Cassazione Penale, Sez. 4, 07 giugno 2022, n. 21863 - Caduta mortale. Responsabilità del RSPP che pur consapevole del rischio e della irregolarità del POS, mancante di firma del CSE, non aveva ritenuto di segnalare la situazione deficitaria del cantiere


 

 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 18/05/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Terni, con la quale M.V., tra gli altri, era stato condannato per omicidio colposo ai danni del lavoratore D.M. - nella qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) della COSEMI S.p.A. - ha riconosciuto all'imputato la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6, cod. pen., ritenuta - in uno con le già concesse generiche - prevalente, conseguentemente riducendo la pena e confermato nel resto.

2. La vicenda riguarda l'infortunio mortale occorso al lavoratore D.M., dipendente della COSEMI s.r.l., incaricato di eseguire dei lavori sul tetto di un immobile da attrezzare per il montaggio di pannelli solari su un capannone di proprietà della CARTIERA ONDULATO UMBRO, su commissione della Soc. GENERA S.p.A. Nell'occorso, la vittima era salita sul tetto con un carrello elevatore e aveva iniziato ad apporre alcuni profilati metallici indicatigli dal capo cantiere, camminando sul tetto, nonostante questo fosse coperto di ghiaccio e brina che non consentivano di distinguere le parti calpestabili da quelle che non lo erano; le condizioni climatiche, ambientali e fattuali, secondo la prospettazione accusatoria recepita nelle due sentenze di merito, erano negative e avevano reso sconsigliabile l'inizio delle lavorazioni, la cui esecuzione avrebbe richiesto la predisposizione delle necessarie precauzioni a tutela della sicurezza dei lavoratori, mancanti nella specie, con specifico riferimento al pericolo di caduta dall'alto, stante l'assenza della previsione nel POS di tale rischio e la mancata predisposizione di linee vita cui ancorare la imbracatura indossata dagli operai, ma anche di una copertura con assi di legno o pallets da porre sui lucernari che ne erano privi.
Il Tribunale, oltre all'imputato, nella qualità, aveva condannato anche il datore di lavoro (M.M., quale legale rappresentante dell'ente), inviato gli atti al pubblico ministero quanto al preposto (I.M.) e assolto invece il responsabile dei lavori e coordinatore per la sicurezza nella progettazione e esecuzione (P.S.), assoluzione confermata dal giudice del gravame con rigetto degli appelli interposti sul punto dal pubblico ministero e dalle parti civili.
All'odierno ricorrente si è contestato, in particolare, di avere indicato nel POS la protezione dei lucernari orizzontali in difformità da quanto indicato nel PSC, in violazione degli artt. 96, comma 1, d. lgs. n. 81/2008; di avere, in violazione degli artt. 115 e 111 stesso decreto legislativo, omesso di fornire indicazioni su come ancorare le cinture di sicurezza e di indicare nel POS il rischio di caduta dall'alto, anche in considerazione delle condizioni ambientali dovute alla stagione invernale e alla presenza di brina che aumentava quel rischio e non consentiva di distinguere le parti non calpestabili del piano di lavoro; nonché, di avere violato l'art. 18 , comma 1, lett. D), stesso decreto legislativo, non fornendo elmetto idoneo, siccome privo di cinghia sottogola, così cagionando la morte del lavoratore che era scivolato, mentre era intento nella lavorazione, a causa della mancanza di un punto di ancoraggio della cintura di sicurezza e della brina, finendo sopra un lucernario che si rompeva determinandone la caduta nel vuoto per 7/8 metri e un politraumatismo seguito dal suo decesso.

3. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando cinque motivi (rilevandosi l'errata numerazione contenuta in ricorso).
Con il primo, la difesa ha dedotto violazione di legge in relazione agli addebiti colposi ritenuti in capo all'imputato. Assume la difesa che la responsabilità del M.V. sarebbe stata valutata dalla Corte territoriale anche in relazione alla carica di vice presidente dell'ente rivestita dall'imputato. Tuttavia, nella specie, trattasi di società a responsabilità limitata, in relazione alla quale la qualifica di datore di lavoro va individuata e ricollegata al potere di amministrazione proprio dell'amministratore, essendo documentalmente dimostrato nel caso in esame che la COSEMI s.r.l. era amministrata da un consiglio di amministrazione facente capo al Presidente, il quale, in base allo statuto societario, aveva il potere di firma e di rappresentanza legale dell'ente. Viceversa, sempre in base allo statuto, al vice presidente non spettava alcun potere di rappresentanza o delega e la stessa ASL non aveva rilevato violazioni della normativa antinfortunistica in capo all'imputato (il richiamo è alla testimonianza L., tecnico ASL).
Con un secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione quanto alla valutazione della posizione dell'imputato quale vice presidente della società: il Tribunale aveva concentrato il giudizio con riferimento ai ruoli rispettivamente ricoperti da M.M. (datore di lavoro) e M.V. (RSPP), laddove la Corte d'appello ha puntato l'attenzione anche sulla carica di vice presidente ricoperta dal secondo, per inferirne in sostanza un potere decisionale e di rappresentanza dell'ente, valorizzando la firma di una mail del 14/11/2011 contenente una proposta commerciale che qualunque operatore della COSEMI s.r.l. poteva inviare, tan'è vero che il contratto di subappalto non era stato poi sottoscritto dall'imputato.
Con il terzo motivo, ha dedotto vizio della motivazione anche con riferimento alla valutazione della posizione dell'imputato quale RSPP, ponendo in evidenza le difformi valutazioni dei giudici di merito nei confronti del coordinatore per la sicurezza P.S.. La Corte di merito ha riconosciuto che l'imputato aveva evidenziato alla COSEMI s.r.l. la necessità di far fronte al rischio caduta dall'alto; il ruolo di consulente proprio del RSPP era stato effettivamente svolto, avendo il M.V. presenziato alla riunione del 15/11/2011 prima della formazione del POS (datato 17/11/2011); egli aveva correttamente individuato il rischio di caduta dall'alto, preoccupazione espressa anche dal coordinatore P.S., che era stato infatti assolto; e il POS non era stato redatto dal M.V.. Pertanto, secondo la prospettazione difensiva, non sarebbero a costui attribuibili profili di responsabilità che discendano dal contenuto di quel documento. Inoltre, la Corte d'appello ha riconosciuto in capo al P.S. l'obbligo di controllare il POS, nonostante costui non vi avesse provveduto, finendo per ravvisare poi la responsabilità di tale omesso controllo solo in capo al M.V.. Nonostante il POS contenesse, poi, una espressa previsione di rischio di caduta dall'alto con previsione di una protezione dei lucernari mediante l'apposizione di "piattine di legno" fissate tra di loro, la Corte di merito non ne aveva tenuto conto e l'indicazione di tale previsione in difformità a quanto previsto nel PSC ( che prevedeva una rete elettrosaldata con sovrastante tavolato) non aveva impedito alla Corte di merito di confermare l'assoluzione del P.S..
Sotto altro profilo, poi, la difesa rileva che l'infortunio era avvenuto quando era già stato inibito dal P.S. l'inizio dei lavori fino al momento in cui fosse stato approvato il POS, ciò che aveva determinato l'assoluzione del coordinatore per la sicurezza. Ma le competenze consultive del RSPP non gli conferivano il potere di sospensione dei lavori e non potevano determinare responsabilità maggiori rispetto a chi ha la responsabilità del cantiere con poteri di inibizione, nessun dovere di segnalazione essendo previsto in capo al RSPP, con conseguente interruzione del nesso di causa tra l'omesso controllo da parte del M.V. sul contenuto del POS (anche ove provato) e l'evento. Inoltre, lo stesso organo di controllo non aveva rilevato violazione da parte dell'imputato, il rinvio agli artt. 96, 111 e 115, d. lgs. n. 81/2008 essendo del tutto incoerente, trattandosi di norme rivolte alla diversa figura del datore di lavoro. Infine, la Corte di merito non avrebbe individuato specifiche violazioni da parte del RSPP, rinviando per sopperire alla posizione di vice presidente del consiglio di amministrazione, figura giuridicamente estranea, tuttavia, a profili di responsabilità in materia antinfortunistica.
Con un quarto motivo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto alla corretta perimetrazione della colpa a carico del M.V. quale RSPP e alla corretta individuazione dei parametri di giudizio applicabili a tale figura. Trattasi di soggetto che risponde, unitamente al datore di lavoro, ogni qual volta l'infortunio sia riconducibile a una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare al datore di lavoro. Pertanto, questa figura del sistema antinfortunistico risponde penalmente solo se è dimostrato che lo stesso abbia svolto in maniera negligente l'attività di consulente del datore di lavoro, se si ravvisi un errore tecnico nella valutazione dei rischi per suggerimenti sbagliati o per mancata segnalazione di situazioni di rischio colposamente non considerate. Nella specie, al contrario, la Corte d'appello non ha considerato che non vi era stato alcun errore tecnico; il M.V. non era responsabile per la redazione del POS; non vi era stato alcun suggerimento sbagliato; il M.V. aveva evidenziato il rischio di caduta dall'alto. Il RSPP, inoltre, non ha poteri decisionali, né operativi, né doveri di vigilanza sulla corretta applicazione delle modalità di lavoro, laddove la scelta di iniziare le lavorazioni era stata adottata unicamente dal preposto I.M., senza alcuna consultazione con il M.V. o con il datore di lavoro .
Infine, con un quinto motivo (erroneamente indicato come sesto), la difesa ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla dosimetria della pena, evidenziando che essa non potrebbe essere - per il soggetto che riveste la qualifica di RSPP - più grave di quella individuata per il datore di lavoro, tenuto anche conto dell'integrale risarcimento del danno alla vittima e della condotta del ricorrente.

4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Lidia GIORGIO, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.

5. La difesa dell'imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale, contestandone le argomentazioni e insistendo per l'accoglimento del ricorso con conseguente annullamento della sentenza impugnata.

 

Diritto




1. Il ricorso va rigettato.


2. La Corte perugina, con specifico riferimento alla posizione di M.V., quale RSPP della COSEMI s.r.l., ha ritenuto, contrariamente a quanto assunto a difesa con il gravame, che l'imputato avesse competenze su tutto il settore prevenzione, cosicché irrilevante doveva considerarsi l'assenza di deleghe. Egli era vice presidente del consiglio di amministrazione della società e, in tale veste, aveva sottoscritto la proposta COSEMI rivolta a GENERA per eseguire i lavori, dato ritenuto di non poco rilievo dai giudici territoriali, atteso che sulla persona di M.V. si erano venute a concentrare due distinte qualità che gli consentivano di fruire di maggiori poteri che, generalmente, sono estranei alla figura del RSPP, quale quello di stipulare contratti di lavoro con terzi.
L'imputato, inoltre, aveva apposto la sua firma sul POS, a nulla rilevando il dato che egli non potesse valutarne la correttezza o la circostanza che non avesse sottoscritto il piano cantiere; egli, infatti, aveva partecipato al sopralluogo sul posto, teatro dell'infortunio, quantomeno il 15/11/2011 e, quindi, dopo il contratto di subappalto tra COSEMI e GENERA; nel presenziare alla riunione dello stesso giorno, aveva evidenziato le problematiche concernenti il rischio cadute dall'alto e aveva dato consigli al riguardo, approvando la decisione di sistemare i lucernari con bancali di legno. Pertanto, era stato perfettamente consapevole della estrema pericolosità del lavoro e, anche se non aveva materialmente redatto il POS del 17/11/2011, non poteva ignorarne il contenuto, sebbene gli atti fossero stati trasmessi solo tra ARTIS e SEBASTIANI. Neppure poteva ignorare che il POS non era stato sottoscritto dal coordinatore P.S., non avendo valore legale, atteso che l'inizio dei lavori avrebbe dovuto slittare a un momento successivo alla approvazione del POS da parte del coordinatore. Dunque, avrebbe dovuto sincerarsi della conformità del POS a quanto convenuto e ai consigli che lui stesso aveva dato. Di qui l'onere di attivarsi, segnalando la situazione deficitaria che sconsigliava l'inizio dei lavori.
Quanto al giudizio controfattuale, esso doveva ritenersi positivamente esperito, atteso che l'evento non si sarebbe verificato senza le condotte colpose in questione, quanto all'elemento soggettivo non avendo l'imputato neppure negato le condotte colpose. La presenza del preposto, inoltre, non esonerava M.V. dall'adempiere agli obblighi connessi alla sua posizione, anche solo di RSPP, trattandosi di competenze diverse rispetto a quelle del preposto e non essendo le due posizioni sovrapponibili.
Quel giudice, poi, ha riconosciuto l'elemento circostanziale di cui all'art. 62, n. 6, cod . pen., anche nei confronti del ricorrente, procedendo alla riduzione della pena anche se in entità contenuta alla luce della condotta serbata.

3. I primi due motivi sono infondati.
La Corte territoriale ha ritenuto la posizione di gestore del rischio in capo al M.V. più complessa rispetto alla qualifica di RSPP, dando rilievo ai poteri decisionali di costui (ritenuti sulla scorta di un preciso elemento fattuale), quale vice presidente del consiglio di amministrazione della sub appaltatrice.
Orbene, in linea generale, deve intanto ricordarsi che, in materia anti infortunistica, la previsione dell'art. 299 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege e che, nelle società di capitali, si identifica nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione (sez. 4, n. 2157 del 23/11/2021, Baccalini, Rv. 282568; n. 49402 del 13/11/2013, Bruni, RV. 257673, in cui si è precisato che è fatto salvo il caso di delega validamente conferita della posizione di garanzia, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la condanna per omicidio colposo dell'amministratore delegato di società da cui dipendeva il lavoratore deceduto per infortunio sul lavoro; sez. 3, n. 12370 del 9/3/2005, Bincoletto, Rv. 231076, cui si è precisato che, in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all'interno dell'azienda, e quindi con i vertici dell'azienda stessa, ovvero nel presidente del consiglio di amministrazione, o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni, precisando la S.C. che, nell'eventualità di una ripartizione di funzioni nell'ambito del consiglio di amministrazione, ai sensi dell'art. 2381 cod. civ., gli altri componenti rispondono anch'essi del fatto illecito allorchè abbiano dolosamente omesso di vigilare o, una volta venuti a conoscenza di atti illeciti o dell'inidoneità del delegato, non siano intervenuti).
Ai fini della verifica circa la sussistenza dell'obbligo di impedire l'evento, poi, occorre non soltanto individuare in astratto la posizione di garanzia ricoperta dall'imputato, ma adeguatamente valutarla alla luce della fonte normativa/contrattuale o di fatto che imponga l'obbligo di attivarsi (sez. 4, n. 58363 del 11/10/2018, Franceschini, RV. 274776), ciò in quanto, in tema di reati colposi in genere, l'agente non può rispondere del verificarsi dell'evento se, pur titolare di una posizione di garanzia, non disponga dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi (sez. 4, n. 17491 del 29/3/2019, Azienda U.L.S.S. 5 Polesana, Rv . 2758 75) . Trattasi di principi, invero, del tutto coerenti con il diritto vivente, a mente del quale, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ai sensi dell'art. 16 del d. lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa [Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261108-01; sez. 4, n. 4350 del 16/12/2015, dep. 2016, Raccuglia, Rv. 265947; n. 24908 del 29/1/2019, Ferrari, Rv. 276335; n. 55005 del 10/11/2017, Pesenti, Rv. 271719, in cui si precisato, proprio con riferimento alle organizzazioni societarie complesse, che possono assumere posizioni di garanzia anche i componenti del comitato esecutivo (c.d. "board"), ove sia ravvisabile la loro reale partecipazione ai processi decisori, cioè la loro ingerenza nelle scelte decisionali e nell'ambito operativo della società, con particolare riferimento alle condizioni di igiene e sicurezza del lavoro; n. 8118 del 1/2/2017, Ottavi, Rv. 269133).

4. Fatta tale premessa, occorre soffermarsi sugli addebiti specificamente mossi al M.V. in imputazione. In essa è contenuto un espresso richiamo all'obbligo che la legge individua a carico del datore di lavoro ai sensi dell'art. 96 comma 1, lett. g), d. lgs. n. 81/2008 (quello cioè di redigere POS), ma anche a tutti gli obblighi propri della figura datoriale, con specifico riferimento al rischio di caduta dall'alto (artt. 111, quanto alla scelta delle attrezzature per lavori in quota e 115, quanto alla previsione di sistemi di protezione contro la caduta dall'alto).
Pertanto, inconducente è l'osservazione difensiva contenuta nel primo motivo di ricorso, secondo la quale il M.V., quale mero componente del consiglio di amministrazione, senza deleghe, non avrebbe potuto rispondere degli addebiti mossi in tale veste, incombenti solo sul presidente del CdA. Al contrario, la Corte territoriale ha espressamente motivato in ordine al proprio convincimento circa il fatto che il ruolo del M.V. non fosse solo consultivo (RSPP), egli avendo avuto, in realtà, poteri decisionali, conclusione tratta dalla circostanza che il predetto aveva gestito la fase della proposta contrattuale con GENERA. Trattasi di valutazione in fatto che non presenta alcun profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità, ricordandosi che l'affermazione della penale responsabilità è discesa da un giudizio conforme nel doppio grado di merito.
La premessa è dirimente poiché introduce il tema del diverso protocollo di verifica della struttura giustificativa della sentenza censurata, sul quale pare sufficiente invero un rinvio al diritto vivente (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250; sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615), per ribadire l'estraneità al presente vaglio degli aspetti di giudizio che si sostanzino nella valutazione del significato degli elementi probatori, attinenti interamente al merito, che non possono perciò essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), essendo precluso a questo giudice sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).

5. Anche il terzo e il quarto motivo sono infondati.
Quanto agli obblighi derivanti dalla veste di consulente, al quale spettava di supportare il datore di lavoro da un punto di vista tecnico, con specifico riferimento alla individuazione dei rischi inerenti al cantiere, deve intanto ricordarsi che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere ritenuto responsabile, anche in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (sez. 4, n. 24822 del 10/3/2021, Solari, Rv. 281433-01, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del RSPP per non avere segnalato nell'ultimo DVR il rischio di caduta nel vuoto per il cattivo stato di manutenzione dei parapetti di un balcone, in concorso con quella ascritta al datore di lavoro per non avere sollecitato la società proprietaria dell'immobile ad eseguire i necessari lavori di manutenzione, ritenendo irrilevante, ai fini dell'esclusione della responsabilità del primo, la circostanza che il rischio non segnalato fosse noto al datore di lavoro; Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, cit., Rv.- 261107, in cui si è precisato che tale soggetto, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente rilevante la condotta del responsabile del servizio che aveva redatto il documento di valutazione dei rischi con indicazione di misure organizzative inappropriate, sottovalutando il pericolo di incendio e omettendo di indicare ai lavoratori le opportune istruzioni per salvaguardare la propria incolumità; sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, David, Rv. 275279).
Egli, pertanto, risponde solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate (sez. 4, n. 49761 del 17/10/2019, Moi, RV. 277877), o abbia omesso l'elaborazione delle misure preventive e protettive o dei sistemi di controllo delle stesse (sez. 3, n. 37383 del 15/7/2021, Di Chio, Rv. 281969).

6. Nella specie, la Corte ha rilevato che il M.V., pur consapevole della situazione di rischio (avendo egli stesso rilevato quello di caduta dall'alto) e della irregolarità del POS, mancante della firma del coordinatore per la sicurezza, non aveva ritenuto di segnalare la situazione deficitaria del cantiere, nonostante l'attivazione dei poteri di inibizione da parte del coordinatore P.S., che aveva diffidato per iscritto la ditta ad accedervi (cfr. pag. 48 della sentenza appellata).

7. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Già in primo grado, il Tribunale aveva giustificato il diverso trattamento sanzionatorio dei due imputati (M.M. e M.V.), alla luce del più circoscritto ambito di responsabilità del primo rispetto al secondo e la difesa ha perpetuato un errore di valutazione nel rilevare la sperequazione di tale trattamento, muovendo dalla premessa, smentita secondo quanto sopra precisato, secondo cui gli obblighi di gestione del rischio in capo al M.V. avrebbero avuto solo natura unicamente tecnico-consultiva per conto dell'ente.

8. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso il 18 maggio 2022.