Cassazione Civile, Sez. 6, 27 aprile 2022, n. 13198 - Linfoma non Hodgkin


 

Rilevato che


1. la Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda proposta iure hereditatis da M.M. ed  I.M. nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana Spa, volta ad accertare la responsabilità della datrice di lavoro per la morte del loro dante causa V.M., deceduto per un linfoma non Hodgkin;
2. la Corte territoriale, in sintesi, ha in primo luogo ritenuto prescritta l’azione proposta dagli eredi perché era decorso oltre un decennio sia dal momento in cui era stata diagnosticata la malattia sia dalla morte del V.M., prima che venissero adottati i primi atti interruttivi;
“in ogni caso” – secondo la Corte – l’appello degli eredi era comunque infondato, dovendosi condividere l’assunto del Tribunale il quale aveva considerato “che, alla luce delle consulenze, l’etiologia della malattia come collegata a sostanze sia rimasta ‘a livello di mera prospettazione’, non essendovi studi che colleghino coerentemente ed uniformemente il contatto con le sostanze nocive ed il linfoma”;
3. per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i soccombenti con 3 motivi; ha resistito con controricorso Rete Ferroviaria Italiana Spa;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale;
i ricorrenti hanno comunicato memoria;
 

Considerato che


1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “violazione e/o falsa applicazione dei principi relativi al concetto di dies a quo della prescrizione ex art. 2935 c.c., mancata giustificazione alla adesione alla opinione restrittiva tra i due ausiliari, confusione tra possibilità e probabilità lesiva delle sostanze, violazione del diritto all’onere della prova ex art. 2697 c.c., ex art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.”; si critica la sentenza impugnata sia per non aver valutato come atto interruttivo della prescrizione una raccomandata inviata al datore di lavoro nel febbraio 2004, sia per avere aderito “alla prima sbrigativa valutazione temporale del CTU dott. Strollo rispetto a quella del direttore dell’Istituto Tumori di Milano dott. Crosignani”, senza neanche tenere adeguato conto della consulenza epidemiologica del Prof. Piccaluga; si sostiene che “la mancata rinnovazione o il mancato utilizzo della CTU ha impedito la conferma del nesso causale”;
il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 414 c.p.c., 432 c.p.c., nonché omesso esame di fatto decisivo, lamentando il “mancato esame del documento interruttivo della prescrizione n. 3 BB bis” nonché il diniego alla richiesta di produzione del documento in udienza;
il terzo motivo di ricorso denuncia: “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 414 c.p.c. e dell’art. 432 c.p.c., art. 2087 c.c., ex art. 360 n. 5 c.p.c. per erronea omessa valutazione di un fatto decisivo determinante oggetto di discussione tra le parti e quindi errore derivante da violazione di una norma che disciplina il metodo della valutazione da compiere per la soluzione della questione di fatto (art. 360 n. 5); mancata giustificazione a sostegno della opinione restrittiva del primo ausiliario; confusione tra possibilità e probabilità cancerogena”;
2. il ricorso è complessivamente inammissibile in tutte le censure in cui esso è articolato;
opportuno premettere che la sentenza impugnata – come ricordato nello storico della lite - fonda il rigetto dell’appello degli eredi I.M. su di una duplice ratio decidendi: l’una legata all’intervenuto decorso della prescrizione decennale per l’azione di risarcimento del danno degli eredi; l’altra dovuta alla conferma dell’assenza di prova di un nesso causale tra la condotta asseritamente negligente del datore di lavoro e la malattia che ha condotto alla morte il dante causa degli istanti; orbene, sulla scorta della giurisprudenza consolidata di questa Corte, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l'uno dall’altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l'impugnazione comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato privando in tal modo l'impugnazione dell'idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito, ex multis, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009), per cui, nel caso di specie, se una delle due ragioni che fondano il rigetto dell’appello "resiste" all'impugnazione proposta dai ricorrenti è del tutto ultronea la verifica di ogni ulteriore censura, perché l’eventuale accoglimento di essa non condurrebbe mai alla cassazione della sentenza gravata;
3. ciò posto il Collegio reputa che le doglianze contenute nel primo e nel terzo motivo di ricorso, nella parte in cui censurano la conferma della mancanza di prova di nesso causale tra l’attività svolta dal I.M.e la malattia mortale, presentino plurimi profili di inammissibilità; innanzitutto, esse tendono ad una rivalutazione di merito circa la quaestio facti qual è indubitabilmente la sussistenza o meno nella fattispecie concreta di un nesso causale, per cui solo formalmente denunciano errores in iudicando, ma nella sostanza sollecitano una indagine preclusa a questa Corte, come è conclamato dall’ampio riferimento ai materiali probatori, consulenze tecniche incluse;
in secondo luogo, sono inammissibili pure nella parte in cui invocano il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., in presenza di una c.d. «doppia conforme», ex art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c. (cfr. Cass. n. 23021 del 2014; Cass. n. 30646 del 2019), senza che chi ricorre in cassazione - per evitare l’inammissibilità del motivo – abbia, nel corpo del motivo, indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse siano tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019);
infine sono inammissibili perché contengono promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge, sostanziale e processuale, nonché di vizi di motivazione, senza alcuna specifica ed adeguata indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo una adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo mezzo di ricorso, “di censure caratterizzate da … irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; v. Cass. SS.UU. n. 16990 del 2017; Cass. n. 3141 del 2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019);
la circostanza che la ratio decidendi autonoma fondata sulla mancanza di prova del nesso causale non venga meno in ragione delle censure che vengono mosse con la presente impugnazione, rende inammissibile il secondo motivo di ricorso, così come le altre censure che criticano l’altra ratio decidendi della motivazione impugnata concernente l’intervenuta prescrizione, atteso che, anche ove ritenute fondate, comunque non potrebbero condurre alla cassazione della sentenza della Corte veneziana;
4. in conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
 

P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 21 dicembre 2021