Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 giugno 2022, n. 17974 - Mobbing in Università: la dequalificazione professionale non basta


 

 

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: DE MARINIS NICOLA
Data pubblicazione: 03/06/2022
 


Rilevato
- che, con sentenza del 10 dicembre 2015, la Corte d'Appello di Bari, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Bari, rigettava la domanda proposta da D.C. nei confronti dell'Università degli Studi di Bari, avente ad oggetto la condanna dell'Università al risarcimento del danno "da dequalificazione professionale, demansionamento e forzata inoperosità, perdita di chance, esistenziale e da mobbing";
- che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto non essere emerso dal materiale istruttorio né un demansionamento, né un'emarginazione lavorativa determinata da comportamenti datoriali, né una situazione di forzata inoperatività, frutto di un disegno vessatorio, con riferimento alla situazione esistente alla data della domanda, né un intento datoriale persecutorio, evidenziandosi piuttosto solo un raffreddamento dei rapporti tra la ricorrente e la professoressa con cui più a lungo aveva fattivamente collaborato venendo coinvolta in attività ulteriori rispetto a quelle proprie della qualifica posseduta;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la D.C., affidando l'impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l'Università di Bari;
- che la ricorrente ha poi presentato memoria;
 

Considerato
che con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione di quanto dedotto circa le mansioni svolte dalla stessa da settembre 2010 ed il suo stato di inattività con conseguente travisamento delle risultanze istruttorie ed erroneità della ritenuta carenza di prova;
- che con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 421 c.p.c., 2697 e 2087 c.c. e 437, comma 2, e 257 c.p.c., la ricorrente imputa alla Corte territoriale di aver fondato il proprio convincimento sulla sola, distorta e parziale, valutazione delle risultanze delle prove orali, conferendo veridicità assoluta alle dichiarazioni rese dai testi di parte resistente, comprimendo le dichiarazioni rese dai testi indicati da parte ricorrente, amplificando quelle rese dalla professoressa M., escussa come teste, indicata come mobber, omettendo di valutare la copiosa documentazione agli atti del processo di primo grado, oltre che quella prodotta in sede di gravame, in quanto successiva alla conclusione del processo di primo grado e approdando all’accoglimento dell’appello interposto;
che entrambi i motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati, risultando il libero apprezzamento del materiale istruttorio operato dalla Corte territoriale, insindacabile in questa sede, sfociare del tutto plausibilmente nel convincimento per cui i pregiudizi lamentati dalla ricorrente fossero solamente il frutto di screzi e conflitti interpersonali nell'ambiente di lavoro, in particolare con la persona che ne aveva promosso l'attività con il coinvolgimento in compiti eccedenti la qualifica rivestita, non caratterizzati, per la loro stessa natura, da volontà persecutoria, e come tali, idonei ad escludere il mobbing viceversa connotato da quella volontà (cfr., da ultimo, Cass. n. 28120/2021, Cass. n. 10992/2020, Cass. n. 12347/2018 e Cass. n. 26684/2017, secondo cui, ai fini della configurabilità di una condotta datoriale mobizzante, l'accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime non rappresenta condizione sufficiente, essendo necessario, a tal fine, che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali costituiscono il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione).
- che il ricorso va, dunque, rigettato;
- che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
 

P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 marzo 2022.