Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 06 maggio 2022, n. 18059 - Caduta dalla scala durante la verifica del malfunzionamento di un contatore. Nessun rischio eccentrico ma mancata prevenzione del rischio di caduta dall'alto e attrezzature inadeguate


 

Presidente: BRUNO MARIAROSARIA Relatore: VIGNALE LUCIA
Data Udienza: 14/04/2022
 

 

Fatto




1. Con sentenza del 9 novembre 2021, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 23 gennaio 2019 con la quale S.T., amministratore delegato della «Eco & Power Ambrosiana s.r.l.», è stato ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 590 commi 1, 2, 3, 4 e 5, 583 cod. pen. e condannato alla pena di €600,00 di multa e al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile costituita C.R. (da liquidarsi in separato giudizio) oltre che al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad € 5.000,00.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi l'11 febbraio 2015 ad Arese nel quale due dipendenti della «Eco & Power Ambrosiana s.r.l.» - M.A. e C.R. - riportarono lesioni, dalle quali derivò una malattia di durata superiore ai quaranta giorni.
S.T. è accusato, quale amministratore delegato della società con funzioni di datore di lavoro, di aver causato tali lesioni non avendo compiuto una adeguata valutazione dei rischi derivanti dalle lavorazioni da effettuare in quota; avendo previsto, quale unico sistema per prevenire quei rischi, la formazione e informazione dei lavoratori (ciò che, in ipotesi accusatoria, integrerebbe violazione dell'art. 28 comma 1 del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81); non avendo messo a disposizione dei dipendenti attrezzature adeguate allo svolgimento di tali lavori fornendo loro una scala portatile che, secondo l'accusa, era inidonea a tal fine in violazione dell'art.71 comma 1 del d.lgs. n. 81/08.
Secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito, C.R. fu incaricato dal diretto superiore, D.A., di recarsi presso un capannone esterno alla sede della ditta (utilizzato dalla «Carlo Erba s.p.a.») per verificare le cause del malfunzionamento di un contatore di chilocalorie e portò con sé il collega M.A.. Il contatore da sottoporre a verifica si trovava all'interno di un controsoffitto posto ad una altezza da terra di circa 3 metri. Per raggiungerlo, i due operai portarono con sé una scala. M.A. salì una prima volta sulla scala, posizionata a sfilo, rimosse la controsoffittatura e, per raggiungere il contatore (che si trovava circa un metro e sessanta più in alto del controsoffitto), vi entrò, restando con i piedi sulla scala. Avendo constatato che il contatore non girava, decise di eseguire una verifica su alcuni sensori posti a monte del contatore stesso. Per far questo spostò la scala, posizionandola a libro, e vi salì. Per passargli la dispensa contenente le istruzioni sul funzionamento del contatore C.R. salì a sua volta sui primi gradini della scala che si sbilanciò. Questo determinò la caduta dei due operai che riportarono lesioni gravi (fratture plurime M.A., frattura del polso sinistro C.R.).


3. Contro la sentenza hanno proposto tempestivo ricorso i difensori dell'imputato articolandolo in due motivi.

3.1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione quanto all'affermazione della responsabilità.
Osserva che i due lavoratori avevano ricevuto solo l'incarico di verificare se il contatore non funzionava per un problema nell'alimentazione elettrica o perché si era guastato e doveva essere sostituito (nel qual caso avrebbe dovuto intervenire il costruttore). Dovevano quindi limitarsi a utilizzare un tester per controllare se la corrente arrivava al contatore. Di conseguenza, solo uno di loro avrebbe dovuto salire sulla scala e restarci per poco tempo. Decisero invece, senza ragione, di estendere il controllo ad altre parti dell'impianto. Rileva che, secondo le regola di cautela cui l'azienda aveva formato i propri dipendenti, la scala avrebbe dovuto essere utilizzata a sfilo (non a libro) e avrebbe dovuto essere infilata nel controsoffitto così da impedirne lo "scarrocciamento"; che sulla stessa avrebbe dovuto salire un solo operaio mentre l'altro avrebbe dovuto trattenerla al piede. Aggiunge che, per verificare se il contatore fosse alimentato elettricamente, sarebbe bastato un tempo breve e non era necessaria la compresenza in quota di più persone sicché, diversamente da quanto sostenuto dai giudici di merito, per eseguire il lavoro non era affatto necessario avere a disposizione un trabattello. Sostiene, in sintesi, che la condotta tenuta dai lavoratori fu anomala, imprevedibile, fu realizzata nello svolgimento di mansioni diverse rispetto a quelle che erano state loro affidate e comunque, quand'anche rientrante nell'ambito di quelle mansioni, fu tale da attivare un rischio «eccentrico ed esorbitante» dalla sfera di rischio governata dal datore di lavoro .
3.2. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per omessa determinazione della misura della quota di responsabilità dei danneggiati nella causazione dell'evento. Osserva in proposito, che escludendo la rilevanza del contributo causale apportato al verificarsi dell'evento dalla condotta dei lavoratori infortunati e sostenendo che tale contributo può essere preso in considerazione solo se si tratta di condotta eccezionale, abnorme e imprevedibile la Corte territoriale ha commesso un duplice errore. In primo luogo, perché ha sostenuto che la condotta tenuta dagli infortunati non fu abnorme; in secondo luogo, perché ha escluso che, in presenza di un comportamento non abnorme ma comunque colposo dei lavoratori, sia necessario determinare la quota di responsabilità degli stessi. Secondo il ricorrente, tale determinazione sarebbe, invece, necessaria per stabilire il grado della colpa e, quindi, sia per procedere a una corretta quantificazione della pena che per determinare l'entità del risarcimento dovuto.

 

Diritto




1. I motivi di ricorso sono inammissibili.

2. Va premesso che ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento impugnato deve essere volto a verificare: che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", sia quindi esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti fondata su argomenti logicamente "incompatibili" con «altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame» in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di cassazione è preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Un tal modo di procedere, infatti, trasformerebbe la Corte da giudice di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto (tra tante: Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).

3. Muovendo da queste premesse, si deve osservare che le motivazioni addotte dalla Corte territoriale per sostenere che il comportamento degli infortunati non fu abnorme né esorbitante rispetto alle mansioni che erano state loro assegnate, appaiono esaurienti, esenti da contraddittorietà, non illogiche e conformi ai principi di diritto che regolano la materia.
La sentenza impugnata sottolinea che gli operai erano stati incaricati di accertare le cause del malfunzionamento di un contatore e le dichiarazioni testimoniali acquisite non provano che tale accertamento dovesse limitarsi a utilizzare un tester per controllare se quel contatore era alimentato dalla corrente elettrica. Invero, la deposizione di D.A. - cui fanno ampio riferimento sia la sentenza impugnata che l'atto di ricorso - non fornisce indicazioni in tal senso perché spiega che C.R. e M.A. doveva no accertare se il contatore non era alimentato o era guasto, nel qual caso la ditta costruttrice avrebbe dovuto sostituirlo. A tal fine dovevano controllare con un tester se al contatore arrivava la corrente «o era scattata qualche termica, qualcosa» e, in caso negativo, «scendere e andare sul quadro da dove parte l'alimentazione». Diversamente da quanto il ricorrente sostiene, non pare possibile desumere da tale deposizione che i due operai dovessero limitarsi a controllare il quadro da cui parte l'alimentazione elettrica e il contatore al quale l'elettricità sarebbe dovuta arrivare, ma non anche il collegamento elettrico tra quadro e contatore. Ne consegue che la valutazione della Corte d'Appello, secondo la quale, al momento dell'infortunio, M.A. e C.R. stavano adempiendo ai compiti loro affidati, non appare frutto di travisamento della prova e si sottrae alle censure del ricorrente.

4. Avendo valutato - con motivazione non censurabile - che l'attività svolta al momento dell'infortunio rientrava tra le mansioni cui i lavoratori erano stati destinati, la Corte di appello ha sottolineato che la scala messa disposizione per compiere quel lavoro era inidonea allo scopo perché gli operai dovevano salire a parecchi metri di altezza da terra e, restando in piedi sulla scala, dovevano adoperare degli utensili (avere quindi le mani occupate). Ha ritenuto quindi condivisibili le conclusioni esposte in udienza da un tecnico della prevenzione secondo il quale l'unica attrezzatura idonea allo scopo sarebbe stata un trabattello. Si tratta di una motivazione non illogica né contraddittoria certamente conforme ai principi di diritto in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
La Corte territoriale ha sottolineato, infatti, che la scala non fu utilizzata in modo improprio, ma nell'unico modo concretamente possibile e che, per poter raggiungere il collega, il quale lavorava a una altezza di quasi tre metri dal suolo, e per passargli il materiale di cui aveva bisogno (materiale che M.A. non poteva certo tenere in mano mentre saliva) C.R. doveva per forza salire a sua volta sulla scala, sicché la contemporanea presenza sulla stessa di due lavoratori non era eccezionale e imprevedibile, ma inevitabile conseguenza delle modalità operative adottate e della scelta di una attrezzatura inidonea.
Si rammenta in proposito che, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore (e non appare tale - per quanto esposto - quello tenuto dagli infortunati nel caso di specie) se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A., Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Russello, Rv. 220651).

4.1. Il ricorrente non contesta che i lavoratori infortunati fossero stati incaricati di compiere un lavoro che richiedeva di portarsi ad una altezza superiore ai due metri, né contesta che, per compiere tale attività, sia stata messa a disposizione dei dipendenti una scala portatile. La sfera di rischio che il datore di lavoro era chiamato a governare, dunque, era esattamente quella connessa al pericolo di caduta dall'alto e l'evento lesivo non si verificò, come sostiene il ricorrente, perché il comportamento dei lavoratori determinò l'attivarsi di un rischio eccentrico rispetto a quello prevedibile, ma perché quel rischio non fu prevenuto in maniera adeguata.
A ciò deve aggiungersi che, secondo un orientamento interpretativo che non può essere trascurato, non si configura un rischio «eccentrico», concretato dall'imprudenza del lavoratore e idoneo ad escludere il nesso di causa tra la condotta o l'omissione del datore di lavoro e l'infortunio, in caso di assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai lavoratori (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simione, Rv. 276242; Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321).

5. La decisione assunta non è dunque censurabile né sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, né per quanto riguarda le regole cautelari applicabili, rappresentate dalla necessità di valutare i rischi connessi all'esecuzione di lavori in quota e di fornire attrezzature adeguate ai dipendenti destinati a svolgerli.
Neppure è censurabile, perché coerente con le emergenze istruttorie, l'identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata dalle sentenze di merito nell'acquisto di trabattelli smontabili che avrebbero dovuto essere messi a disposizione dei dipendenti e non lo furono.

6. Con riferimento al secondo motivo - col quale il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per omessa determinazione della misura della percentuale di responsabilità dei danneggiati nella causazione dell'evento - si osserva che la sentenza impugnata ha escluso la possibilità di ipotizzare il concorso di colpa dei lavoratori facendo puntuale applicazione dei principi giurisprudenziali in forza dei quali «in caso di incidente originato dall'assenza o dalla inidoneità delle misure di sicurezza, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato che eventualmente abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio del comportamento del lavoratore» (Sez. 4, n. 36339 del 07/06/2005, Salzano, Rv. 232227; Sez. 4, n. 23729 del 19/04/2005,, Spinoza, Rv. 231736).
Nel lamentare il mancato riconoscimento della responsabilità concorrente dei lavoratori, pertanto, il ricorrente non fa che sostenere, sotto diverso profilo, la abnormità del comportamento tenuto dagli infortunati, abnormità che non può essere riconosciuta, dovendosi considerare "abnorme" solo il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 2614 del 26/10/2006, dep. 2007, Palmieri, Rv. 236009).
6.1. Poiché il concorso di colpa degli infortunati non è stato accertato, non può essere censurata la mancata determinazione della misura di tale concorso.
Quanto al profilo civilistico, è sufficiente rilevare che - com'è ovvio - il giudice penale ha il dovere di motivare in ordine alla graduazione delle colpe concorrenti di cui sia possibile determinare con certezza le diverse percentuali solo se l'esistenza di colpe concorrenti è stata accertata o ritenuta sussistente e tale dovere non sorge se, come nel caso di specie, l'esistenza di colpe concorrenti è stata esclusa.
Quanto alla pretesa rilevanza dell'incidenza della condotta dei lavoratori sul grado della colpa - e, quindi, sulla quantificazione della pena - si osserva che nessuna censura è stata sollevata dal ricorrente con riferimento al trattamento sanzionatorio e la scelta di applicare la pena pecuniaria fa ritenere che il grado della colpa non sia stato ritenuto particolarmente elevato.

7. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell'art.616 cod. proc. pen. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00
 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 14 aprile 2022