2020, ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza emessa dal Tribunale di Potenza il 14 dicembre 2016 confermando l'affermazione della penale responsabilità di P.R. per il reato di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., ma escludendo la recidiva (contestata per errore trattandosi di illecito colposo). La Corte ha confermato la concessione delle attenuanti generiche e ha ridotto ad anni uno e mesi sei di reclusione la pena di anni due di reclusione inflitta in primo grado.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il 24 maggio 2008 a Viggiano. L'infortunato, F.L., fu travolto dal ribaltamento di un macchinario che aveva caricato sul pianale di un autocarro e riportò gravissime lesioni da schiacciamento che ne determinarono la morte. P.R. è accusato, quale datore di lavoro dell'infortunato, di averne causato il decesso non avendo adottato le misure imposte dall'art. 2087 cod. civ. e, in particolare, avendo omesso di utilizzare le necessarie strumentazioni e adottato le opportune cautele nelle operazioni di carico.

3. Il difensore di fiducia dell'imputato ha proposto ricorso articolando tre diversi motivi.
3.1. Col primo motivo, l'esponente lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all'affermazione della responsabilità dell'imputato. Osserva in proposito: che P.R. aveva fornito supporto tecnico e materiale alle operazioni di carico con carrello e gru; che la Corte di appello, ingiustificatamente, ha trascurato questo dato ritenendolo ininfluente rispetto alla specificità dell'evento; che l'infortunio fu reso possibile da un comportamento abnorme e imprevedibile dell'infortunato.
3.2. Col secondo motivo, lamenta la carenza di motivazione quanto alla sussistenza della aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. Il rapporto di lavoro intercorso tra P.R. e F.L. sarebbe stato qualificato, infatti, come rapporto di lavoro di tipo subordinato trascurando le deposizioni testimoniali, dalle quali risulta che si sarebbe trattato di una prestazione occasionale con rimborso delle spese di viaggio.
3.3. Col terzo motivo, sostiene l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale riguardo alla determinazione della pena, sia per quanto riguarda la pena base - la cui entità sarebbe stata determinata ben oltre i minimi edittali senza adeguata motivazione - sia per quanto riguarda la mancata concessione delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulla ritenuta aggravante.

 

Diritto



1. Tutti i motivi di ricorso sono inammissibili.

2. Con motivazione chiara, logica ed esaustiva i giudici di primo e secondo grado hanno spiegato che l'infortunio si verificò dopo che F.L. e i suoi colleghi di lavoro avevano caricato un pesante macchinario sul pianale di un autocarro, operazione per eseguire la quale avevano provveduto ad imbragare il macchinario e a sollevarlo avvalendosi di una gru. In base alla ricostruzione dei fatti accolta nel giudizio di merito, ancorché il macchinario non fosse più imbragato e sostenuto dalla gru, P.R. ordinò a F.L. di modificarne la posizione da verticale a orizzontale così da non avere problemi di altezza durante il trasporto. F.L. cercò di eseguire questa operazione, ma la pesante apparecchiatura si ribaltò su di lui provocandogli gravi lesioni cui conseguì la morte. Sulla base di tale ricostruzione dei fatti, la decisione di spostare il macchinario non più imbragato per collocarlo in posizione orizzontale, lungi dall'essere frutto del comportamento abnorme e imprevedibile dell'infortunato, fu conseguenza di una precisa disposizione, impartita personalmente da P.R..
Il primo motivo di ricorso si limita a contestare la ricostruzione accolta dai giudici di merito fornendo una generica lettura alternativa del compendio probatorio. Chiede perciò di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione. Poiché tale operazione è estranea al giudizio di legittimità, il primo motivo di ricorso è inammissibile (cfr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217).

3. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso che richiede una rivalutazione degli elementi di prova ai fini dell'esclusione della aggravante prevista dall'art. 589, comma 2, cod. pen.
3.1. Sul punto la motivazione delle sentenze di merito - che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale in virtù dei ripetuti richiami che la sentenza d'appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) - non appare né lacunosa né, tanto meno, intrinsecamente contraddittoria. I giudici di merito hanno sottolineato, infatti, con puntuali richiami alle emergenze istruttorie, che P.R. era presente alle operazioni di carico, aveva fornito i mezzi per eseguirle, impartiva disposizioni agli operai e fu proprio lui a chiedere all'infortunato di collocare il macchinario in posizione orizzontale.
3.2. Si deve ricordare allora che il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (già in vigore all'epoca del fatto) definisce il lavoratore, destinatario della tutela antiinfortunistica, come «la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione» e tale definizione, poiché fa leva sullo svolgimento dell'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, è più ampia di quella prevista dalla normativa pregressa nella quale si faceva espresso riferimento al «lavoratore subordinato» (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla «persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro» (art. 2, comma 1, lett. a, D.lgs. n. 626 del 1994) (in tal senso, Sez. 3, n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269637).
3.3. Peraltro, già prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008, la Corte aveva affermato il principio che, ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all'assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell'attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239251). Inoltre, in una pronuncia che, pur risalente, non registra prese di posizioni difformi, la Corte ha qualificato come lavoratori subordinati coloro che, indipendentemente dalla continuità e dall'onerosità del rapporto, abbiano prestano la loro attività fuori del proprio domicilio alle dipendenze e sotto la direzione altrui (Sez. 4, n. 267 del 28/06/1988, Anorini, Rv. 180135).
3.4. Come noto, l'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è individuato nell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Le sentenze di merito, facendo ampio richiamo alle emergenze istruttorie, hanno ritenuto questa situazione esistente nel caso concreto. Hanno sottolineato, inoltre, che, sulla base delle testimonianze dei colleghi di lavoro, la retribuzione di F.L. era stata pattuita sulla durata della giornata lavorativa e non sul valore della prestazione richiesta. Il ricorso contesta questa ricostruzione richiamando le dichiarazioni di un testimone secondo il quale la prestazione era occasionale ed era previsto il rimborso delle spese di viaggio, così proponendo una diversa valorizzazione delle emergenze istruttorie, peraltro inidonea a scardinare la coerenza logico-giuridica della motivazione.
4. È inammissibile anche il terzo motivo, col quale il ricorrente lamenta la carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla quantificazione della pena e al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.
4.1. L'entità della pena è motivata congruamente, anche se sinteticamente, con riferimento al grado elevato della colpa e ai plurimi precedenti; considerazioni cui si aggiunge, nella sentenza di primo grado, la valutazione negativa della condotta tenuta dopo l'incidente (risulta che P.R. omise di assicurare a F.L. un immediato soccorso sanitario e diede incarico a un collega di lavoro di accompagnarlo a casa).
4.2. Le medesime considerazioni sono state ritenute ostative al giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla aggravante di cui all'art. 589, secondo comma, cod. pen. Tale valutazione è adeguatamente motivata, dunque non è sindacabile in sede di legittimità. Invero, per giurisprudenza costante, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio di un potere valutativo riservato al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall'art. 133 cod. pen., senza che occorra un'analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (così, testualmente, Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 - 02; nello stesso senso, Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019, Bonfiglio, Rv. 276509).

5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell'art.616 cod.proc.pen. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00, nonché alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite il cui difensore ha partecipato all'udienza e depositato conclusioni scritte. Alla liquidazione delle spese nella misura indicata in dispositivo si perviene applicando i valori tabellari minimi e operando un aumento del 20% per ciascuna parte ai sensi dell'art. 4 comma 2 d.m. 10 marzo 2014 n. 55.

 

P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili Omissis, liquidate in complessivi euro 4.800,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 23 marzo 2022