Cassazione Penale, Sez. 6, 08 giugno 2022, n. 22399 - Se il Comune paga la sanzione amministrativa per l'estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro al posto del manager colpevole non è peculato


 

 

Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI Relatore: VILLONI ORLANDO
Data Udienza: 10/05/2022
 

 

Fatto
 



1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli ha ribadito la condanna di F.B. in ordine al reato di cui all'art. 314 cod. pen., confermando la pena, condizionalmente sospesa, irrogatagli dal primo giudice nella misura di un anno e dieci mesi di reclusione e concedendogli l'ulteriore beneficio della non menzione di cui all'art. 175 cod. pen.
La condotta oggetto di condanna riguarda l'emissione da parte dell'imputato, quale responsabile dell'area economica del Comune di San Gennaro Vesuviano, di una determina che autorizzava il pagamento della somma di 8.300,00 euro in favore della ASL NA 3 SUD dovuta a titolo di oblazione per violazioni di natura penale in tema di prevenzione, igiene e sicurezza sul lavoro da parte del Sindaco pro tempore A.G. e dal responsabile dell'Ufficio Tecnico Comunale, L.G..

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato che, con un unico motivo di censura, deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'art. 6 della legge n. 689 del 1981 ed all'art. 24 del d. lgs. n. 758 del 1994, entrambi in relazione all'art. 314 cod. pen.
In particolare, il ricorrente allega che la vicenda processuale necessita di una preliminare distinzione di fondo tra le sanzioni previste dalla normativa in materia di sicurezza e di igiene del lavoro: da un lato di natura amministrativa, dall'altro di natura penale, cui possono eventualmente aggiungersi profili di responsabilità civile dell'autore del fatto illecito nei confronti del soggetto che sia stato eventualmente danneggiato.
In relazione agli illeciti di natura amministrativa trova applicazione l'art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, commi 3 e 4, che prevede la responsabilità della persona giuridica (il datore di lavoro) per il pagamento della sanzione in solido con l'autore della violazione (responsabile legale o mero dipendente dell'ente) che abbia commesso l'illecito nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, salvo il regresso nei confronti di quest'ultimo.
Al contrario, in relazione alle violazioni di carattere penale, per la quali la responsabilità è personale, l'ente (datore di lavoro) non può rispondere penalmente delle contravvenzioni commesse dal proprio legale rappresentante o dipendente, salvo non ricorrano presupposti per la responsabilità amministrativa derivante da reato ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, segnatamente ai sensi dell'art. 25-septies, per omicidio o lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
La distinzione anzidetta diviene rilevante, poiché nel d. lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 si prevede specifica procedura di estinzione per i reati contravvenzionali, subordinata al pagamento in sede amministrativa dì una frazione dell'ammenda applicata e all'adempimento delle prescrizioni impartite dell'organo di vigilanza.
La giurisprudenza di legittimità - sostiene il ricorrente - ha confermato che, in relazione alle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, l'adempimento alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza e il pagamento della sanzione amministrativa effettuato, ai sensi dell'art. 24 d. lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, dal legale rappresentante della società determina l'effetto estintivo a favore del contravventore, amministratore o dipendente dell'ente all'epoca dello accertamento.
Non vi è, pertanto, dubbio che l'ente possa legittimamente provvedere al pagamento in sede amministrativa della somma di denaro in luogo del proprio addetto o soggetto apicale, così da determinare, al ricorrere con altri presupposti, l'effetto estintivo del reato contravvenzionale contestato, da cui la legittimità dell'operato del ricorrente, quanto meno sotto il profilo dell'errore scusabile sul fatto.


 

Diritto




1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

2. Con le argomentazioni sopra esposte, la difesa del ricorrente ripropone la tesi sostenuta nel corso dei precedenti gradi di giudizio ma disattesa dai giudici di merito, con un'importante distinzione.
Il ricorrente ha sempre sostenuto che dovesse trovare applicazione nel caso in esame l'art. 6 della legge n. 689 del 1981 in tema di contravvenzioni amministrative, che prevede la responsabilità solidale della persona giuridica (datore di lavoro) con l'autore (persona fisica) della violazione nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, salvo il regresso nei confronti di quest'ultimo.
A tale obiezione, le sentenze impugnate hanno correttamente risposto che il debito gravante sul Sindaco e sul responsabile dell'UTC era di carattere personale, essendo stata loro ascritta la violazione delle norme antinfortunistiche del lavoro rilevate dagli ispettori, costituenti illeciti di natura penale.
L'imputato - hanno concluso i giudici di merito - ha, pertanto, impiegato denaro pubblico al fine di estinguere obbligazioni di natura personale e quindi privata, gravanti su soggetti ricoprenti incarichi di vertice in seno alla amministrazione comunale.
Con il ricorso, la difesa pone ora il problema dell'applicabilità dell'art. 24 d. lgs. n. 758 del 1994, concernente la procedura di estinzione in sede amministrativa delle contravvenzioni in materia antinfortunistica del lavoro, penalmente rilevanti o meno.
Trattasi di profilo immediatamente rilevante ai fini della configurabilità del contestato delitto di peculato e che la Corte di cassazione ha, pertanto, il dovere di prendere in esame ai sensi dell'art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
La giurisprudenza di legittimità cui si fa richiamo, anche se in maniera generica, nel ricorso è in effetti quella sedimentatasi sul tema degli effetti conseguenti all'applicazione dell'art. 24 d. lgs. 19 dicembre 1994, n. 758.
In particolare, è stato affermato il principio che nelle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, l'adempimento alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza e il pagamento della sanzione amministrativa effettuato ai sensi della suddetta previsione normativa dal legale rappresentante della società riverbera l'effetto estintivo anche a favore del contravventore - amministratore in carica all'epoca dell'accertamento (Sez. 3, n. 29238 del 17/02/2017, PM in proc. Cavallero, Rv. 270148) nonché a favore del dipendente - contravventore, che abbia operato come persona fisica all'interno dell'azienda. (Sez. 3, n. 18914 del 15/02/2012, Simone, Rv. 252394).
Proprio ragionando sulle modalità di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro, altra pronuncia di questa Corte di legittimità ha, infatti, già affrontato il tema dell'interesse dell'ente a provvedere al pagamento della somma di denaro in luogo di un proprio addetto o del soggetto apicale, così da determinare - qualora ricorra anche l'ulteriore condizione dell'adempimento tempestivo alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza - l'effetto estintivo del reato contravvenzionale contestato (Sez. 6, n. 41979 del 03/07/2019, Dolce, non mass.).
Non si tratta, beninteso, di mettere in discussione la fondamentale ripartizione tra:
a) illeciti di natura amministrativa, per i quali trova applicazione l'art. 6, commi 3 e 4, della legge 24 novembre 1981, n. 689, che stabiliscono la responsabilità della persona giuridica (datore di lavoro) al pagamento della sanzione in solido con l'autore (persona fisica) della violazione (responsabile legale o mero dipendente dell'ente) che abbia commesso l'illecito nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, salvo il regresso nei confronti di quest'ultimo;
b) reati contemplati dalla normativa in questione, in relazione ai quali la responsabilità è personale, l'ente (datore di lavoro) non potendo rispondere penalmente delle contravvenzioni commesse dal proprio legale rappresentante o dal dipendente, salvo che non ricorrano i presupposti per la responsabilità amministrativa da reato ai sensi del d. lgs 8 giugno 2001, n. 231;
c) responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per il reato commesso dal dipendente, per cui l'ente può essere chiamato a rispondere civilmente soltanto qualora, tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate, sussista un rapporto di occasionalità necessaria, che ad es. ricorre quando il soggetto compie l'illecito sfruttando comunque i compiti svolti, anche se ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti, dovendo essere escluso detto rapporto solo quando il dipendente, nello svolgimento delle mansioni affidategli, commette un illecito penale per finalità di carattere personale, di fatto sostituite a quelle dell'ente pubblico di appartenenza e anzi in contrasto con queste ultime (Sez. 6, n. 44760 del 04/06/2015, Cantora e altri, Rv. 265356);
d) responsabilità della persona giuridica per il pagamento della sanzione pecuniaria applicata al proprio legale rappresentante, amministratore o dipendente ai sensi dell'art. 197 cod. pen., allorché si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole ovvero commesso nell'interesse dell'ente.
La possibilità che l'ente possa legittimamente provvedere al pagamento in sede amministrativa della somma di denaro in luogo del proprio addetto o soggetto apicale non implica, infatti, che la persona giuridica sia solidalmente responsabile al pagamento della sanzione amministrativa funzionale alla estinzione del reato contravvenzionale, poiché quella procedura di natura certamente amministrativa, nel cui ambito può legittimamente inserirsi anche la persona giuridica, non trasforma l'illecito penale in un illecito amministrativo e non vanifica, pertanto, la regola costituzionalmente presidiata dall'art. 27, comma primo, della Costituzione (così Sez. 6, n. 41979/19 cit.)
Tale possibilità rileva, tuttavia, in maniera significativa ai fini della configurabilità del delitto di peculato nella fattispecie in esame, poiché, pur nutrendo i dubbi di cui la stessa sentenza impugnata dà conto (pag. 9), l'imputato ha disposto l'impiego di denaro pubblico per un interesse legittimo dell'ente di appartenenza, impiego che avrebbe potuto essere probabilmente deliberato secondo una diversa procedura, soprattutto in chiave di copertura politica dell'impegno di spesa, ma la cui finalità era indubitabilmente quella di consentire all'ente di tenere indenni il suo legale rappresentante e un dipendente in posizione apicale, ritenuti responsabili di violazioni alla normativa antinfortunistica in ragione non di condotte (verosimilmente omissive) tenute all'infuori della veste istituzionale ma anzi a causa delle rispettive posizioni funzionali.
La ricordata pronuncia Sez. 6, n. 41979/19 si è allora curata di indicare una cornice istituzionale dell'impiego di risorse economiche della persona giuridica, precisando che esso presuppone "l'adozione di un atto formale da parte dell'ente che deliberi l'uscita di cassa, seguendo le procedure interne previste dal proprio statuto o comunque dal regolamento interno nonché previa verifica dei relativi presupposti" che nel caso allora esaminato (relativo a una società in house del Comune di Palermo) non era stato in concreto individuato.
Nel caso in esame, invece, è stata emessa una formale determina di spesa (n. 5 del 24 gennaio 2013) pubblicata sull'albo pretorio comunale telematico, forma di pubblicità che aveva per l'appunto indotto due consiglieri di opposizione di fare una segnalazione all'indirizzo di diverse autorità amministrative e contabili.
Per le considerazioni appena esposte va, pertanto, corretta l'affermazione contenuta nella sentenza di primo grado e condivisa dai giudici di appello secondo cui nessuno scopo pubblicistico era stato perseguito dall'imputato, poiché anche la sussistenza di un interesse legittimo dell'ente pubblico rientra tra le finalità pubblicistiche, ferma evidentemente ogni diversa valutazione circa l'opportunità politico-amministrativa di tale scelta.
Nell'ambito della suddetta cornice normativa, si deve, pertanto, concludere che il Comune di San Gennaro Vesuviano poteva legittimamente impegnare risorse economiche dell'ente per provvedere al pagamento della sanzione in forma ridotta prevista ai fini dell'estinzione dei reati attribuiti al proprio rappresentante legale ed al proprio dipendente, riguardando contravvenzioni derivanti da violazioni della normativa in materia di infortuni sul lavoro strettamente connesse all'attività istituzionale dagli stessi svolta, dalle quali avrebbero potuto discendere anche eventuali responsabilità ai sensi degli artt. 2049 cod. civ. e 197 cod. pen., tali da far sorgere in capo all'ente un interesse legittimo - sebbene non un obbligo - al pagamento tempestivo delle sanzioni in forma ridotta con valenza estintiva degli illeciti.
Ne consegue che nessuna appropriazione di denaro pubblico per finalità privatistiche può ascriversi all'imputato, che lo ha impiegato per le citate finalità, sicché il reato di peculato ascrittogli deve ritenersi insussistente.
3. Per le ragioni che precedono la sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio, come da dispositivo.

 

P. Q. M.
 



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso il 10 maggio 2022