Cassazione Civile, Sez. 6, 09 maggio 2022, n. 14655 - Crollo del muro e responsabilità del datore di lavoro e del direttore dei lavori. Risarcimento e prescrizione



Presidente: ESPOSITO LUCIA

 

Rilevato che:
1. La Corte d’appello di Catania ha respinto l’appello proposto dagli eredi di S.C. e da A.C., rispettivamente titolare della ditta e direttore dei lavori, confermando la pronuncia di primo grado che aveva condannato i predetti a versare all’Inail la somma di euro 564.444,67 (costo aggiornato al data dell’11.4.2019 pari ad euro 820.181,75) per le prestazioni economiche erogate in relazione all’infortunio occorso il 17.2.2000 in danno di A.S.L. e di CO.A..
2. La Corte territoriale ha ritenuto validamente interrotta, nei confronti di A.C., la prescrizione triennale decorrente dal 4.12.2007 (data in cui era divenuta irrevocabile la sentenza penale di condanna), per effetto della richiesta di pagamento inviata dall’Inail tramite “raccomandata AR 1”, non rilevando che il plico fosse stato consegnato a persona diversa dal destinatario ed estraneo al suo nucleo familiare. Ha escluso l’applicabilità dell’art. 112, u.c. prima parte, del D.P.R. n. 1124 del 1965, rilevando che la sentenza penale della Corte d’appello aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati contravvenzionali perché estinti per prescrizione, ma aveva pronunciato condanna dei medesimi per il reato di lesioni colpose gravi, aggravate dalla violazione di specifiche disposizioni in materia di sicurezza nei lavori edili. Il termine di prescrizione decorreva quindi dal passaggio in giudicato della sentenza penale, ai sensi dell’art. 112 cit., u.c. seconda parte, verificatosi il 6.11.2009 per il CO.A. (data in cui la Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso) e il 4.12.2007 per il A.C.. Nel merito, ha accertato, in base alle prove raccolte e al giudicato penale, la responsabilità del datore di lavoro e del direttore dei lavori nella causazione dell’infortunio provocato dal crollo del muro di una vecchia costruzione. Riguardo alla determinazione della somma pretesa dall’Inail, premesso che la stessa non includeva voci a titolo di danno biologico estranee alla tutela assicurativa in relazione all’epoca dell’infortunio (17.2.2000, anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 38 del 2000), i giudici di appello hanno giudicato la somma validamente desumibile dalla attestazione del direttore della sede erogatrice, in quanto atto amministrativo assistito da presunzione di legittimità, ed hanno ritenuto che il datore di lavoro, responsabile civile, fosse onerato di dimostrare l’avvenuto riconoscimento al lavoratore di prestazioni non spettanti oppure eccedenti, prova nel caso di specie non fornita avendo gli appellanti contestato in modo generico l’entità del danno subito dal lavoratore.
3. Avverso tale sentenza gli eredi di S.C. e A.C. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’’Inail ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria.
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ..

Considerato che:

5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112, D.P.R. n. 1124 del 1965, in relazione all’azione di regresso di cui all’art. 11 del medesimo D.P.R.; validità dell’eccezione di prescrizione e decadenza; violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
6. Si assume che la raccomandata inviata al A.C. in data 1.12.2010 non era pervenuta personalmente al destinatario ma era stata consegnata a tale B. Carmela, persona estranea al nucleo familiare del A.C. ed avente diversa residenza (come dimostrato attraverso la produzione dello stato di famiglia e del certificato di residenza del A.C.); che nella ricevuta di ritorno della raccomandata mancava qualsiasi indicazione sul rapporto di parentela e, comunque, di convivenza della persona che aveva ricevuto il plico col destinatario dello stesso; che quindi la prescrizione non poteva dirsi interrotta.
7. Si ribadisce l’eccezione sollevata ai sensi dell’art. 112, u.c. prima parte, in ragione della declaratoria in sede penale di non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati contravvenzionali perché estinti per prescrizione.
8. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
9. Si censura la sentenza d’appello là dove, condividendo le statuizioni della decisione di primo grado, ha affermato che il crollo del muro si era verificato per cause imputabili agli appellanti e che aveva concorso a tale crollo l’asportazione delle capriate in ferro che esercitavano sul muro una controspinta.
10. Con il terzo motivo di ricorso si addebita alla sentenza d’appello, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, riguardo alla determinazione ed esatta quantificazione delle somme pretese dall’Inail in sede di regresso.
11. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si sostiene l’inidoneità della raccomandata Inail dell’1.12.2010 a interrompere la prescrizione per irritualità della consegna del plico a persona non convivente col destinatario, senza che la lettera raccomandata con la ricevuta di ritorno sia trascritta e depositata unitamente al ricorso oppure esattamente localizzata in relazione alla sede processuale di produzione nel corso del giudizio di merito.
12. Il motivo è, comunque, infondato atteso che la Corte di merito ha deciso uniformandosi ai precedenti di legittimità (v. Cass. n. 9111 del 2012; n. 14501 del 2016; n. 7184 del 2016).
13. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché censura la ricostruzione in fatto sulla dinamica dell’infortunio e sulle connesse responsabilità, proponendo una diversa valutazione degli elementi di prova raccolti, non consentita in questa sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014).
14. Neppure ricorrono gli estremi del dedotto vizio motivazionale, tenuto conto di quanto statuito sul punto dalla citata sentenza delle Sezioni Unite; si è in presenza di una motivazione certamente esistente e priva di intrinseche illogicità e che solo attraverso un riesame fattuale, inammissibile in questa sede, potrebbe essere rimessa in discussione.
15. Il terzo motivo di ricorso è invece fondato e deve trovare accoglimento.
16. Costituisce affermazione costante di questa Corte quella secondo cui, in tema di azione di regresso, il datore di lavoro è obbligato nei confronti dell'Inail nei limiti dei principi che informano la responsabilità per il danno civilistico subito dal lavoratore; ne consegue che il giudice del merito, senza considerare l'ammontare dell'indennizzo previdenziale, deve calcolare il danno civilistico (ex artt. 1221 e 2056 c.c.), quale limite massimo del diritto di regresso dell'Inail, stabilendo, quindi, se l'importo richiesto dall'istituto rientri o meno nel predetto limite (v. Cass. n. 5385 del 2018; n. 255 del 2018; n. 17960 del 2006).
17. Nel caso in esame, la Corte di appello ha liquidato l'intera somma richiesta dall'Inail - erogata dall'Istituto all'infortunato quale indennizzo per l'incidenza dell'invalidità sulla sua capacità lavorativa - senza previamente stabilire quale somma sarebbe spettata allo stesso in risarcimento dei danni patrimoniali, in applicazione dei principi di diritto civile, relativi al risarcimento di tal genere di danno, come se i criteri di liquidazione del diritto civile e quelli stabiliti dalla normativa in tema di assicurazioni sociali contro gli infortuni sul lavoro venissero completamente a coincidere. In realtà, detti criteri non coincidono, né concettualmente - quanto al tipo di danno patrimoniale risarcibile in sede civilistica (tendenzialmente, solo l'incapacità lavorativa specifica, oltre alle spese vive) - né quanto alle modalità di calcolo delle percentuali di invalidità, che sono diverse, nell'una e nell'altra sede; né, quindi, quanto alla misura dell'incidenza dell'invalidità sull'attitudine al lavoro (v. Cass. n. 25 del 2008 cit., in motivazione). Posto quindi che il datore di lavoro è tenuto al pagamento nei confronti dell'Inail solo entro i limiti dei principi che informano la responsabilità civile per il danno subito dal lavoratore, il giudice del merito deve calcolare il predetto danno civilistico (ai sensi dell'art. 2056 cod. civ. e art. 1223 cod. civ., e segg.), che costituisce il limite massimo del diritto di regresso dell'Istituto, senza entrare nel merito della valutazione effettuata dall'Istituto a mezzo dei suoi sanitari ai fini del danno infortunistico, stabilendo, quindi, se l'importo richiesto dall'Istituto rientri o meno nel predetto limite.
18. La Corte di appello non si è attenuta ai principi appena richiamati, in quanto ha liquidato all'Inail l'intera somma richiesta, senza compiere alcun accertamento circa il danno patrimoniale risarcibile in sede civile, e pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla medesima Corte di Appello, in diversa composizione, affinché decida la vertenza uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti.
 

P.Q.M.
 

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nell’adunanza camerale del 20.1.2022