Cassazione Penale, Sez. 4, 10 maggio 2022, n. 18401 - Ribaltamento del carrello elevatore. DVR privo della valutazione del rischio specifico del sovraccarico, basculamento e oscillazione del muletto


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 25/11/2021
 

Fatto




1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 5 aprile 2018, ritenute prevalenti le circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante, ha ridotto la pena ad euro 200 di multa e ha concesso il beneficio della non menzione nei confronti di P.D., in relazione al reato di cui all'art. 590, commi primo, secondo e terzo, cod. pen., perché, quale Presidente del Consiglio di Amministrazione, Amministratore unico e datore di lavoro della società "Commerciale Tubi Acciaio s.p.a.", per colpa generica e per inosservanza dell'art. 28, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008, per aver omesso di redigere una relazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa contenente la specificazione dei criteri adottati per la valutazione stessa e dell'art. 28, comma 2, lett. b), cit., per non aver indicato nel documento di valutazione dei rischi le misure di prevenzione e protezione adottate al fine di ridurre al minimo il rischio di infortuni per lo sbilanciamento dei mezzi di sollevamento, cagionava al dipendente F.R., avente mansione di operaio carrellista, lesioni personali dalle quali derivava uno stato di malattia e di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per giorni 99, in quanto il lavoratore, alla guida del carrello elevatore CVS Ferrari F16 con le cinture di sicurezza allacciate, mentre movimentava all'interno del piazzale quattro tubi in acciaio da 18", a causa dell'improvviso spostamento in avanti dei predetti tubi sulle forche del carrello, perdeva il controllo del mezzo che si ribaltava, così provocandosi a causa del forte contraccolpo le lesioni personali sopra descritte - in Grugliasco il 23 luglio 2014.
La dinamica dell'infortunio è stata ricostruita in base alle dichiarazioni della persona offesa F.R., operaio carrellista alle dipendenze della società suindicata, del tecnico Spresal B.P., del teste del P.M. DL.P. e dei testi di difesa M.N. e C.B., colleghi dell'infortunato; in ordine alla durata delle lesioni, sono state disattese le conclusioni raggiunte dal consulente tecnico di difesa dr. Lorenzo Varetto ed è stata ritenuta provata la responsabilità del datore di lavoro, non essendosi ravvisato un evento imprevedibile nella condotta del lavoratore.
Il F.R. spiegava che, mentre era intento a movimentare un carico di tubi tramite un "muletto", per il repentino spostamento in avanti del contenuto del carico sospeso, il mezzo si impennava sulle ruote anteriori e, una volta tornato in posizione di equilibrio orizzontale, determinava un contraccolpo di assestamento sulle ruote posteriori. In conseguenza del sinistro, il F.R. riferiva di aver subito una forte sollecitazione alla colonna vertebrale, con conseguenze, che gli avevano impedito di attendere alle sue ordinarie occupazioni per lungo tempo, con rientro al lavoro dopo 99 giorni di malattia certificata dall'INAIL.
Lo sbilanciamento del muletto si era verificato perché l'operazione di movimentazione del carico era stata attuata ad un'altezza da terra eccessiva, per cui il carico sollevato dall'orca era divenuto instabile.
Su punto il teste c.t. dr. B.P. spiegava a dibattimento di aver constatato che, nella parte riguardante la movimentazione del piazzale, luogo dell'incidente, il DVR (lungo 400 pagine) aveva analizzato il rischio di movimentazione dei carichi, ma non il potenziale rischio di sovraccarico, di basculamento o comunque di oscillazione del carrello elevatore. Inoltre, in base alla consultazione delle voci del DVR e alla deposizione dei funzionari del servizio Spresal, emergeva la mancata previsione nel DVR del rischio specifico, in quanto la disciplina degli urti riguardava i rischi per i non conducenti il muletto, e non il rischio specifico per il mulettista e le precauzioni da seguire per evitare conseguenze lesive al lavoratore. Non era prevista una procedura operativa da assumere per le ordinarie operazioni di movimentazione dei carrelli elevatori.
Nella sentenza impugnata si è considerata irrilevante la valutazione dello Spresal sulla sufficienza delle integrazioni alle istruzioni di lavoro, ai fini dell'ottemperanza alle prescrizioni imposte a seguito dell'infortunio, trattandosi di un post factum non incidente sulla violazione.
Peraltro, si è esclusa l'abnormità della condotta del lavoratore, considerandosi verificato l'evento nell'esercizio e a causa dello svolgimento di un'attività integrata nel contesto lavorativo, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dal garante, con le opportune previsioni ed istruzioni. La condotta del lavoratore rientrava nel segmento di lavoro attribuitogli e non presentava caratteristiche di stranezza ed imprevedibilità tali da porla al di fuori di ogni possibile controllo.
Si è affermato che il comportamento negligente del lavoratore era comunque riconducibile all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio tale tipologia di rischio; cautele adottate solo dopo l'imposizione delle prescrizioni da parte della ASL competente.

2. Il P.D., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione degli artt. 590, comma terzo, cod. pen. e 28, comma 2, lett. a), b), d), D.Igs. n. 81 del 2008 e 43, comma terzo, cod. pen. per insussistenza della condotta colposa condizionalisticamente connessa all'evento.
Si deduce che, ai sensi dell'art. 28, comma 2, lett. a), cit., il datore di lavoro deve fissare i criteri di redazione del DVR e deve provvedere alla stesura «con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l'idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione». I DVR precedente e successivo all'infortunio (quest'ultimo modificato a seguito dell'intervento della ASL) erano sovrapponibili in punto indicazione del rischio. Il F.R., alla guida del carrello elevatore CVS, movimentava all'interno del piazzale quattro tubi, i quali, in ragione di una manovra imperita, urtavano contro il gan­ cio anteriore di contenzione e, di seguito, contro la protezione posteriore dell'organo di sollevamento, provocando un brandeggiamento del mezzo (non un ribaltamento come indicato in imputazione), che gli cagionava lesioni. L'accaduto, pertanto, già sotto il profilo strettamente letterale, rientrava nel pericolo previsto.
La Corte di appello ha erroneamente ritenuto «carente la valutazione del rischio specifico in cui era incorso il lavoratore, derivante dalla possibile instabilità dei carrelli elevatori durante le abituali operazioni di movimentazione ed immagazzinamento dei tubi sul piazzale». Al contrario, il documento in questione disciplinava tale punto: «I tubi movimentati con CVS possono essere fonte di urti per il personale e per i mezzi presenti sul piazzale». I carrelli elevatori (CVS) possono trasportare tubi solamente prelevandoli dal piazzale e movimentandoli, di talché il rischio specifico era indubitabilmente stato considerato.
Nella sentenza impugnata si è illogicamente affermata la mancata previsione nel DVR del rischio specifico per il mulettista. Il tenore letterale della previsione, infatti, non consentiva di ritenerla rivolta a tutto il personale tranne al conducente del mezzo e, nelle misure di prevenzione specifiche per contenere detto rischio si prevedeva espressamente, tra l'altro, la «perfetta visuale dalla posizione di guida del CVS», che costituiva un'indicazione rivolta al conducente. L'ASL si era successivamente limitata a richiedere integrazioni non riguardanti la previsione del rischio, ma solo le istruzioni operative. Si è affermato contraddittoriamente, da un lato, l'irrilevanza della successiva implementazione delle misure di prevenzione e protezione a seguito dell'intervento dell'ASL e, dall'altro, l'interruzione del nesso causale in caso di autonoma adozione delle cautele prima dei fatti di causa.
In ordine al profilo delle misure di prevenzione e, quindi, all'art. 28, comma 2, lett. b), d.lgs n. 81 del 2008, con l'integrazione costituita dall'istruzione HSM-08-IS era stata indicata la possibilità del brandeggiamento dei carichi mediante mezzi di sollevamento solo ove le pale fossero in minima elevazione da terra e ciò onde evitare che il movimento potesse causare lo sbilanciamento. Tuttavia, detta indicazione non costituiva una novità, ma solo la positivizzazione delle istruzioni fornite ai carrellisti. I lavoratori non erano autorizzati a movimentare i carichi in altezza. Ogni omissione di controllo sull'opera dei lavoratori o sulla loro formazione e informazione era esterna al perimetro dell'imputazione. L'inserimento di un'istruzione specifica scritta non aveva modificato la preventiva conoscenza in capo al dipendente dell'antidoverosità del comportamento tenuto.
Il lavoratore sapeva di muoversi al di fuori delle modalità di lavoro indicategli. Il presidio cautelare indicato era già in atto, anche se non in forma scritta. L'obbligo di assunzione di misura prevenzionale era stato assolto. All'imputato non era mai stato ascritto un omesso controllo sul contegno del dipendente e, d'altronde, il preposto deve sovrintendere e vigilare sull'opera del lavoratore ex art. 19, comma 1, lett. a), D.Igs. n. 81 del 2008. L'omissione, pertanto, era frutto di un'erronea applicazione del dettato normativo e difettava di nesso di causa con l'evento.
2.2. Violazione dell'art. 590, commi secondo e terzo, in relazione all'art. 583, comma primo, n. 1), cod. pen. sulla nozione di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni.
Si rileva che lo snodo fondamentale era costituito dal concetto di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni.
Il fatto avveniva il 23 luglio 2014. La prima diagnosi del 24 luglio 2014 era di distrazione del rachide cervicale e lombare con prognosi di giorni 10. Il 5 agosto 2014, era rilevata un'assai sottile e limitata iperdiafania, riferibile ad esito di infrazione corticale in avanzata fase di risoluzione. L'8 agosto 2014, era prescritta al paziente una risonanza magnetica alla colonna vertebrale in zona lombo-sacrale, da eseguire in caso di persistenza del dolore. Il 4 settembre 2014 (44 giorni dal fatto), il paziente esponeva di non aver eseguito la risonanza in ragione del miglioramento delle proprie condizioni. In base ad ulteriori certificazioni, sempre promananti dall'l­ nail, prive di accertamenti strumentali, l'inabilità al lavoro era ulteriormente prolungata.
L'infortunato, sentito a dibattimento, confermava che la lesione era stata notata dopo i fatti e che, in quel momento (il 5 agosto 2014, a distanza di 14 giorni dall'evento) era già in fase di guarigione (avanzata riferisce la relativa certificazione). La consulenza medico legale di parte della dr.ssa Varetto indicava la conclusione del processo di guarigione dell'infrazione corticale di un processo trasverso vertebrale in 20-30 giorni e, nella fattispecie, i fenomeni evolutivi erano già terminati. La lesione subita dalla persona offesa era già quasi guarita due settimane dopo il fatto per cui si era risolta prima del quarantesimo giorno dal fatto. La vittima, però, riferiva una sintomatologia dolorosa, in assenza di accertamenti diagnostici idonei a confermare l'apprezzabilità della menomazione, così ottenendo una dichiarazione di inabilità al lavoro. Ciò rendeva il computo del periodo di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni di una latitudine amplissima rispetto alla tipologia di lesione (99 giorni, cioè oltre il triplo indicato dal consulente tecnico di parte).
Come rilevato dal medico legale consulente di parte, l'infrazione alla zona lombare comporta una dolorabilità destinata ad attenuarsi negli anni fino probabilmente a scomparire. La soglia del dolore ha carattere soggettivo e le certificazioni Inail sono esclusivamente basate sulle dichiarazioni della persona offesa, la quale altresì decideva di non procedere a risonanza magnetica, proprio per il miglioramento delle proprie condizioni, prima del quarantesimo giorno dal fatto. L'estensione del concetto di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni che segue una malattia non più in atto non può essere lasciata alla percezione soggettiva della persona offesa, altrimenti il termine risulta profondamente divergente a seconda della sensibilità dell'interessato. La controparte è priva di strumenti per contraddire rispetto all'effettiva capacità della sensazione di dolore della persona offesa di incidere sulla possibilità di attendere alle attività ordinarie.
Nella fattispecie, l'assenza di accertamenti per scelta dell'offeso in ordine alla presenza di processi infiammatori a carico della muscolatura interessata dalla lesione patita non permette di assumere che la dolorabilità lamentata e la correlativa inabilità al lavoro dovessero riconnettersi al fatto lesivo.

 

Diritto



1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, va premesso che, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro è tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.lgs n. 81 del 2008, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355).
Il contenuto qualificante e minimo del DVR deve essere costituito, oltre che da una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, anche dall'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati (Sez. 3, n. 12940 del 12/01/2021, Carpentieri, Rv. 281238, in fattispecie, relativa ad un cantiere edile, di DVR non ritenuto congruo perché, pur essendo stati individuati i pericoli dovuti alla movimentazione manuale dei carichi, con particolare riguardo agli arti superiori, era stata omessa l'indicazione delle misure preventive da adottarsi nelle specifiche situazioni). La redazione del documento di valutazione dei rischi e l'adozione di misure di prevenzione, d'altronde, non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nell'identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione (Sez. 4, n. 43350 del 05/10/2021, Mara, Rv. 282241).
Affinché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, relativa a fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).
Da tali principi giurisprudenziali si evincono il ruolo pregnante e le responsabilità gravanti nel sistema antinfortunistico sul datore di lavoro. Questi, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare ed individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il DVR previsto dall'art. 28 d.lgs n. 81 cit., all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
1.1. In linea col suesposto quadro giurisprudenziale in materia, la Corte territoriale, con motivazione lineare e coerente, ha sottolineato l'incompletezza del DVR, in quanto privo della valutazione del rischio specifico, derivante dalla possibile instabilità dei carrelli elevatori durante le abituali operazioni di movimentazione ed immagazzinamento dei tubi sul piazzale, con particolare riferimento al pericolo derivante dalla potenziale oscillazione del carico e dallo sbilanciamento del muletto (per sovraccarico, basculamento o comunque oscillazione del carrello elevatore) nonché dalla carenza dell'indicazione delle cautele operative atte a fronteggiarlo.
La Corte di merito ha risposto alla censura prospettata dal ricorrente circa il carattere di semplicità che deve rivestire il DVR, evidenziando che tale caratteristica non può comportare la totale mancanza di istruzioni relativamente ai meccanismi di protezione del lavoratore.
La stessa difesa ha riportato la disciplina del DVR in materia all'interno del ricorso, ma non ha evidenziato nessun passaggio di tale documento riguardante le procedure operative predisposte dal datore di lavoro, al fine di fronteggiare i rischi per il personale addetto ai carrelli elevatori derivanti dal sovraccarico, dal basculamento o dall'oscillazione del carrello elevatore; rischi, evidentemente, strettamente connessi alla tipologia di attività lavorativa espletata.
Per quanto concerne, poi, l'asserito comportamento abnorme del lavoratore (de­ finito dal ricorrente come solo estraneo alle sue funzioni) e la dedotta idoneità dello stesso ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta contestata e l'evento, giova rammentare che le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza od imperizia, sicché la condotta imprudente dell'in­ fortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro. Infatti, deve considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento la sola condotta del lavoratore che si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, trattandosi in tal caso di un comportamento del tutto eccentrico ed esorbitante rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017).
Poiché il datore di lavoro nella fattispecie non aveva posto in essere le cautele finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, la responsabilità per l'evento verificatosi è stata legittimamente attribuita al comportamento del garante.
La natura imprudente della condotta, peraltro, non può essere esclusa in conseguenza della ritenuta sufficienza delle integrazione delle istruzioni di lavoro, costituendo esse un post factum ininfluente su detta oggettiva carenza.

2. In ordine al secondo motivo di ricorso, va ricordato che, nell'ipotesi prevista dall'art. 583, comma primo, n. 1), cod. pen., la lesione è grave se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo di vita la persona offesa ovvero una malattia o l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni. Ai fini dell'integrazione della circostanza, i tre eventi descritti dalla norma sono in rapporto di alternatività ed in particolare lo sono tra loro quelli legati al termine di durata. Di conseguenza, come costantemente insegnato da questa Corte, per la sussistenza dell'aggravante è sufficiente che anche solo una tra la malattia e l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni causate dalla condotta incriminata superi i quaranta giorni. E' dunque irrilevante che la prima abbia una durata inferiore se comunque la seconda invece supera la soglia temporale normativamente definita.
Sotto altro profilo va invece ribadito che l'incapacità di attendere alle proprie occupazioni non coincide necessariamente con il concetto di "attività lavorativa", con la conseguenza che ben può ritenersi sussistente la predetta aggravante nell'ipotesi in cui la vittima delle lesioni, pur essendo ritenuta abile al lavoro, rimanga tuttavia impossibilitata per un maggior tempo ad esplicare la sua attività ordinaria (Sez. 5, n. 11727 del 16/01/2020, P., Rv. 279043). Inoltre nella durata della "incapacità" deve essere compreso anche il periodo di convalescenza o quello di riposo dipendente dalla malattia (Sez. 5, n. 4014 del 27/10/2015, dep. 2016, Cucchiella, Rv. 267556).
Alla luce di queste consolidate linee ermeneutiche, le censure del ricorrente in merito alla configurabilità dell'aggravante appaiono dunque prive di fondamento, atteso che la Corte territoriale, in applicazione dei medesimi, ha correttamente rilevato che, al quarantatreesimo giorno dall'infortunio (ossia al 4 settembre 2014), il lavoratore, per l'ipomobilità della colonna vertebrale e per la sintomatologia dolorosa ancora in corso, con necessità di riposo funzionale, non era in grado di attendere alle ordinarie occupazioni, per cui residuava una malattia - limitazione funzionale - ovvero incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni penalmente rilevante.
Invero, il 4 settembre 2014, l'ortopedico, giudicando non ancora risolta la malattia, prescriveva riposo funzionale nonché riabilitazione con fisioterapia e tecarterapia in modo intensivo per due settimane, attestando l'impossibilità di ripresa del lavoro sino al 18 settembre 2014.
I giudici di merito, pertanto, hanno riconosciuto l'aggravante delle lesioni superiori a quaranta giorni applicando i principi sopra riportati, avendo legittimamente ricompreso il periodo di convalescenza o quello di riposo dipendente dalla malattia nella nozione di incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni di cui all'art. 583, primo comma, n. 1), cod. pen..
Il percorso argomentativo appare dotato di intrinseca coerenza logica e non fondato su semplici illazioni, congetture o sul dati di natura meramente formale.
Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il superamento dei quaranta giorni di durata della malattia - e/o dell'incapacità per la vittima di attendere regolarmente alle proprie ordinarie occupazioni che non deve essere assoluta - non derivava esclusivamente da dichiarazioni della persona offesa né tantomeno dalla sua personale percezione del dolore, bensì si basava anche sul contenuto di documentazione sanitaria, che non ha formato oggetto di specifica censura (e, in particolare, la citata prescrizione dell'ortopedico).

3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 


P. Q. M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal consigliere estensore e dal consigliere più anziano del collegio per impedimento del Presidente, ai sensi dell'art. 546, comma 2, cod. proc. pen..
Così deciso in Roma il 25 novembre 2021.