Cassazione Penale, Sez. 4, 17 giugno 2022, n. 23659 - Infortunio dell'operaio addetto al taglio di cosce di maiale. Responsabilità del direttore tecnico per l'assenza di un dispositivo contro gli urti accidentali del comando di azionamento della cesoia


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 16/03/2022
 

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha riformato limitatamente al trattamento sanzionatorio quella emessa dal Tribunale di Modena nei confronti di DM.A., giudicato colpevole del reato di cui all'art. 590 cod. pen. e pertanto condannato alla pena ritenuta equa.
La vicenda che ha dato luogo ai giudizi di merito attiene all'infortunio sul lavoro occorso il 26.10.2011 a K.M.T.P. nel mentre attendeva alle sue mansioni di operaio addetto al taglio di cosce di maiale presso la Suincom s.p.a.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito il lavoratore stava lavorando con una cesoia per operare il taglio dello zampetto dalla coscia movimentata grazie ad un nastro trasportatore ed aveva posizionato tra le lame uno zampetto quando un'altra coscia situata sul nastro urtava il comando di azionamento della chiusura delle lame tranciando la falange ungueale del secondo dito della mano sinistra.
La lesione veniva ascritta al DM.A., direttore tecnico con delega alla sicurezza del lavoro nell'ambito della citata società, per non aver adottato il comando di azionamento delle lame di un dispositivo di protezione dagli urti accidentali.

2. Il DM.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza a mezzo del difensore di fiducia avv. Roberto Sutich.
Con un primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all'art. 195, co. 4 cod. proc. pen. perché la Corte di appello ha utilizzato le dichiarazioni de relato rese dall'ufficiale di polizia giudiziaria P., che ha riferito delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di sommarie informazioni testimoniali, decisive ai fini del giudizio formulato dalla Corte di appello, atteso che in sede dibattimentale la persona offesa aveva offerto una diversa ricostruzione, riferendo che l'infortunio si era verificato per un problema di velocità del nastro trasportatore.
Con un secondo motivo il ricorrente censura il vizio della motivazione, segnatamente sotto il profilo del travisamento della prova, avendo la Corte di appello pretermesso la valutazione delle dichiarazioni dei lavoratori sentiti nel corso del giudizio, per i quali la velocità del nastro era stata sempre uguale (quindi non accelerata, come ritenuto dai giudici di merito). Si tratta, per l'esponente, di prove decisive perché minano l'attendibilità della persona offesa, sulle cui sole dichiarazioni è stata fondata l'affermazione di responsabilità. Neppure è stata considerata la circostanza della presenza di un dispositivo che viene indicato come 'riparo distanziatore', la cui funzione è quella di evitare che le mani possano avvicinarsi alla cesoia, secondo quanto riferito dal teste Ugo L.. Pertanto, tenuto conto che la coscia era già posizionata all'interno della cesoia, va escluso che il dito del lavoratore potesse essere all'interno della zona delle lame.
Con un terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 590 cod. pen. Ad avviso dell'esponente, poiché non vi è prova che l'infortunio si sia verificato per un urto accidentale sulla leva di azionamento della cesoia da parte di un'altra coscia e che il nastro avesse una velocità accelerata, l'eventuale violazione dell'art. 71 d.lgs. n. 81/2008 non avrebbe rilievo causale rispetto all'evento.
 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è aspecifico e comunque manifestamente infondato. La Corte di appello ha già replicato ad analoga censura osservando che la teste P. aveva riferito degli esiti di un'inchiesta di natura amministrativa svolta dalla USL dopo il sinistro. Il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che, per contro, si era trattato di attività espletata quale ufficiale o agente di p.g. nell'ambito di un procedimento penale. Invero, è principio che si intende ribadire anche in questa sede che non sussiste il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria di cui all'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., con riguardo alle dichiarazioni ricevute dal pubblico ufficiale durante l'inchiesta amministrativa dallo stesso effettuata anteriormente al procedimento penale, difettando in tal caso il necessario presupposto soggettivo della qualifica di agente od ufficiale di polizia giudiziaria (Sez. 3, n. 52853 del 17/07/2018, Rv. 274418).
In effetti, la lettura delle dichiarazioni rese in dibattimento dalla dr.ssa P., resa possibile dalla natura del vizio dedotto, evidenzia che la stessa non ebbe a riferire quanto le era stato dichiarato dalla persona offesa in sede di sommarie informazioni, puntualmente verbalizzate, ma il complesso delle notizie acquisite, in occasione del sopralluogo eseguito nella giornata stessa dell'infortunio, da personale della Suincom s.p.a., nominativamente indicato dalla teste medesima.
Vale rammentare che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, contenuto nell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., non riguarda i casi in cui la deposizione del teste di polizia giudiziaria non ha valore surrogatorio di quella del teste primario, ancorché non ancora acquisita nel processo, ma è solo illustrativa dello sviluppo dell'indagine e della complessiva coerenza degli elementi di prova raccolti, anche con riferimento all'evidenziazione di eventuali contrasti tra la dichiarazione resa dal teste alla polizia giudiziaria e quella dallo stesso resa in sede dibattimentale (Sez. 1, n. 13734 del 25/02/2020, Rv. 278974; similmente Sez. 1, n. 44219 del 17/09/2014, Rv. 262067). Nel caso di specie la persona offesa è stata escussa in dibattimento.
2. Il secondo motivo è esso pure manifestamente infondato. Il dato relativo alla velocità del nastro trasportatore è privo di rilievo ai fini dell'affermazione di responsabilità perché essa è incentrata sull'assenza di un dispositivo contro gli urti accidentali del comando di azionamento della cesoia. La velocità del nastro superiore alla usuale è stata evocata solo per indicare il fattore che aveva potuto determinare l'urto della coscia di suino, fermo restando per la Corte di appello il fatto che la circostanza secondo la quale "le cesoie erano suscettibili di essere azionate anche laddove una mano del lavoratore fosse ancora inserita all'interno del meccanismo ... assorbe la importanza dell'accertamento della causa dell'azionamento della cesoia con un dito della persona offesa all'interno di essa..." (così la sentenza di secondo grado).
Il ricorrente ha segnalato il dato per sostenere che esso dimostra la inattendibilità della persona offesa e la persistenza di due versioni; il che escluderebbe il superamento della ricostruzione alternativa offerta dalla difesa e quindi di ogni ragionevole dubbio circa la responsabilità del medesimo.
Si tratta di un rilievo avanzato per la prima volta con il ricorso. Con l'atto di appello non era stata posta la questione concernente la attendibilità della persona offesa ma era stato dedotto che, stante la esistenza di due versioni antitetiche non si poteva condannare.
Va rammentato che non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura "a priori" un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, Sentenza n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316).
3. Il terzo motivo si sostanzia in una petizione di principio. Si afferma che non è stata ricostruita la dinamica dell'infortunio e quindi non sussiste la relazione causale tra la condotta ascritta al DM.A. e l'evento. Quanto sin qui esposto evidenzia che i giudici di merito hanno definito con precisione gli antecedenti aventi rilievo causale ai fini penalistici.

4. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16.3.2022.