Tribunale di Vicenza, Sez. Civ., 05 gennaio 2022, n. 425 - Lavoratrice fragile licenziata per giusta causa per attività extralavorative svolte in periodo di Covid-19


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Vicenza - Settore delle controversie di lavoro e di assistenza e previdenza sociale

in persona del giudice dottor Gaetano Campo, ha pronunciato la seguente

SENTENZA



nella causa di lavoro e di assistenza e previdenza obbligatorie iscritta al n. 293/2021 del Registro Generale e promossa da ...

ricorrente


nei confronti di ...
 

...

 

resistente

 

Oggetto: Licenziamento individuale per giusta causa
 

Causa discussa all'udienza del 11.11.2021.
Conclusioni formulate dalle parti come in atti.

 



Le questioni oggetto di causa



La ricorrente, dipendente della società resistente dall'8.3.2018 e addetta all'attività di back office, impugna il licenziamento disciplinare irrogatole con comunicazione del 4.11.2020, a seguito della contestazione disciplinare del 26.10.2020, con cui le è stato contestato di aver partecipato direttamente all'apertura di un bar, gestito da una società da lei costituita, a due feste tenutesi nel locale il 18 settembre e il 2 ottobre 2020 e di aver lavorato direttamente al banco nei giorni 2 e 9 ottobre 2020, rispettivamente dalle 20,30 alle 2,10 e dalle 20,30 alle 1,45, durante il periodo di assenza dal lavoro quale lavoratrice fragile ai sensi dell'art. 26 comma 2 DL 18/2020.
L'impugnazione si fonda sui seguenti motivi:
a) mancanza di rilievo disciplinare dei fatti contestati, attesa la loro natura lecita e l'assenza di qualsiasi riferimento a situazioni che  avrebbero potuto determinare un aggravamento o un ritardo nella ripresa del lavoro; in sostanza, nessuna contestazione di violazione della disciplina diretta a limitare i contagi è stata prospettata dalla datrice di lavoro;
b) insussistenza della condizione di malattia o di danno potenziale per il datore di lavoro. A questo proposito, la ricorrente sostiene che la propria condizione non era di lavoratrice assente per malattia, ma di lavoratrice temporaneamente inidonea alla prestazione lavorativa per motivi di carattere ambientale covid-correlati (in particolare per l'impossibilità di poter operare in ambiente riservato esclusivamente a lei o a distanza, in smart working o in telelavoro). In questa prospettiva l'equiparazione dell'assenza dal lavoro alla malattia, prevista dalla legislazione di emergenza (art. 26 comma 2 D.L. 18/2020 e successive proroghe), ha una mera funzione preventiva di tutela di soggetti fragili, per evitarne l'esposizione all'agente patogeno. Pertanto, non valgono per i lavoratori fragili, secondo la legislazione di emergenza, le stesse regole dettate per i lavoratori assenti per malattia, per cui i comportamenti oggetto della contestazione disciplinare non hanno alcuna incidenza sulla ripresa dell'attività lavorativa;
c) violazione del principio di proporzionalità, attesa l'assenza di precedenti disciplinari e la collocazione oraria dell'attività prestata nel bar, al di fuori dell'orario di lavoro alle dipendenze della società resistente;
d) violazione del principio di tempestività e di specificità della contestazione disciplinare.
La società resistente si è costituita, ha preso posizione su tutti i motivi di impugnazione, ha contestato la fondatezza della domanda e ne ha chiesto il rigetto.
 

Diritto


La domanda non è fondata e va respinta.
Per quanto attiene ai motivi formali di impugnazione del licenziamento, riferiti alla violazione del principio di tempestività e di specificità della contestazione disciplinare, occorre rilevare quanto segue.
Quanto alla tempestività, la contestazione del 20 ottobre si riferisce a episodi collocati nei giorni 11 settembre, 18 settembre, 2 e 9 ottobre 2020.
La società resistente sostiene di essere stata informata dell'attività svolta dalla ricorrente presso il bar gestito dalla società da lei costituiti nel mese di settembre 2020 e di essersi prontamente attivata per accertare i fatti, incaricando allo scopo un'agenzia investigativa privata. In questo senso, dalla relazione dell'agenzia investigativa, prodotta sub doc 17, emerge che l'incarico è stato conferito il 29 settembre ed ha portato all'accertamento dei fatti contestati.

Sul punto, costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per cui il requisito dell'immediatezza della contestazione debba essere inteso in senso relativo, riferito allo spazio temporale necessario alla valutazione dei fatti da parte del datore di lavoro, in relazione alla loro problematicità o alla complessità dell'organizzazione dell'impresa (cfr. Cass. 2580\2009; Cass. 29840\2008).
La S.C. ha sottolineato come il principio dell'immediatezza della contestazione miri, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore, in relazione al carattere facoltativo dell'esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede. In questo senso, La S.C. ha sottolineato come "tra l'interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obbiettiva ragione e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest'ultimo, tutelata "ex lege", senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell'organizzazione aziendale" (cfr Cass. 13167/2009). Il principio conferma l'orientamento della S.C. che esige che il datore di lavoro debba procedere alla contestazione non appena abbia acquisito una compiuta e meditata conoscenza dei fatti oggetto di addebito (cfr. Cass. 29627/2018).
L'applicazione di questi principi alla vicenda in esame porta a ritenere osservato il principio di immediatezza della contestazione disciplinare, che è seguita di pochi giorni al pieno accertamento dei fatti da parte del datore di lavoro. Peraltro, il limitato arco di tempo tra le condotte e la contestazione non ha inciso sull'esercizio del diritto di difesa da parte della lavoratrice dal momento che tra i fatti e la contestazione sono trascorsi solo pochi giorni (il primo degli episodi, quello del giorno 11 settembre, è stato tratto dalla bacheca del profilo Facebook della lavoratrice cfr. pag. 6 della relazione investigativa-, mentre la contestazione segue di pochissimi giorni gli altri episodi contestati.)

Va anche considerato che l'accertamento ha riguardato fatti verificatisi fuori dall'ambiente di lavoro, di conseguenza più difficilmente accertabili da parte del datore di lavoro, questo con riferimento al carattere relativo di questo requisito dell'azione disciplinare.
Va inoltre considerato che, sul punto, la ricorrente non ha indicato specifici impedimenti al pieno esercizio del diritto di difesa, né i pochi giorni trascorsi tra gli episodi e la contestazione hanno potuto fondare un'aspettativa su un'eventuale valutazione di irrilevanza disciplinare del fatto da parte del datore di lavoro.
Quanto alla violazione del principio di specificità, la preventiva contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore l'immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.; per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore cfr. Cass. 16683\2015).
Nel caso in esame, i fatti oggetto di contestazione sono individuati in modo sufficientemente speci ricorrente, dal momento che la contestazione colloca nel contesto spaziale e temporale le condotte addebitate, descrivendole in modo compiuto e in termini tali da consentire alla lavoratrice di prendere precisa posizione su ognuno di essi.
 

***
 

Occorre a questo punto esaminare gli ulteriori motivi di impugnazione.
Sul punto va peraltro premesso che la ricorrente non contesta i fatti riportati nella contestazione, ma li ritiene irrilevanti sul piano disciplinare.
A questo proposito è necessaria una premessa, che collochi nel corretto contesto normativo la situazione della ricorrente quando i fatti si sono verificati, per consentire così di determinare le reciproche obbligazioni delle parti e accertare da parte della lavoratrice la violazione di eventuali obblighi derivanti dal rapporto di lavoro.
La ricorrente è stata assunta ex l. 68/1999, recante norme per il diritto al lavoro dei disabili, in quanto portatrice di patologie bronchiali; a seguito delle visite mediche eseguite il 22 giugno e il 31 agosto 2020 è stata valutata temporaneamente inidonea al lavoro, quando era già collocata in malattia dal 12 marzo al 20 ottobre 2020 (cfr. doc. 5 e 6 allegati al ricorso e certificati medici sub doc. 13 prodotti dalla società).
Fino al 30 giugno 2021, laddove la prestazione lavorativa non possa essere resa in modalità agile ai sensi del comma 2-bis, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ivi inclusi i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, il periodo di assenza dal servizio è equiparato al ricovero ospedaliero ed è prescritto dalle competenti autorità sanitarie, nonché dal medico di assistenza primaria che ha in carico il paziente, sulla base documentata del riconoscimento di disabilità o delle certificazioni dei competenti organi medico-legali di cui sopra, i cui riferimenti sono riportati, per le verifiche di competenza, nel medesimo certificato."
Con d.l. 104/2020 il termine è stato prorogato fino al 15 ottonre 2020, con ulteriore proroga, per effetto dell'art. 1 comma 481 l. 178/2020 e, più in particolare, dell'art. 15 comma 1 lett. a) d.l. 41/2021,
che ha esteso questa tutela dal fino al 30 giugno 2021, intervenendo direttamente sull'art. 26 comma 4 d.l.18/2021 e coprendo così l'intero periodo dal 17 marzo 2020 al 30 giugno 2021.
La disciplina richiamata ha equiparato l'assenza dal lavoro dei lavoratori "fragili" al ricovero ospedaliero, prescrivendo che l'attestazione di questa condizione provenisse dall'autorità sanitaria o dal medico cui il lavoratore era in carico.
Di conseguenza, nel periodo in cui si sono svolti i fatti la ricorrente non avrebbe potuto recarsi in azienda proprio per evitare situazioni di pericolo di contagio da Covid-19, derivate dalla contiguità con colleghi di lavoro o clienti e fornitori o terzi con cui avrebbe potuto entrare in contatto nel corso dell'attività lavorativa.
In questa situazione, posta a tutela della salute della lavoratrice, le condotte accertate e non contestate sono state idonee a porre la ricorrente in una situazione di pericolo addirittura superiore a quella che avrebbe incontrato in un ambiente di lavoro sottoposto all'applicazione del protocollo di cui al doc. 3 prodotto dalla società (ma cfr. pure doc. 6 7 prodotti dalla società, concernenti le regole di comportamento per i dipendenti e i terzi).
Infatti, come emerge dalla relazione investigativa e dalle fotografie allegate, la ricorrente, che pure è stata ritenuta inidonea a lavorare in azienda all'interno del proprio ufficio di appartenenza, ha lavorato in un pubblico esercizio, aperto al pubblico, organizzando e partecipando alla serata inaugurale con karaoke, tenendo la mascherina di protezione abbassata sotto il naso e la bocca, a stretto contatto con altre persone.
Si tratta quindi di comportamenti tenuti nella vigenza del rapporto di lavoro, in una situazione particolare di sospensione dovuta a tutela delle condizioni di salute della ricorrente, del tutto confliggenti con quelle esigenze di tutela della salute alla base della valutazione di inidoneità al lavoro, fatti aggravati, sul piano della rilevanza disciplinare, dalla particolare patologia della ricorrente, interessante l'apparato respiratorio, notoriamente colpito da Covid 19, in una situazione di particolare allarme causato dalla rapida e invasiva diffusione della patologia da Covid-19, in una situazione di particolare allarme causato dalla rapida e invasiva diffusione della patologia da Covid-19.
La ricorrente sostiene l'irrilevanza disciplinare della condotta, dal momento che, in ogni caso, in assenza della possibilità di lavorare da remoto, ella non avrebbe potuto recarsi al lavoro.
La tesi è indubbiamente suggestiva, ma non coglie l'incidenza che la condotta ha avuto sull'organizzazione aziendale e sul pericolo di contagio cui la stessa è stata esposta.
Sotto il primo profilo, l'attività svolta presso il bar contraddice il giudizio di inidoneità al lavoro a tutela della salute dal contagio. In questo senso, la lavoratrice ha potuto assentarsi dal lavoro proprio per tutelare la propria salute dai pericoli di contagio. L'aver svolto un'attività lavorativa incompatibile contraddice in modo evidente le ragioni stesse giustificatrici della sua assenza dall'azienda che non ha potuto fruire della prestazione lavorativa.
Le specifiche modalità delle condotte contestate portano poi a superare il rilievo per cui alla ricorrente non era impedito di svolgere le normali attività di vita, come fare la spesa o uscire di casa; infatti, la ricorrente ha realizzato condotte che l'hanno sottoposta ad una situazione di pericolo per la salute più intensa rispetto allo svolgimento delle ordinarie occupazioni di vita. Va infatti considerato che al lavoratore assente per malattia è inibito non di svolgere altre attività, ma solo quelle incompatibili con la condizione di malattia o che lo pongano in situazioni tali da aggravare la malattia o ritardare la guarigione (cfr. Cass. 26496/2018; Cass. 1041/2017).
Alla vicenda in esame sono applicabili i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in punto ad attività consentite al lavoratore assente per malattia.
In questo senso, va considerato che la ricorrente è stata assente per malattia dal 12 marzo 2020 e che i giudizi di inidoneità temporanea per la condizione di fragilità, risalenti a giugno e agosto del 2020, si sono sovrapposti a questa condizione. Va poi considerato che, in base alla disciplina richiamata, l'assenza dal lavoro dovuta a fragilità è equiparata al ricovero ospedaliero e quindi ad una condizione di malattia, sia pure non incidente sul comporto. Occorre poi considerare che la specifica tutela prevista dal D.L. 18/2020 pone a carico dell'Inps gli effetti economici (art. 26 comma 5) e sacrifica l'interesse del datore di lavoro a fruire della prestazione del lavoratore fragile a tutela delle condizioni di salute di quest'ultimo. Proprio i riflessi che questa tutela ha sul piano dell'equilibrio contrattuale rendono pregnante l'osservanza dei doveri di correttezza e buona fede anche a tutela dell'interesse della controparte del rapporto.
Sotto questo profilo, è irrilevante, sul piano della valutazione della rilevanza disciplinare delle condotte contestate, che la ricorrente non sia stata destinata a svolgere l'attività lavorativa da remoto, dal momento che nel periodo di assenza dal lavoro la lavoratrice avrebbe dovuto comunque osservare i principi di correttezza e buona fede che sono stati richiamati.
Sotto questo profilo, sono applicabili anche alla vicenda in esame i principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di doveri del lavoratore nel periodo di assenza per malattia, quando lo svolgimento di altra attività lavorativa è consentita a condizione che non determini, per le sue concrete modalità di svolgimento, alcun rischio di aggravamento della patologia né alcun ritardo nella ripresa del lavoro, e dunque senza violazione degli obblighi di correttezza e buona fede (cfr. Cass. 3655/2019; Cass. 1173/2018).
Le considerazioni svolte portano a ritenere infondato anche il motivo di impugnazione incentrato sul difetto di proporzionalità tra gravità in concreto delle condotte e sanzione adottata, in considerazione dell'arco temporale nel quale le condotte sono collocate e della loro reiterazione, della situazione di pericolo che la ricorrente si è volontariamente procurata. Si tratta di elementi che portano a ritenere sussistente la nozione di giusta causa di cui all'art. 2119 c.c. sostanziandosi in comportamenti di gravità tale, per l'evidente lesione dei principi di correttezza e buona fede, da incidere in misura irrimediabile sul vincolo fiduciario.
Le considerazioni che precedono portano al rigetto della domanda.
La complessità delle questioni in diritto e la loro novità costituiscono giusto motivo di compensazione delle spese di lite.
 

P.Q.M.
 


Definitivamente decidendo, ogni diversa istanza disattesa,
A. Respinge la domanda;
B. Compensa tra le parti le spese di lite;
C. Fissa in 60 giorni il termine per il deposito della motivazione. Vicenza, 11.11.2021.
Il cancelliere Il giudice del lavoro (dr. Gaetano Campo)