Cassazione Penale, Sez. 4, 10 maggio 2022, n. 18409 - Caduta dalla piattaforma mobile elevabile. Istanza di restituzione nel termine per proporre impugnazione non fruito a causa del Covid


 

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 25/01/2022
 

Fatto

 


1. Con sentenza emessa in data 20 luglio 2018, il Tribunale di Brescia, all'esito di giudizio abbreviato condizionato, ha dichiarato T.M. responsabile del reato di cui all'art. 590, commi 1 e 3, in relazione all'art. 583 cod.pen., per avere, in qualità di amministratore unico dell'impresa T.M., cagionato per colpa lesioni personali gravi ai lavoratori G.M. e B.N., condannando l'imputato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante e, operata la riduzione per il rito, alla pena condizionalmente sospesa di giorni 20 di reclusione, con concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.
La Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 15 dicembre 2020, ha confermato la pronuncia di primo grado.
Il fatto concerne l'infortunio sul lavoro occorso alle predette persone offese, precipitate da un'altezza di metri 3,70, mentre si trovavano su una piattaforma mobile elevabile intente a realizzare l'installazione di tubi lungo le campate del tetto di un edificio in cui doveva essere allestito un supermercato.
Il Tribunale e la Corte d'appello, nelle due sentenze conformi, giungevano alla conclusione che l'imputato dovesse essere ritenuto responsabile dell'infortunio perché aveva fornito ai lavoratori un macchinario non conforme alle sue caratteristiche originarie e al manuale d'uso e privo di un fondamentale dispositivo di sicurezza, in presenza del quale l'infortunio non si sarebbe verificato. Si era accertato che la piattaforma era stata dotata di un interruttore a levetta destinato a inibire il funzionamento di un microinterruttore che, secondo il manuale, impediva la trazione quando il piano di lavoro della piattaforma raggiungeva un'altezza superiore a 2,80 metri. Essendo stata la piattaforma collocata su un un terreno sconnesso ed avendo gli operai superato di molto la quota di sicurezza per attendere alla lavorazione a cui erano stati adibiti, la piattaforma si era ribaltata, determinando la rovinosa caduta del G.M. e del B.N..

Ritenevano pertanto integrate diverse violazioni delle norme antinfortunistiche, addebitando all'imputato di avere messo a disposizione dei lavoratori un macchinario nel quale era stato disattivato il dispositivo di sicurezza, di non avere provveduto alla formazione dei lavoratori e di avere omesso la necessaria vigilanza.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore, articolando i seguenti motivi di ricorso.
I) Violazione dell'art. 43 cod. pen.
Il giudice di appello avrebbe del tutto sottovalutato le censure difensive, ravvisando a carico del ricorrente una responsabilità da posizione.
Avrebbe trascurato di considerare che la piattaforma elettrica mobile, presa a nolo da altra ditta, era stata consegnata in cantiere nel tardo pomeriggio del giorno precedente all'infortunio, accompagnata da regolare dichiarazione di conformità ai requisiti di sicurezza di cui all'art. 70 d.lgs. 81/08 e che la manomissione del sistema di sicurezza era difficilmente individuabile ictu oculi.
La messa in sicurezza della pavimentazione dei luoghi in cui si svolgevano i lavori non competeva alla ditta individuale dell'imputato, ma alla società società appaltatrice dei lavori "Benvenuti costruzioni s.p.a.".
La consapevolezza della pavimentazione sconnessa sussisteva anche in capo ai due lavoratori infortunati, che, in virtù del modello collaborativo introdotto dall'art. 20 d.lgs. 81/08, sono depositari di altrettanti obblighi a tutela della loro salute, essendo previsto che si facciano carico di segnalare al datore di lavoro le deficienze dei mezzi e dei dispositivi in dotazione.
La Corte sarebbe incorsa in un evidente errore di sottovalutazione, non interrogandosi sul profilo della causalità della colpa in relazione all'addebito mosso all'imputato di non avere dotato i propri dipendenti di attrezzature idonee e conformi agli standard minimi di sicurezza.
Nel caso in esame l'utilizzo della piattaforma elettrica mobile elevabile era stata affidata dall'imputato al G.M., dipendente della società dal dicembre 1991, rappresentante per la sicurezza dei lavoratori (RLS) dell'impresa, specificamente formato e informato sull'uso di mezzi per lavori in quota (v. seguito alla prima CNR ASL Brescia del 14.10.2014), il quale, all'incirca due anni prima dell'infortunio, presso altri cantieri, aveva utilizzato la stessa piattaforma elettrica mobile elevabile, conoscendo bene il suo funzionamento. Alla luce di ciò non può ritenersi che il G.M., persona particolarmente esperta e preparata, non possedesse le cognizioni necessarie per rendersi conto del rischio che correva mediante la condotta imprudente posta in essere nella circostanza dell'infortunio. Ed invero, dalle emergenze processuali risulta che i due operai si spostarono in retromarcia per collocare la piattaforma in corrispondenza del sito in cui dovevano realizzare i lavori, mantenendo la buca sotto il telaio della macchina.
In ordine alla mancata formazione del lavoratore S., quand'anche l'imputato avesse osservato la norma cautelare che gli viene addebitata, l'evento si sarebbe egualmente verificato: il G.M., mosso da ragioni del tutto estranee alla problematica della sicurezza, pose in essere la manovra in questione pur rendendosi perfettamente conto della sua pericolosità.
Con riguardo all'ulteriore addebito di avere omesso di vigilare affinché la piattaforma fosse utilizzata in maniera conforme alle prescrizioni, valgono le considerazioni svolte in precedenza: il ricorrente aveva fatto affidamento sulla esperienza del G.M., specificamente formato e informato sull'uso di mezzi per lavori in quota. L'imputato non era oggettivamente nelle condizioni di poter percepire che i due lavoratori danneggiati stessero disattendendo le disposizioni previste nel Documento di valutazione dei rischi; né razionalmente può pretendersi che il datore di lavoro debba continuamente monitorare l'operato dei lavoratori, giacché, cosi facendo, si realizzerebbe una sorta di duplicazione del compito gravante su ciascuno dei destinatari degli obblighi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, annullando quella ripartizione delle responsabilità e dei doveri sui quali si fonda l'intero impianto normativo del Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. 81/08.
II) Istanza di restituzione nel termine per impugnare ai sensi dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen.
Nelle more della pendenza dei termini per impugnare, l'imputato era colpito da infezione "SARS Covid 2", con disposto isolamento domiciliare dall'1/3/2021 al 28/3/2021, come da documentazione allegata al ricorso. In ragione della malattia egli si è trovato nella impossibilità di recarsi dal difensore per conferire mandato al fine d'impugnare la sentenza della Corte di appello ed esercitare il diritto di difesa.
Si richiede pertanto che la Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen. voglia restituire l'imputato nei residui termini di legge per proporre impugnazione non fruiti durante il periodo di necessario isolamento.

 

Diritto
 



1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto tardivamente.
2. Risulta assorbente rispetto ad ogni altra doglianza la risoluzione della questione riguardante la richiesta di restituzione nel termine per impugnare, questione proposta dal difensore contestualmente al ricorso per cassazione (motivo secondo della impugnazione).
3. Occorre osservare preliminarmente come, ai sensi dell'art. 585, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., il termine di quarantacinque giorni per impugnare la sentenza della Corte d'appello di Brescia scadesse in data 30/3/2021.
Invero risulta dalle attestazioni riportate sulla sentenza che il deposito della motivazione è avvenuto in data 12/2/2021, nel termine di sessanta giorni fissato per il deposito in dispositivo, che giungeva a scadenza il 13/2/2021.
L'impugnazione, come da attestazione della cancelleria, è stata depositata in data 14/4/21, oltre il termine ultimo sopra indicato.
4. La difesa rappresenta e documenta che l'imputato, colpito da Covid, si è trovato nell'impossibilità, a causa dell'isolamento domiciliare, di rilasciare mandato al difensore di fiducia per promuovere ricorso per cassazione.
Dalla certificazione prodotta risulta che l'imputato è stato colpito dal morbo in data 1/3/21 ed è stato impedito fino al 28/3/21 (data in cui è cessato l'isolamento).
Nel congruo periodo dal 13/2/21 fino all'l/3/21 (data d'insorgenza della malattia) l'imputato non si è attivato presso il difensore per rilasciare il mandato al fine di promuovere il ricorso.
Ciò, tuttavia, non costituisce valida ragione per escludere la possibilità di consentire l'accesso all'istituto della restituzione nel termine per impugnare, residuando l'ulteriore periodo utile, dall'l al 28 marzo 2021 (data di cessazione della condizione morbosa e dell'isolamento), in cui l'imputato non ha potuto fruire della legittima facoltà di rilasciare mandato al difensore per promuovere impugnazione.
Occorre evidenziare, a questo fine, come, nel valutare la richiesta di rimessione in termini per proporre impugnazione, si debba tenere conto del fatto che l'interessato abbia diritto a godere di tutto il tempo previsto dalla legge per presentare l'impugnazione, non potendo tale periodo essere passibile di riduzioni, che comporterebbero una indebita compressione del diritto di difesa, in violazione dei principi costituzionali garantiti dagli artt. 3 e 24 Cost. (cfr. in argomento Sez. 5, n. 34875 del 05/04/2004, Rv. 229887: "Una volta accertata la tempestività della richiesta e la sussistenza dei presupposti stabiliti dall'art. 175 cod. proc. pen., l'interessato è restituito nel termine stabilito a pena di decadenza, intendendosi per tale l'intero termine e non la frazione di esso che residua al momento del verificarsi del presupposto legittimante la restituzione"; Sez. 4, Sentenza n. 1329 del 23/04/1998, Rv. 211641: "'Nel valutare la richiesta di remissione in termini per proporre impugnazione occorre tenere conto del fatto che l'interessato ha diritto a godere di tutto il tempo previsto dalla legge per presentare l'impugnazione, che, nel nuovo codice di rito prevede, oltre alla dichiarazione, l'elaborazione e la produzione dei motivi").
Quanto alla natura dell'impedimento, in termini generali, deve ritenersi che una malattia che comporti, come nel caso d'infezione da COVID, il necessario isolamento domiciliare della persona imputata costituisca causa di forza maggiore, trattandosi di condizione che impedisce in modo assoluto al soggetto interessato di allontanarsi dal proprio domicilio e di avere contatti con altre persone. Tale condizione esclude il pieno esercizio delle facoltà riconosciute all'imputato di provvedere alla nomina del difensore e di rilasciare mandato per promuovere impugnazione, presupponendo tali attività che l'interessato lasci il proprio domicilio per recarsi nello studio del difensore e che abbia contatti con altre persone.
Nella nozione di causa di forza maggiore, infatti, rientrano tutte quelle circostanze che integrino, come nella fattispecie in esame, un impedimento assoluto che derivi da ragioni esterne non imputabili al soggetto che versi in tale situazione (cfr. in ordine alla nozione di forza maggiore cfr., ex multis, Sez. 1, n. 12712 del 28/02/2020, Rv. 278706).
Il caso di forza maggiore, così inteso, è contemplato dall'art. 175, comma 1, cod. proc. pen. quale requisito per la restituzione nel termine per impugnare.
Deve tuttavia osservarsi come la stessa norma preveda il termine di decadenza di dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente forza maggiore per la presentazione della richiesta.
Nel caso di specie l'impedimento, come da documentazione allegata dalla difesa, è cessato in data 28/3/21. Il ricorso, contenente la richiesta di restituzione nel termine per impugnare, è stato depositato in data 14/4/2021. La domanda è dunque tardiva, perchè presentata oltre il termine di decadenza previsto dall'art. 175, comma 1, cod. proc. pen. che veniva a scadere il 7 aprile 2021.
Tutto ciò si riverbera sull'ammissibilità del ricorso, il quale, come illustrato sopra, è stato depositato oltre il termine per impugnare.
3. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000),

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso il 25 gennaio 2022