Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 07 aprile 2022, n. 13214 - Lavoratore incastrato nel miscelatore con coclea in movimento. Lavori in appalto affidati a ditte esterne e obbligo di cooperazione e coordinamento 


 

 

Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 23/03/2022
 

Fatto


1. Con sentenza emessa il 9/3/2021 la Corte d'Appello di Firenze, assolto per non aver commesso il coimputato T.P., confermava per l'odierno ricorrente S.A. la sentenza con cui il Tribunale di Pisa, in data 18/4/2019, lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione, nella qualità di amministratore della committente BCR srl , per avere cagionato lesioni personali gravissime con violazione della normativa antinfortunistica a D.S..
Nello specifico, allo S.A. è stato imputato il reato p. e p. dagli artt. 113, 590, cod. pen., perché in cooperazione colposa (con il T.P., come detto assolto in appello), quale titolare della B.C.R. SRL, che aveva commissionato alla ERRETI un intervento di manutenzione straordinaria consistito nella riparazione di uno dei due impianti di miscelazione di prodotti chimici in polvere denominato "miscelatore stella", per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché per nella violazione degli artt. 71, co. 4, lett. a) e 71, co. 1, D.lgs. nr. 81/2008, non eseguendo la necessaria manutenzione del microinterruttore di sicurezza della macchina miscelatrice "stella" risultato rotto e in condizioni di per­manente "chiusura" nonché mettendo a disposizione del lavoratore la miscelatrice di cui sopra con un quadro di comando elettrico dotato di pulsanti che per ubica­zione e tipologia non risultavano adeguati sia per il rischio di manovra accidentale, sia per l'assenza di un segnale di avvertimento prima della messa in moto e sia per la collocazione distante dall'operatore che curava l'avviamento della macchina, cagionavano lesioni gravissime a D.S. che, mentre era intento a saldare alcuni elementi metallici del corpo della coclea di miscelazione dei prodotti chimici, dopo avere rimosso la tramoggia di carico precedentemente bloccata con disposi­tivo a leva avvitabile ed essersi introdotto con gli arti inferiori dentro il canale per raggiungere le parti danneggiate della coclea, a causa del malfunzionamento del microinterruttore di sicurezza a leva che avrebbe dovuto garantire il fermo totale del miscelatore e quindi della coclea a tramoggia rimossa, ed invece consentendo al F.C.I., che per errore, premendo il pulsante di avvio del miscelatore, mettesse in moto la coclea che iniziava a ruotare incastrando così e ferendo in varie parti del corpo il D.S., cagionavano lesioni gravissime al predetto D.S. ricoverato presso il Centro Traumatologico di Firenze in prognosi riservata. In Santa Croce sull'Arno (PI), in data 28/3/2013.
Al T.P., assolto in appello, titolare della ERRETI DI T.P. E P. SNC, datore di lavoro di D.S., assunto con con­tratto a tempo determinato con mansioni di operaio meccanico manutentore, oltre al medesimo profilo di colpa generica, era stata contestata l'inosservanza dell'art. 28, co. 2, lett. b), D.lgs. nr. 81/2008, omettendo di valutare i rischi conseguenti alle attività lavorative svolte in appalto adottando specifiche procedure nei lavori da eseguire in luoghi ristretti e a contatto con elementi pericolosi di macchinari soggetti a movimento e per il secondo

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, lo S.A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 521 cod. proc. pen., per la mancata correlazione tra il fatto contestato e il fatto generatore di responsabilità, e in relazione agli artt. 71, CO. 4 lett. a) e 71, CO. 1, D.lgs. 81/2008.
Il ricorrente premette che la motivazione della sentenza di primo grado, ripercorsa pedissequamente dal provvedimento di appello, è divisa in tre parti: la prima ricostruisce l'istruttoria, la seconda individua i fatti generatori dell'infortunio e la terza indica le specifiche responsabilità dei singoli imputati.
Per quanto riguarda la posizione dello S.A., dalla lettura del capo di imputazione, si individuano quali fatti generatori di responsabilità: a. non aver eseguito la necessaria manutenzione del microinterruttore di sicurezza; b. avere messo a disposizione del lavoratore la miscelatrice con un comando elettrico, i cui pulsanti non erano adeguati per il rischio di manovra accidentale, per l'assenza di un segnale di avvertimento prima della messa in moto e per la collocazione distante dall'operatore che avviava la macchina.
I fatti contestati, pertanto, sono riconducibili nella condotta prevista dall'art. 71 del D.lgs 81/2008.
Dalla lettura della motivazione della sentenza di primo grado, invece, emerge che la responsabilità degli imputati viene ricondotta nel titolo di reato previsto dall'art. 26 D.lgs 81/2008, relativo agli obblighi connessi ai contratti di appalto e somministrazione. Sarebbe contestato un difetto di coordinamento, tra le imprese, per gli interventi di protezione e prevenzione al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese.
Del resto, sottolinea il ricorrente, anche nell'esposizione delle valutazioni di cui all'art. 133 cod. pen., il tribunale fa esplicito riferimento alla carenza delle necessarie interlocuzioni che avrebbero dovuto scongiurare l'evento, ravvisando la responsabilità di entrambi gli imputati per difetto di coordinamento. Mentre nessun riferimento viene fatto nella motivazione all'art. 71 del D.lgs 81/2008, relativo agli obblighi del datore di lavoro.
La Corte di appello, rispondendo al motivo di appello proposto sul punto, con motivazione che il ricorrente sostiene essere apodittica, derivante da un'errata lettura del capo di imputazione e dalla semplificazione dell'argomentazione difensiva, afferma che il profilo colposo del difetto di coordinamento tra le due società è stato contestato anche allo S.A..
Tale affermazione, però, non troverebbe alcun riscontro nella lettura del capo di imputazione, né tantomeno in sede istruttoria. Infatti, aggiunge il ricorrente, sarebbe evidente che nel capo di imputazione non sia stata contestata nemmeno implicitamente allo S.A. la violazione del dovere di coordinamento, non solo nell'individuazione della norma contestata, ma anche nella descrizione della condotta. Il capo d'imputazione - prosegue il ricorso - contesta unicamente la cooperazione colposa, individuando le condotte illecite cooperanti nella violazione dell'art. 2 per il T.R. e nell'art. 71 per lo S.A..
Il ricorrente, dopo avere evidenziato l'apparenza e contraddittorietà della motivazione resa dalla Corte distrettuale sul punto, ribadisce la sostanziale diversità tra la condotta contestata e la ravvisata responsabilità.
Il giudice di primo grado, nella consapevolezza che la persona offesa non era dipendente dello S.A. e che l'attività svolta era completamente diversa ed eccentrica rispetto al ciclo produttivo dell'azienda di cui lo stesso è legale rappresentante, ha correttamente ritenuto che il fatto non fosse riconducibile alla condotta prevista dall'art. 71. Mentre, ha poi ritenuto che la responsabilità andasse ravvisata nella mancata fornitura di informazioni sui rischi specifici presenti nell'ambiente e nella cooperazione e coordinamento con la ditta intervenuta per le riparazioni, riconducibile all'ipotesi prevista dall'art. 26.
Vengono richiamati, pertanto, i principi stabiliti da questa Corte in tema di obbligo di correlazione tra il fatto contestato nel decreto di citazione diretta a giudizio e quanto accertato in sentenza, rilevando sia l'eterogeneità del fatto generatore di responsabilità che la lesione del diritto di difesa, nello specifico caso che ci occupa.
Per quanto riguarda tale ultimo profilo si rileva che l'unica difesa ipotizzabile in caso di contestazione sull'idoneità degli strumenti tecnici messi a disposizione dell'infortunato è rappresentata da una consulenza tecnica sul macchinario, mentre se la responsabilità deriva da un difetto di coordinamento e di informazione dovrà concernere il contenuto degli obblighi di coordinamento.
Si precisa che, infatti, nel processo di primo grado la difesa ha fornito una consulenza relativa al rapporto tra l'intervento effettuato e gli elementi riscontrati sulla macchina.
Sostanzialmente, condannando l'odierno ricorrente per un fatto diverso da quello contestato, sarebbe stata impedita una difesa efficace.
Con un secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 590 cod. proc. pen. nonché agli artt. 71 e 26 del D.lgs 81/2008 e l'esclusione di qualsiasi correlazione tra l'infortunio patito dal D.S. e la violazione dello S.A..
Si lamenta l'apoditticità dell'impugnata sentenza anche in relazione al secondo motivo di appello, inerente al difetto di responsabilità con riferimento alle violazioni previste dagli art t. 26 e 71 del D.lgs 81/2008.
La Corte di appello, senza confrontarsi col motivo di appello proposto, avrebbe semplicisticamente escluso che l'art. 71 possa ritenersi norma intesa a tutelare esclusivamente dai rischi propri della macchina e della lavorazione ordinaria. Ma, obietta il ricorrente, in primo luogo l'art. 71 si riferisce esclusivamente al datore di lavoro, che nel presente caso era il T.P., in secondo luogo il microinterruttore di sicurezza era un presidio di sicurezza inutile e inutilizzabile nel contesto di attività produttiva della società dello S.A., in quanto il ciclo di la­vorazione della macchina miscelatrice era completamento al chiuso.
Per l'intervento di manutenzione del macchinario, la competenza sulle modalità attuative del lavoro con l'apertura della macchina e l'organizzazione dell'inter­vento spettavano unicamente al T.P. che doveva compiere la riparazione. Inoltre, non sarebbe stata fornita la prova controfattuale che la manutenzione del microinterruttore avrebbe evitato l'evento.
Viene riportata sul punto la dichiarazione dell'ing. Guiducci sulla necessità di fermare la macchina attraverso l'interruttore generale o quanto meno togliendo la chiave del quadro elettrico.
Si rileva, in relazione agli eventuali presidi di sicurezza per isolare il quadro elettrico, che la decisione di mantenerlo attivo è imputabile esclusivamente al T.P. che decise di mantenere attiva l'aspirazione dei fumi durante le operazioni di saldatura.
Infine, anche il posizionamento di una cartellonistica relativa all'intervento era di competenza della ditta di riparazione che stava effettuando l'intervento di aper­ tura di un macchinario destinato esclusivamente a funzionare chiuso.
Del resto, l'intervento di riparazione introduce un elemento estraneo rispetto alla previsione normativa dell'art. 71 che riguarda esclusivamente le operazioni ordinarie e comunque collaterali all'attività ordinaria. Nel caso specifico si trattava di un intervento per riparare una rottura o un malfunzionamento e tutte le attività da compiersi sulla macchina erano a carico di terzi con esclusione della responsabilità prevista dal richiamato art. 71.
Viene sottolineata la diversa ipotesi di cui si tratta rispetto all'ipotesi di un ordinario intervento di pulizia, che rivestendo la caratteristica di ordinaria attività collaterale può rientrare nella previsione dello stesso art. 71, allorquando la macchina abbia dei difetti.

Si ribadisce che la sentenza, pur riconoscendo che l'infortunio andava ricollegato all'accidentale accensione della macchina, riconduce la responsabilità dello S.A. all'art. 26 per il mancato scambio di informazione, nemmeno verbali.
Il ricorrente riporta integralmente un ampio passo della motivazione di primo grado per evidenziare l'impossibilità di ravvisare in capo allo S.A. alcuna re­sponsabilità per violazione dell'art. 26.
Tale norma, come affermato da questa Corte di legittimità, è destinata a pro­teggere dai rischi di interferenza, ossia che da quei rischi che nascono dall'inserimento di lavoratori in un diverso ciclo produttivo, mentre, nel caso che ci occupa, si trattava di un'attività completamente estranea al ciclo produttivo, avente ad oggetto la riparazione di una macchina.
L'attività di riparazione viene definita distinta dall'ordinaria utilizzazione e operatività del macchinario e tale attività non interferisce in alcun modo con l'attività della ditta presso cui interviene, trattandosi di operazione autonoma ed esterna.
In nessun conto, poi, sarebbe stato tenuto conto che la ditta di riparazioni operava da tempo presso la B.C.R., così come anche il D.S..
Sul punto, vengono riportate le dichiarazioni testimoniali dalle quali emerge che la ditta di riparazioni operava in autonomia i propri interventi e che, nel caso specifico, si trattava di un intervento di routine privo della necessità di informazione specifica. Inoltre, la mattina dell'intervento la ditta si relazionava con il socio Faraoni, escludendo qualsiasi responsabilità dello S.A..
Con un terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 133 cod. pen. per eccesiva onerosità della pena inflitta.
Ci si duole della motivazione con cui la Corte distrettuale ha rigettato la richiesta di rivalutazione della dosimetria della pena, alla luce del bassissimo tasso di rimproverabilità della condotta dello S.A., peraltro, assente al momento dell'infortunio, cagionato dall'attività della ditta di riparazione, senza alcuna prova che la presenza di presidi di sicurezza avrebbero evitato l'evento.
Con un quarto motivo ci si duole della mancata concessione delle attenuanti previste dall'art. 62 bis cod. pen.
Il ricorrente riporta la motivazione resa sul motivo di appello evidenziando che a differenza di quanto ritenuto dalla corte distrettuale, nel verificarsi dell'evento hanno avuto un'efficienza causale esclusiva, o quantomeno maggiori­taria, l'intervento del dipendente e la mancanza di adozione di presidi da parte della ditta di riparazione. Pertanto, lo S.A. ha pacificamente titolo per la con­ cessione delle attenuanti invocate.

Chiede, pertanto, in via principale l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio con assoluzione dell'imputato e in via gradata l'annullamento con rinvio.

3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla l. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla l.15/22) il P.G., che, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
 

Diritto


1. Non essendo tutti i motivi sopra illustrati manifestamente infondati, il Collegio non può che prendere atto dell'intervenuta prescrizione del reato e pertanto annullare senza rinvio la sentenza impugnata per l'estinzione del reato.
Pur tenuto conto di un periodo di sospensione del corso della prescrizione di otto mesi e 14 giorni per il rinvio a causa dell'astensione degli avvocati della prima udienza del primo grado, in data 6/6/2021 risulta infatti decorso per il delitto in imputazione il termine prescrizionale massimo di sette anni e mezzo.
Alla luce delle pronunzie di merito nemmeno si configura, infatti, l'evidenza della prova che consentirebbe l'adozione di una decisione liberatoria nel merito ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen.
In particolare, non sono manifestamente infondati il primo e il quarto motivo di ricorso.

2. I fatti, per quanto rileva in questa sede e per come ricostruiti dalle sentenze di merito, sono i seguenti.
Il 28/3/2013 l'infortunato unitamente al padre di T.R., originario coimputato, egli pure amministratore della snc Erreti officina meccanica esercente attività di riparazioni meccaniche contro terzi, si erano recati presso la società dello S.A. per riparare un macchinario denominato miscelatrice Stella. Si trattava di una macchina con la quale venivano mescolati fra di loro dei componenti dei prodotti conciari e che era composta da una grossa tramoggia a forma di imbuto attraverso la quale i prodotti venivano versati nella sottostante coclea. Quest'ultima consisteva in un grosso recipiente, nel quale ruotavano su un asse centrale alcune fruste metalliche a spirale che, con loro movimento, provocavano la miscelazione del prodotto.
Il dispositivo di sicurezza del macchinario era rappresentato da un microinterruttore, che avrebbe dovuto assicurare l'automatica interruzione del movimento della frusta ogni qual volta la tramoggia fosse stata rimossa dalla sua sede, e quindi fosse aperto il varco verso la sottostante coclea.

Il teste TA., funzionario Asl del servizio prevenzione infortuni sul lavoro, ha riferito che nel corso del suo intervento avvenuto lo stesso giorno dell' infortunio, accertò che la leva che avrebbe dovuto garantire il funzionamento del microinterruttore era spezzata, così che l'organo in movimento restava in funzione anche in caso di rimozione della tramoggia.
Prima di procedere alla riparazione il T.R. e l'operaio D.S. avevano preso contatti con un operaio della committente, tale F.C.I., che indicava loro la macchina da riparare e disattivava il collegamento elettrico della macchina stessa, premendo il solo pulsante rosso denominato "arresto miscelatore"; rimaneva invece attivato ed in funzione l'aspiratore collegato alla medesima macchina da riparare, che secondo il T.P., doveva servire per eliminare i fumi della saldatura. Restava, altresì, in funzione un'altra miscelatrice del tipo Stella alimentata dallo stesso quadro elettrico con pulsanti prossimi a quelli della prima.
L'intero quadro di alimentazione delle due miscelatrici -come raffigurato in atti- era composto da quattro coppie di pulsanti; ogni coppia era formata da uno verde di accensione uno rosso di arresto: la prima e la seconda coppia alimenta­vano il motore e l'aspiratore del primo macchinario, la terza e quarta coppia alimentavano rispettivamente gli stessi organi del secondo macchinario.
I due operai si mettevano al lavoro per saldare una delle fruste e, dapprima, nella coclea scendeva il T.P., successivamente toccava proseguire al D.S.; ma mentre questi stava saldando la frusta all'interno della coclea, il lavoratore F.C.I., come da lui stesso ricordato in udienza, essendo iniziata la pausa pranzo, disattivava i collegamenti elettrici di tutti i macchinari dell'azienda, nel fare ciò per mera sbadataggine premeva per errore il pulsante verde di ascensione della miscelatrice mettendo così in funzione la frusta all'interno della coclea dove si trovava il lavoratore D.S. il quale rimaneva stritolato dagli organi in rotazione riportando numerose fratture scomposte alla calotta cranica e in più punti al femore sinistro, alla diafisi femorale destra e altre gravi lesioni che ne determina­ vano il ricovero con prognosi riservata.
Il D.S. che aveva riportato lesioni gravissime era stato risarcito dall'INAIL come da quietanza prodotta in udienza.

3. Dunque, il primo profilo di doglianza non è manifestamente infondato.
Effettivamente, nella scarna motivazione del Tribunale di Pisa a sostegno dell'affermata responsabilità di entrambi gli imputati, a pag. 5 si legge: "In effetti, nel caso di specie entrambi gli imputati sono in colpa per avere totalmente inadempiuto agli obblighi di informazione e coordinamento reciproco che gravavano su di loro. L'art. 26 del D. Lvo 9.4.2008 n° 81 prescrive che nel caso in cui debbano essere svolti all'interno di una azienda lavori in appalto affidati a ditte esterne, l'imprenditore committente è tenuto a fornire all'esecutore "dettagliate informazioni sui rischi specifici presenti nell'ambiente" (comma I lett. b) ed entrambi debbono cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione (comma 2 lett. a) e coordinare gli interventi di protezione e prevenzione, anche informandosi reciprocamente al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle rispettive imprese (comma 2 lett. b). Nulla di tutto questo avvenne nel caso di specie. Come infatti emerge dalle dichiarazioni del T.P. e dello F.C.I., mancò qualsiasi preventivo coordinamento tra gli imprenditori interessati, e l'unica interlocuzione che precedette l'inizio del lavoro di riparazione fu quella che avvenne (non tra il committente e l'esecutore, ma) tra il preposto T.R. e l'operaio semplice F.C.I.. Non fu concordato alcun protocollo operativo, nemmeno verbale, e in particolare non fu stabilito chi avrebbe dovuto mettere in sicurezza l'impianto (se la Erreti o la BCR) e con quali accorgimenti antinfortunistici (se azionando e bloccando in posizione di distacco l'interruttore rotativo, oppure apponendo un cartello ammonitore, o al limite facendo affidamento sul funzionamento del microinterruttore collegato alla tramoggia, sempre che questo risultasse efficiente, quale in concreto non era)".
E -prosegue la medesima sentenza: "All'ombra di questo crasso difetto di coordinamento, l'intervento di riparazione avvenne con modalità improvvisate e quasi suicide. Basti considerare che: 1) per scelta consapevole di entrambi gli addetti (T.P. e F.C.I.) il quadro elettrico generale rimase connesso mentre la riparazione era in corso onde permettere il contemporaneo funzionamento della seconda macchina miscelatrice ( esempio eclatante di interferenza tra l'attività la­vorativa del committente e quella dell'esecutore); 2) la perdurante alimentazione elettrica dell'impianto in riparazione era resa evidente dal fatto che, per scelta del T.P., l'aspiratore fu lasciato in funzione onde evitare i "fumi della saldatura"; 3) nessuno si preoccupò di verificare se il microinterruttore collegato alla tramoggia (peraltro visibilmente incrostato e rotto) fosse o meno funzionante così da impedire l'involontario avviamento dell'organo rotante; 4) non fu preso in esame, né fu adottato, alcun accorgimento (dal ricorso all'interruttore rotativo all'utilizzo di cartelli ammonitori) atto ad impedire che qualcuno, per disattenzione o per errore, mettesse in funzione la coclea all'interno della quale si trovava lo sventurato D.S. . In altre parole, mancarono totalmente quelle reciproche inter­locuzioni organizzative che avrebbero dovuto garantire la sicurezza dell'intervento di manutenzione".
Non è infondata, allora, l'affermazione del ricorrente secondo cui il profilo di colpa unico che la sentenza di condanna in primo grado riconosce a carico dei due imputati era la violazione dei doveri di coordinamento di cui all'art. 26 D.lgs 81/08.

Su tale aspetto si era incentrato il primo motivo del gravame del merito (cfr. pag. 3 e ss. dell'atto di appello del 27/6/2019 a firma dell'Avv. Maurizio Bonistalli). A quel motivo la Corte territoriale risponde che: "Occorre anzitutto partire dalla constatazione che la sentenza individua i profili colposi rilevanti, tanto nel difetto di coordinamento (previa informazione dei rischi) e nell'assenza di adozione di provvedimenti congiunti di contingente adozione in relazione alla lavorazione da eseguire, addebitandoli ad entrambi gli imputati, quanto nella mancata efficienza del sistema di sicurezza di blocco apposto alla macchina".
La Corte fiorentina ritiene, quanto al primo punto dell'appello vertente sulla presunta mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, che, come risulta dalla semplice lettura del testo del capo di imputazione, il profilo colposo del difetto di coordinamento tra le due società è ampiamente contestato in fatto anche allo S.A..
Viene ritenuto, invece, costituire pura affermazione difensiva, non riscontra­ bile nella motivazione della sentenza, la premessa da cui parte la Difesa, secondo la quale l'infortunio non sarebbe stato ritenuto causalmente correlato alla rottura del meccanismo di blocco la cui mancata efficienza era invece stata oggetto di contestazione formale ex art. 71 D.lgs 81/08.
Insomma, per la Corte territoriale entrambe le premesse su cui è costruito il primo punto del gravame nel merito sarebbero fallaci. Ciò in quanto si ritiene che la sentenza di primo grado consideri l'omesso mantenimento in efficienza del sistema di blocco e il difetto di coordinamento di sicurezza, entrambe concause dell'evento.
In definitiva, la sentenza impugnata ribadisce che allo S.A. sono state ben contestate entrambe le violazioni che poi sono state ritenute provate e causalmente rilevanti e quindi egli è stato condannato in relazione alla violazione di doveri antinfortunistici propri che erano stati espressamente e compiutamente contestati. La patente violazione dei doveri normativamente previsti dall'art. 71 dpr 81/08 - si legge ancora in sentenza- consistente nell' omesso mantenimento in efficienza del meccanismo di sicurezza del blocco automatico del funzionamento della macchina - rilevano i giudici di appello- è superata dalla Difesa con la disinvolta argomentazione per la quale ciò non rientrerebbe nei suoi compiti visto che secondo lui il blocco di sicurezza sarebbe stato inutile per i suoi operai dato che le lavorazioni dovevano svolgersi solo quando la tramoggia era in sede.

4. Orbene, proprio l'attenta lettura del capo d'imputazione, cui rimanda la sentenza impugnata, consente di verificare la non manifesta infondatezza della doglianza del ricorrente secondo cui non vi è contestazione, in imputazione, né in fatto né in diritto, dell'art. 26 D.lgs 81/08.

Nell'imputazione, oltre a profili di colpa generica, viene addebitata ad entrambi gli allora imputati l'inosservanza della norma sulla valutazione del rischio (art. 28 co. 2 D.lgs 81/08) e al solo odierno ricorrente S.A. quella di cui all'art. 71 co. 1 D.lgs 81/08 per la mancata corretta tenuta in opera e manutenzione dei macchinari. Come si è visto in precedenza, però, non v'è traccia nella sentenza di primo grado di una qualsivoglia motivazione relativa a tali profili di colpa specifica, riscontrando il tribunale pisano solo il difetto di coordinamento ex art. 26 D.lgs 81/08. Peraltro, si imputa all'odierno ricorrente un difetto di manutenzione laddove l'attività commissionata era proprio quella di manutenzione del macchinario.
Fondatamente, pertanto, l'odierno ricorrente rileva che non risponde al vero che, come afferma la Corte territoriale, la sentenza di primo grado "individua i profili colposi rilevanti, tanto nel difetto di coordinamento (previa informazione dei rischi) e nell'assenza di adozione di provvedimenti congiunti di contingente adozione in relazione alla lavorazione da eseguire, addebitandoli ad entrambi gli imputati, quanto nella mancata efficienza del sistema di sicurezza di blocco apposto alla macchina".

5. Non manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso con cui ci si duole della mancata risposta della Corte territoriale allo specifico motivo di appello (il quarto - pag. 16) con cui si censurava la sentenza di primo grado che, senza motivare alcunché sul punto, non aveva concesso all'imputato le circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale -ed invero è troppo poco- si limita ad una risposta omnicomprensiva in punto di trattamento sanzionatorio ("Neppure in punto di pena vi sono serie correzioni da apportare: i fatti sono di estrema gravità, la superficialità dell'imputato è stata macroscopica così come è macroscopica la mancanza di elaborazione di autocritica e il sostanziale disinteresse denotato per la materia della sicurezza che trasuda dalle grossolane ragioni difensive") che può essere ritenuta sufficienza in punto di pena, quantificata peraltro nei minimi edittali, ma della quale legittimamente e fondatamente si lamenta il ricorrente quanto alla mancata valutazione del punto in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena.
 

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.