Cassazione Civile, Sez. 6, 20 giugno 2022, n. 19831 - Caduta nel piazzale sottostante ad un vialetto privo di protezioni: responsabilità del datore di lavoro per non aver interdetto in maniera definitiva l’accesso a tale area


 

 

Rilevato che


1. Con sentenza depositata il 7.10.2020 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale del medesimo luogo e accogliendo l’appello proposto dal lavoratore, ha accolto la domanda di risarcimento del danno conseguente ad infortunio sul lavoro di C.M. condannando Poste Italiane s.p.a. al pagamento del danno non patrimoniale differenziale pari a euro 210.714,16 oltre accessori;
2. la Corte territoriale, rilevando che il lavoratore era caduto nel piazzale sottostante al vialetto che percorreva, vialetto privo di protezioni, che rappresentava praticamente l’unico accesso idoneo per recarsi al parco automezzi (posto che con riguardo agli altri due percorsi alternativi, oltre ad essere più lunghi, uno presentava problemi di igiene, in quanto imponeva di attraversare i bagni, e l’altro era impraticabile, in quanto ingombro di materiali di risulta), ha rinvenuto un profilo di colpa esclusiva del datore di lavoro e, applicato il criterio di scomputo per poste omogenee nonché rilevato che la menomazione subìta incideva su ogni aspetto della vita personale e di relazione del danneggiato, ha quantificato il danno non patrimoniali anche con l’ausilio delle valutazioni di due consulenze tecniche d’ufficio che hanno rinvenuto una invalidità permanente pari al 40%;
3. avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la società Poste Italiane deducendo due motivi di censura; il lavoratore resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
4. veniva depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis cod.proc.civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio.
 

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2087 cod.civ. avendo, la Corte di appello, dilatato il perimetro applicativo della responsabilità del datore di lavoro, fino alla responsabilità oggettiva, ove, da una parte, ha sottolineato che i testimoni della società avevano riferito l’apposizione di cartelli di divieto di accesso e l’adozione di un ordine di servizio che impediva il transito nel vialetto e, dall’altra, ha ritenuto ricorrere la responsabilità delle Poste Italiane per avere comunque permesso l’accesso;
2. con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2059, 2697 cod.civ. e 115 e 414 cod.proc.civ. per aver ritenuto, la Corte territoriale, risarcibile in re ipsa il pregiudizio non patrimoniale patito dal lavoratore, previa personalizzazione, con particolare riguardo al danno esistenziale;
3. il primo motivo è inammissibile;
4. tralasciando le ipotesi, nel caso di specie non ricorrente, dell’assunzione di un rischio c.d. elettivo da parte del lavoratore (che recide ogni nesso causale tra l'attività lavorativa ed il danno conseguente all’infortunio sul lavoro), questa Corte ha ripetutamente affermato che, quella dell'art. 2087 cod.civ., non costituisce ipotesi di responsabilità oggettiva e che il lavoratore è onerato della sola prova della "nocività" del lavoro, spettando poi al datore dimostrare di avere adottato tutte le misure cautelari idonee ad impedire l'evento (cfr. da ultimo Cass. n. 30679 del 2019 e ivi ampie citazione);
5. in particolare, è stato recentemente chiarito che la responsabilità datoriale si fonda pur sempre «sulla violazione di obblighi di comportamento, a protezione della salute del lavoratore, imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, purché concretamente individuati» (Cass. n. 14066 del 2019) e, pertanto, la regola di diritto è quella per cui una volta addotta ed individuata una cautela (specificamente prevista ex ante da norme o genericamente deducibile dalle vigenti regole di prudenza, perizia e diligenza richiedibili nel caso concreto) che fosse idonea ad impedire l'evento e che non sia stata attuata, ne resta radicata la responsabilità datoriale;
6. invero, se la radice causale ultima dell'evento, pur in presenza di un comportamento del lavoratore astrattamente non rispettoso di regole cautelari, si radichi nella mancata adozione, da parte del datore di lavoro, di forme tipiche o atipiche di prevenzione, come detto individuabili e pretendibili ex ante, la cui ricorrenza avrebbe consentito, nonostante tutto, di impedire con significativa probabilità l'evento, la responsabilità rimane radicata esclusivamente in capo al datore di lavoro (cfr. da ultimo, Cass. n. 36865 del 2021);
7. ebbene, nel caso di specie la Corte territoriale non si è discostata da questi principi nella misura in cui, analizzando analiticamente le circostanze dell’infortunio, ha rilevato come il complesso degli elementi istruttori raccolti deponeva per una esclusiva responsabilità del datore di lavoro “per non aver interdetto in maniera definitiva l’accesso a tale area [il vialetto dal quale il lavoratore è caduto] e per non aver creato o reso transitabile un altro percorso, atteso che gli altri due indicati dai testimoni erano altrettanto inadeguati ed insicuri” (pag. 3 della sentenza impugnata);
8. le argomentazioni concernenti la ricostruzione degli elementi oggettivi e soggettivi della condotta sostanzialmente sollecitano, ad onta dei richiami normativi contenuti nel motivo, una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento; si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre (peraltro in maniera irrituale: cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014) sostanziali censure ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., a monte non consentite dall'art. 348-ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto circa la gravità del comportamento adottato dal lavoratore;
9. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;
10. pur tralasciando il pur decisivo profilo di difetto di specificità, mancando del tutto la trascrizione anche delle parti rilevanti delle consulenze tecniche d’ufficio di cui si lamenta l'erronea valutazione e sulle quali il giudice ha fondato la determinazione del danno, difetta la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non ha solamente affermato che il pregiudizio subìto dal lavoratore era da ritenersi in re ipsa, in quanto ha, in realtà, evidenziato che la quantificazione del danno, effettuata secondo le tabelle del Tribunale di Milano, teneva in considerazione (oltre alle percentuali di invalidità, temporanea e permanente) l’età dell’infortunato, l’entità delle lesioni ed il particolare travaglio per giungere alla stabilizzazione dei postumi, aggiungendo altresì che la menomazione subìta incideva su ogni aspetto della vita personale e di relazione;
11. la sentenza impugnata, anche rinviando alle due consulenze tecniche d’ufficio espletate, dà conto, seppur sinteticamente, del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla personalizzazione della liquidazione, evidenziando le circostanze di fatto peculiari del caso concreto che hanno determinato la specifica determinazione del danno che ha portato a superare le conseguenze ordinarie forfettizzate dalle tabelle del Tribunale di Milano, con ciò conformandosi alle statuizioni adottate da questa Corte che sottolineano la necessità di evidenziare, all’atto della personalizzazione del danno, gli aspetti peculiari della vicenda che consentono di distaccarsi dalle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado sofferte da persone della stessa età e condizione di salute (Cass. n 1463 del 2019, Cass. n. 2788 del 20199, Cass. n.12046 del 2021);
12. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
13. in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
 

P. Q. M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi a favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione, addì 24 maggio 2022.
Il Presidente Adriana Doronzo