Cassazione Penale, Sez. 2, 13 aprile 2022, n. 14275 - Infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata da un avvocato sull'obbligo di green pass in Tribunale


 


 Presidente Rago – Relatore Mantovano

 

Fatto

 

 

1. La CORTE di APPELLO di BOLOGNA, con sentenza in data 22/12/2020- dep. 19/03/2021, confermava la sentenza con la quale il GUP del TRIBUNALE di RAVENNA in data 18/03/2020, a conclusione di un giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva condannato V.G.C. a pena di giustizia per il reato, commesso a (omissis) , di estorsione, con condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita. La condotta posta a base della pronuncia era consistita nell'avere egli costretto B.F. a consegnargli la somma di 5.000 Euro, dopo averlo informato che un gruppo di (…), da lui conosciuti, aveva ricevuto l'importo di 10.000 Euro per "spezzargli le gambe", e che lui avrebbe potuto convincerli a non procedere a tanto se avesse ricevuto da B. 10.000 Euro da corrispondere loro, e nell'avere subito dopo inviato a costui una serie di messaggi minatori volti a conseguire quell'obiettivo.
 
 2. V. propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, e deduce i seguenti motivi:
 
 come primo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) e d), quanto al diniego da parte della CORTE territoriale della riapertura dell'istruttoria dibattimentale al fine di assumere come testimone B.F. , del quale davanti al GUP non era stato acquisito, perché non allegato dal P.M. agli atti del proprio fascicolo, il verbale di dichiarazioni rese il (omissis). L'esistenza di tale verbale era emersa dopo il 18/03/2020, data della pronuncia di condanna, e precisamente il 3/04/2020, allorché ne era avvenuto il deposito in sede cautelare in altro procedimento, dal quale aveva tratto origine per stralcio quello in esame. Premette di avere formulato in primo grado istanza principale di definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato, condizionandola alla escussione della persona offesa, e in subordine senza condizione, ma che soltanto dopo la definizione del processo innanzi al GUP era emerso il verbale anzidetto, la cui conoscenza avrebbe certamente orientato diversamente la propria richiesta, poiché a suo avviso era tale da incidere sulla attendibilità della vittima: e quindi egli non avrebbe avanzato la subordinata. Si sarebbe cioè limitato alla principale, vale a dire all'abbreviato condizionato: lo stesso GUP avrebbe verosimilmente potuto decidere in modo differente in ordine alla condizione posta, se avesse avuto la disponibilità di quell'atto. Il (omissis), giorno successivo a quello in cui l'imputato avrebbe rivolto la pretesa estorsiva a B. , costui aveva escluso alla polizia giudiziaria di aver ricevuto da V. la richiesta di denaro, al di fuori di quella riguardante un prestito di 2.000 Euro, che si sarebbe impegnato a restituire dopo circa un mese, e non aveva fatto alcun cenno a danni fisici che avrebbe potuto ricevere da “(…)”: il Collegio di appello, con ordinanza del 15/12/2020, il cui contenuto era stato poi ribadito in sentenza, aveva ritenuto di acquisire il verbale di queste dichiarazioni, ma aveva escluso l'audizione della persona offesa, come pure richiesto dalla difesa, per la quale sentire in contraddittorio la vittima avrebbe potuto rimediare l'incompleta conoscenza del fascicolo al momento dell'istanza di abbreviato; l'omissione di tale audizione avrebbe violato l'art. 111 Cost., Infatti la CORTE territoriale, anziché consentire alla difesa di sondare il testimone centrale del processo, ne interpretava le contrastanti dichiarazioni, così comprimenda il diritto di difesa, perché la presenza di prove sopravvenute, benché il giudizio di primo grado si fosse celebrato in abbreviato, avrebbe imposto l'integrazione dell'istruttoria;
 
 - come secondo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa, nonostante le incoerenze di quanto dalla stessa riferito nei vari verbali di dichiarazioni rese, in particolare di quello del (omissis), di cui al motivo precedente, del quale riporta ampi stralci: segnala come B. non aveva mai giustificato la divergenza fra quanto riferito il giorno dopo la presunta estorsione subita e quanto denunciato nei giorni successivi, come i messaggi intercorsi fra i due non avessero rivelato alcuna pretesa illecita in corso, bensì accordi su prestiti e sul pagamento delle vetture date a nolo dalla persona offesa all'imputato, come i rapporti fra i due fossero stati di amicizia di lunga data, e anche per questo dovessero far escludere un tratto minaccioso dell'uno verso l'altro. Aggiunge che, quand'anche V. avesse parlato di (…) e di spedizioni punitive a carico di B. , quest'ultimo aveva espresso la personale convinzione che un quadro del genere non esistesse nella realtà, tanto da aver fondato il proprio personale timore più sulla personalità intimidatrice dell'imputato, in considerazione anche del ruolo che svolgeva. La conclusione è che se la p.g. non avesse chiamato la persona offesa in Questura allo scopo di chiarire che tipo di rapporti avesse con l'imputato non sarebbe emerso alcunché di iniziativa del primo: a conferma della insussistenza dell'estorsione;
 
 - come terzo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea qualificazione giuridica del fatto, che meglio avrebbe potuto rubricarsi in termini o di atti persecutori, o di truffa. Si tratta di una richiesta subordinata, sulla quale il Collegio di appello non avrebbe reso adeguato motivazione, che quanto al reato di cui all'art. 612 bis c.p., - potrebbe trovare fondamento nella reiterazione delle richieste di denaro in prestito effettuate dal ricorrente verso B. in un arco temporale delimitato, e quanto alla truffa nella prospettazione di un male che la stessa persona offesa riteneva non verosimile, sì che la sua volontà era risultata manipolata più che coartata;
 
 - come quarto, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), sul diniego delle attenuanti generiche, che sarebbe fondato sulla gravità del fatto, quando tale elemento non è di per sé preclusivo, e non avrebbe tenuto conto dell'incensuratezza dell'imputato.
 
 3. Con conclusioni scritte il PROCURATORE GENERALE di questa S.C. chiede il rigetto del ricorso. Quanto alla prima censura, osserva che nel giudizio abbreviato l'integrazione probatoria in appello può essere ammessa ex art. 603 c.p.p., comma 3, senza che la parte la reclami come un diritto anche in presenza di prove sopravvenute e nuove, o comunque non in precedenza valutate: rileva la correttezza delle conclusioni della CORTE sul fatto che la richiesta subordinata del rito abbreviato ordinario, una volta respinta dal GIP l'istanza condizionata, peraltro revocabile fino all'ammissione, doveva inevitabilmente essere il frutto di una ponderazione da parte dell'imputato della valenza probatoria degli atti di indagine e delle dichiarazioni della persona offesa, e sul fatto che, alla luce del contenuto del contestato verbale del (omissis), quelle sintetiche informazioni non contrastavano con le successive accuse di B. , tenuto conto del timore derivato da quanto rappresentatogli dal ricorrente.
 
 Rileva l'infondatezza della seconda doglianza, poiché la credibilità intrinseca del racconto è stata dai Giudici d'appello supportata esternamente coi plurimi riscontri; della terza - non sussistendo le ipotesi di reato di cui all'art. 612 bis c.p., perché le minacce e le molestie poste in essere dall'imputato erano finalizzate a ottenere un profitto, nè della truffa, in relazione alla paura crescente manifestata dalla vittima di ritorsioni -, e la quarta, essendo state indicate le plurime circostanze in sfavore dell'imputato, tali da renderlo non meritevole delle attenuanti generiche.
 
 4. Il difensore ha inviato una prima memoria, il 24/01/2022, per riprendere a approfondire il primo motivo del ricorso, anche alla stregua della giurisprudenza di legittimità relativa alla riapertura dell'istruttoria nel giudizio di appello quando il primo grado si sia svolto secondo la forma dell'abbreviato. Lo stesso difensore ha fatto pervenire una ulteriore memoria, il 14/02/2022, con la quale intanto solleva la questione della propria partecipazione all'udienza, che egli non ha potuto richiedere a causa delle restrizioni da Covid 19, in quanto non vaccinato e non esentato nonostante la patologia della quale è portatore: solleva pertanto questione di legittimità costituzionale delle disposizioni che gli impedirebbero di svolgere con pienezza il diritto di difesa. Reitera, anche al fine di contrastare le conclusioni del P.G., le ragioni a sostegno del primo motivo di ricorso.
 

Diritto


 
1. Va preliminarmente disattesa la questione di legittimità costituzionale sollevata dal difensore con la memoria scritta inviata in ordine alla propria partecipazione all'udienza, poiché egli non si è sottoposto alla vaccinazione da Covid-19, nè può allegare esenzioni dal vaccino, e con questo a suo dire sarebbe impedito nella piena articolazione del diritto di difesa. È ben noto che il D.L. n. 1 del 2022, art. 3, al comma 2, lett. b), ha modificato il D.L. n. 52 del 2021, art. 9-sexies, commi 4 e 8, e ha esteso l'obbligo del green pass base per l'accesso agli uffici giudiziari anche a difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia, con la sola eccezione per testimoni e parti del processo. A decorrere dal 15 febbraio 2022, a tali soggetti si applica l'obbligo di green pass rafforzato di cui al D.L. n. 44 del 2021, art. 4-quinquies, se ultracinquantenni, in presenza dell'espresso richiamo al D.L. n. 52 del 2021, comma 1 dell'art. 9-sexies, comma 4. Il comma 8 bis, aggiunto allo stesso articolo, ha previsto che l'assenza del difensore, conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde Covid-19, determinata dall'inibizione dell'accesso alle strutture ove si svolge l'attività giudiziaria, non costituisce impossibilità di comparire per legittimo impedimento.
 
 L'eccezione di costituzionalità di tali disposizioni appare manifestamente infondata poiché nulla preclude al difensore di chiedere e ottenere, nel rispetto dei termini previsti, la trattazione orale del giudizio, se si è posto nella condizione di circoscrivere il contagio pandemico attraverso il vaccino, e sempre che non sussistano comprovate controindicazioni sanitarie alla somministrazione nei suoi confronti, derivanti dalla sua personale condizione di salute (ma non è così nella vicenda in esame); il rifiuto del vaccino fa identificare il necessario bilanciamento fra valori costituzionalmente rilevanti quali il diritto alla difesa, da articolare nella sua pienezza, e la tutela della salute, nel punto di equilibrio costituito dalla partecipazione del difensore al contraddittorio scritto, come è in concreto avvenuto nel caso di specie, tenuto conto della natura emergenziale della disposizione, e quindi dell'arco temporale necessariamente delimitato del vigore di tali disposizioni.
 
 2. Ciò premesso, il ricorso va rigettato perché sono infondati i motivi posti a base di esso. Quanto al primo, il consolidato e condiviso orientamento di questa S.C. (cf. Sez. 2 sentenza n. 40855 del 19/04/2017 dep. 07/09/2017 Rv. 271163 imputati G. e altri) è nel senso che "nei casi in cui si proceda con giudizio abbreviato, la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello per assumere d'ufficio, anche se su sollecitazione di parte, prove sopravvenute che non siano vietate dalla legge o non siano motivatamente ritenute manifestamente superflue o irrilevanti, può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603 c.p.p., comma 3, soltanto qualora sussistano, nell'apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza".
 
 Si è invero affermato che, pur se il giudizio di primo grado è stato celebrato con il rito abbreviato, il giudice di appello è tenuto ad ammettere le prove sopravvenute, tranne che non siano vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti (Sez. 2, sentenza n. 44947 del 17/10/2013, Rv. 257977, fattispecie nella quale, peraltro, la chiesta rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per acquisire le prove sopravvenute era stata disposta). Nel medesimo senso, questa S.C. ha sancito che, premesso che nel giudizio di appello contro la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato è ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l'assunzione della prova assolutamente necessaria, perché potenzialmente idonea a incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti, si è aggiunto che, in presenza di prova sopravvenuta o emersa dopo la decisione di primo grado, la valutazione giudiziale del parametro dell'assoluta necessità deve tener conto di tale "novità" del dato probatorio, per sua natura adatto a realizzare un effettivo ampliamento delle capacità cognitive nella chiave "prospettica" sopra indicata (Sez. 1, sentenza n. 8316 del 14/01/2016, Rv. 266145: fattispecie di rinnovazione chiesta dal PG e disposta dalla Corte d'appello, che l'imputato lamentava non essere consentita).
 
 In adesione a tale orientamento, va quindi ribadito che allorché la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello a seguito di giudizio abbreviato, formulata per la dichiarata esigenza di acquisire una prova sopravvenuta, sia stata rigettata, non può negarsi alla parte soccombente di dolersi di tale decisione, sia con riferimento alla motivazione posta a fondamento del rigetto della richiesta di rinnovazione, sia con riferimento alla motivazione della conclusiva decisione di merito che della prova sopravvenuta non abbia conseguentemente tenuto conto: purché si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate, provvedendosi all'assunzione in appello delle prove sopravvenute.
 
 3. Va altresì ricordato che, anche qui per consolidato e condiviso orientamento (cf. Sez. 6 sentenza n. 25256 del 29/05/2018 dep. 05/06/2018 Rv. 273106 imputato R.) "l'ordinanza di ammissione al giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, non è revocabile all'esito di una nuova valutazione che escluda la rilevanza della prova. (In motivazione, la Corte ha affermato che il vizio della sentenza derivante dalla mancata assunzione della prova cui era stato condizionato il giudizio è deducibile in secondo gravame ed è emendabile con la sua assunzione in grado d'appello)". Va in proposito ripreso quanto sancito dalle Sez. U. con sentenza n. 41461 del 19/07/2012 (imputato B., Rv. 253211) che, nell'escludere la revocabilità dell'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato condizionato per sopravvenuta impossibilità di assunzione della prova, così stabilendo che il giudizio deve comunque celebrarsi nelle forme indicate, ha affermato: "o l'assunzione della prova risulta effettivamente impossibile e, come tale, non determina alcuna lesione del diritto di difesa, poiché (...) l'impossibilità connoterebbe anche il giudizio celebrato nelle forme ordinarie, oppure la decisione del giudice di soprassedere alla assunzione della prova risulta illegittima e, in quanto tale, sindacabile in sede di gravame ed emendabile con l'assunzione della relativa prova in grado d'appello".
 
 4. Ciò premesso, le osservazioni difensive, pur logicamente articolate, non appaiono idonee a ribaltare quanto deciso dalla CORTE felsinea sul diniego della richiesta istruttoria e sulla non sussistenza di ragioni tali da giustificare l'esame della persona offesa in contraddittorio. Va infatti sottolineata la natura di giudizio allo stato degli atti propria di questo rito, accompagnata dalla circostanza che al momento della richiesta formulata nell'interesse del ricorrente agli atti non vi era il documento ritenuto rilevante nella prospettazione difensiva, cioè il verbale della persona offesa del (omissis): correttamente il Collegio di appello ha stabilito che la richiesta formulata in subordine di procedere col rito abbreviato ordinario, una volta respinta dal GIP l'istanza condizionata, non poteva che costituire l'esito della scelta operata dall'imputato alla stregua del peso probatorio degli atti di indagine e delle dichiarazioni della persona offesa in quel momento disponibili.
 
 Una volta che in sede di appello è emerso l'anzidetto verbale, congrua e coerente è stata la motivazione dei Giudici di secondo grado secondo cui quelle sintetiche informazioni, per le ragioni di merito da essi illustrate, non collidevano con le successive accuse di B. : la CORTE ha infatti spiegato l'iniziale mancata denuncia della vittima col timore derivato da quanto a lui detto da V. , e con l'incertezza, proprio perché accaduto poche ore prima, sul comportamento da tenere, tanto che nei verbali pure allegati dalla difesa, e in particolare in quello del 18/09/2019, la persona offesa aveva mostrato di aver superato, almeno in parte, quel timore. È stata proprio per la complessiva valutazione di tutti i verbali posti a disposizione della CORTE territoriale che quest'ultima ha ravvisato la non sussistenza dei presupposti per accogliere l'istanza di rinnovazione della prova.
 
 La tesi difensiva secondo cui l'imputato sostiene che non avrebbe avanzato la subordinata, e che si sarebbe fermato all'istanza di abbreviato condizionato all'audizione della p.o., qualora avesse conosciuto il verbale del (omissis), perché avrebbe puntato con maggior decisione a far emergere le presunte contraddizioni della vittima, per quanto suggestiva, non è condivisibile proprio perché non tiene conto, come prima si è sottolineato, del limite della valutazione da operare all'atto della richiesta - e fino al momento dell'ammissione della stessa da parte del GIP - costituito dagli atti in quel momento disponibili. Alla censura in ordine alla mancata riapertura dell'istruttoria in appello, al fine di escutere la vittima in contraddittorio, la CORTE ha poi replicato alla stregua della sua inutilità, avendo potuto esaminare tutti i verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini, incluso quello del (omissis).
 
 5. Infondato è il secondo motivo di ricorso, che censura di inattendibilità le dichiarazioni di B. , poiché costui non aveva mai giustificato la divergenza fra quanto riferito il giorno dopo la presunta estorsione subita e quanto denunciato nei giorni successivi, e che quand'anche V. avesse parlato di “(…)” e di spedizioni punitive a carico di B. , costui aveva espresso la personale convinzione che un quadro del genere non esistesse nella realtà. La contestazione di non attendibilità viene formulata in presenza di una doppia conforme affermazione di colpevolezza fondata invece sulla positiva verifica della stessa. Va sul punto ricordato il condivisibile orientamento di questa S.C. (cf. per tutte Sez. 2 sentenza n. 7986 del 18/11/2016 dep. 20/02/2017 Rv. 269217 imputati L. G. e altro), secondo cui "con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che (...) la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento".
 
 In coerenza con quanto sancito già dal GUP, La CORTE territoriale ha in modo congruo e logico attestato la credibilità di B. spiegando, come si è visto, con un comprensibile disorientamento l'iniziale omesso racconto delle richieste minacciose ricevute dall'imputato, che la vittima si era ritrovato nella propria abitazione, e aggiungendo la compiuta descrizione del fatto, con gli accordi per la consegna del denaro, l'intervento di un incaricato della persona offesa, gli appuntamenti gli appostamenti della p.g., fino alla consegna del denaro. La CORTE ha altresì dato conto della percezione della vittima dell'inesistenza degli “(…)” che avrebbero dovuto colpirlo alle gambe, ma ha precisato che questo non aveva eliminato il timore, a causa della reiterazione delle richieste dell'imputato. Ha quindi valorizzato i riscontri costituito dallo scambio di messaggi, dalle modalità dell'incontro per la riscossione della somma, dalle informazioni fornite dalle persone informate sui fatti, menzionate in sentenza, che avevano confermato di aver ascoltato di minacce da parte di (…), e infine lo stato di agitazione di B. , le cui discrasie narrative hanno trovato coerente esegesi, in conformità a quanto già osservato dal GUP.
 
 6. Infondato è il terzo motivo di ricorso, secondo cui il fatto andava meglio qualificato in termini di atti persecutori, ovvero di truffa. La reiterazione dei messaggi, in larga parte intimidatori, inviati dal ricorrente alla vittima, era tesa non già a determinare un "perdurante e grave stato di ansia o di paura", o "un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto" - costituenti gli obiettivi della condotta di cui all'art. 612 bis c.p., -, bensì a ricevere una somma in denaro inizialmente fissata in 10.000 Euro, poi ridotta a 5.000 Euro, quindi a conseguire un profitto ingiusto a seguito delle minacce.
 
 Quanto all'ipotesi della truffa, e in particolare della truffa c.d. vessatoria, il condiviso orientamento di questa S.C. (cf. da ultimo Sez. 2 sentenza n. 24624 del 17/07/2020 dep. 01/09/2020 Rv. 279492 imputato B.), è nel senso di ravvisarne il criterio distintivo rispetto all'estorsione "nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata ai sensi dell'art. 640 c.p., comma 2, n. 2, quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall'agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all'azione od omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l'esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, all'agente ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell'alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall'agente o di incorrere nel danno minacciato". Quanto riferito da B. fin dalla sua denuncia - e ripreso in modo coerente e conforme dai Giudici del merito - è, come si è detto, nel senso della chiara percezione che dietro V. non ci fossero gli “(…)” da lui menzionati, sì che il suo crescente timore si correlava proprio alla persona dell'imputato, il cui profilo era a lui noto, e per questo fonte di apprensione per le ragioni illustrate nelle sentenze di primo e di secondo grado.
 
 7. Infondato è infine l'ultimo motivo, riguardante il diniego delle attenuanti generiche. La CORTE bolognese lo ha correttamente ritenuto, nonostante la penale incensuratezza dell'imputato, alla stregua non soltanto della gravità del fatto, bensì pure della sua appartenenza alle forze dell'ordine, oltre che alla assenza di resipiscenza e di condotte di riparazione: in presenza di tale congrua e coerente motivazione, resta al di fuori dei poteri della Corte di cassazione quello di rileggere gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o di adottare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. 6, n. 27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. 6, n. 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, rv. 253099): ciò che è, in via esclusiva, riservato al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
 
 Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.


 
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.