Cassazione Civile, Sez. 6, 09 maggio 2022, n. 14648 - Menomazione dell’integrità psicofisica causata da malattia professionale


 


Presidente: ESPOSITO LUCIA

 

Rilevato che:
1. la Corte d'Appello di Napoli ha accolto l’appello dell’INAIL e, in riforma pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da A.D., di riconoscimento della rendita o dell’indennizzo per la menomazione dell’integrità psicofisica causata da malattia professionale;
2. la Corte territoriale, disposta una nuova c.t.u. e in base all’esito della stessa, ha quantificato nella misura del 5% la menomazione dell’integrità psicofisica, escludendo il diritto alla tutela assicurativa;
3. i giudici di appello hanno ritenuto condivisibili, e sorrette da corretti criteri tecnici e di valutazione, le conclusioni del c.t.u. secondo cui il ricorrente, “esposto a rischio amianto nel corso della sua attività lavorativa ha sviluppato, come si evince da esami strumentali e visite specialistiche in atti, una malattia professionale come l'asbestosi”; la patologia polmonare, così come documentato dalla certificazione sanitaria specialistica compresa quella strumentale e come emerso dall'esame obiettivo, presenta caratteri propri dell'asbestosi in assenza attuale di deficit respiratorio;
4. avverso tale sentenza A.D. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. L’INAIL ha resistito con controricorso;
5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ..


Considerato che:


6. con l’unico motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla consulenza tecnica d'ufficio disposta in primo grado che aveva accertato la sussistenza di un danno biologico permanente nella misura del 30%. Si sostiene che la Corte di merito abbia omesso di motivare le ragioni del dissenso rispetto alle conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado;
7. il ricorso non può trovare accoglimento;
8. le censure si fondano sul mancato esame da parte dei giudici di appello della consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado e sulla mancata motivazione in ordine alle ragioni per cui siano state disattese le conclusioni del primo c.t.u., senza che la parte ricorrente si sia premurata di specificare le ragioni per cui la c.t.u. svolta in appello sarebbe errata e contraria ai criteri della scienza medica, e senza peraltro che fossero trascritte, almeno nelle parti rilevanti, le consulenze d’ufficio;
9. questa Corte, con diverse pronunce, ha delimitato l’ambito del vizio che, in relazione alle risultanze della c.t.u., può essere fatto valere nel giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.;
10. si è precisato che, qualora il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, ai fini della deduzione in cassazione del vizio in esame è necessario che eventuali errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l'entità e l'incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte.
Va, pertanto, rigettato il ricorso avverso la sentenza che, condividendo la relazione del c.t.u., abbia escluso la derivazione causale dell'infortunio …dall'attività di lavoro, quando il ricorrente si limiti ad invocare una diversa valutazione scientifica delle prove raccolte (v. Cass. 22707 del 2010); rispetto alla sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è denunciabile in sede di legittimità la palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, oppure l'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, come tale inammissibile (v. Cass. n. 1652 del 2012);
11. nessuno di questi difetti è rinvenibile nella sentenza impugnata, che nel recepire motivatamente le conclusioni della c.t.u. svolta in secondo grado, ha disatteso la diversa valutazione operata dal primo consulente; dal che discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
12. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
13. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
 

P.Q.M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna l'Inps al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 a titolo di compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali nella misura forfetaria del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 20.1.2022