Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 luglio 2022, n. 21865 - Dequalificazione e mobbing nei confronti del medico. Il giudice di merito ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa risarcitoria


 


Presidente Bronzini - Relatore Della Torre

 

Premesso che:

1. Il Dott. B.F. ha agito in giudizio nei confronti dell'Azienda Ospedaliera "Istituti Ospitalieri di (…)" assumendo di essere stato professionalmente dequalificato e di avere subito condotte mobbizzanti da parte del datore di lavoro anche successivamente al 2005 (pertanto, in periodo posteriore a quello considerato in un precedente giudizio conclusosi con la sentenza n. 636/2010 della Corte di appello di Brescia) e chiedendo il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, che ne erano derivati.

2. Il Tribunale di Cremona ha respinto la domanda, sul rilievo che i danni, di cui veniva chiesto il risarcimento, erano gli stessi già oggetto di cognizione nel giudizio precedente.

3. Con sentenza n. 450/2014, pubblicata il 13 novembre 2014, la Corte di appello di Brescia ha respinto il gravame e integralmente confermato la sentenza di primo grado, osservando: - che nella sentenza n. 636/2010 il danno alla professionalità e alla carriera del medico era stato esaminato e valutato sia con riferimento al passato, che in proiezione futura, e quindi in termini definitivi; - che per ottenere un nuovo risarcimento per danno alla professionalità il B.F. avrebbe dovuto fornire allegazioni circa i nuovi e ulteriori pregiudizi verificatisi a partire dal mese di gennaio 2006, a causa del protrarsi del demansionamento, ma sotto tale profilo nulla di specifico e concreto egli aveva dedotto; - che i fatti allegati erano del tutto insufficienti a configurare un quadro complessivo di mobbing, trattandosi di pochi avvenimenti meramente episodici, totalmente privi di un intento vessatorio e connessi a normali problematiche lavorative; - che l'attore non aveva lamentato un aggravamento del danno alla salute, ma unicamente un danno di tipo "esistenziale"; - che la dimostrazione della sussistenza di tale danno avrebbe richiesto l'allegazione di circostanze specifiche, da cui desumere l'aggravamento rispetto a quanto già liquidato allo stesso titolo nel giudizio precedente, e che al difetto di una pertinente e idonea allegazione non poteva sopperirsi con la mera produzione di documentazione medica.

4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il B.F. , con quattro motivi, cui l'Azienda ha resistito con controricorso.

5. Con ordinanza del 22 giugno 2021 è stato disposto il rinvio della trattazione del ricorso ad una successiva adunanza camerale.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Rilevato che:

7. Con il primo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento all'art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., nonché il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4 con riferimento all'art. 112 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 636/2010 avesse effettuato una liquidazione dei danni definitiva e che sul punto si fosse formato il giudicato.

8. Con il secondo motivo sono dedotti i vizi di cui all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, con riferimento all'art. 32 Cost., agli artt. 2043 e 2059 c.c. e all'art. 112 c.p.c. per avere la sentenza affermato che il ricorrente non aveva lamentato un aggravamento del danno alla salute ma unicamente un danno "esistenziale", sebbene tale interpretazione fosse smentita sia dalle allegazioni dell'atto introduttivo, sia dalle conclusioni nel medesimo rassegnate.

9. Con il terzo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e la violazione dell'art. 111 Cost., comma 6, il ricorrente censura la sentenza di appello nella parte in cui ha rilevato la mancata allegazione di circostanze specifiche dalle quali desumere l'aggravamento del danno alla salute, quando molteplici erano invece i mezzi istruttori non ammessi e i documenti trascurati, o erroneamente interpretati, dalla Corte di merito che indicavano fatti a tal fine di decisiva rilevanza.

10. Con il quarto, deducendo il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento agli artt. 2103,2087 e 2697 c.c., l'omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5 delle condotte persecutorie poste in essere dall'Azienda Sanitaria e l'assenza di motivazione in violazione dell'art. 111 Cost., comma 6, il ricorrente censura quella parte della sentenza impugnata in cui il giudice di appello ha escluso un aggravamento del danno per effetto di mobbing.

 

Osservato che:

11. Il quarto motivo non può trovare accoglimento.

12. La censura che vi è proposta, pur formalmente diretta a denunciare la violazione di norme di diritto, è, in realtà, intesa a contestare la motivazione della sentenza, valutata come carente per non aver tratto dalle risultanze istruttorie i significati ritenuti evidenti o, comunque, dalle stesse desumibili, sollecitando un nuovo e diverso apprezzamento di fatto inammissibile nella presente sede di legittimità.

13. D'altra parte, la Corte di appello ha distintamente preso in considerazione e valutato gli episodi indicati a sostegno della prospettata condotta mobbizzante del datore di lavoro e, con adeguata motivazione, ne ha escluso l'idoneità a dimostrare l'esistenza di un disegno persecutorio nei confronti del dipendente.

14. In ciò il giudice di merito si è correttamente attenuto alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, poiché:

- "Ai fini della configurabilità di una ipotesi di mobbing, non è condizione sufficiente l'accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione" (Cass. n. 10992/2020);

- "È configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio del datore medesimo" (Cass. n. 12437/2018);

- "Nell'ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente persecutoria, il giudice del merito è tenuto a valutare se i comportamenti denunciati possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e se siano causalmente ascrivibili a responsabilità del datore che possa esserne chiamato a risponderne nei limiti dei danni a lui specificamente imputabili" (Cass. n. 4222/2016).

15. Deve inoltre ribadirsi che "La violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del "nuovo" art. 360 c.p.c., n. 5)": Cass. n. 13395/2018; conforme, fra altre, Cass. n. 18092/2020.

16. Quanto alla censura di motivazione "apparente", può correttamente definirsi tale, con conseguente nullità della sentenza in quanto affetta da error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4), la motivazione che "benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture" (Sez. U n. 22232/2016; conforme Cass. n. 13977/2019): ipotesi chiaramente non rilevabile nella specie, poiché - come già osservato - la Corte territoriale ha distintamente esaminato i fatti allegati e ben chiarito le ragioni, per le quali ha ritenuto che gli stessi non potessero convalidare la tesi di un comportamento vessatorio sistematico e prolungato nel tempo in pregiudizio del dipendente.

17. Sono invece fondati, e devono essere accolti, il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per connessione.

18. È invero consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio di diritto, secondo il quale "Nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice di merito, non condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ha il potere - dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d'ufficio un'azione diversa da quella esercitata. Tale ampio potere, attribuito al giudice per valutare la reale volontà della parte quale desumibile dal complessivo comportamento processuale della stessa, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità soltanto se il suo esercizio ha travalicato i predetti limiti, ovvero è insufficientemente o illogicamente motivato" (Cass. n. 8225/2004; conformi, fra altre: n. 13602/2019; n. 27428/2005; n. 383/1999).

19. Nella specie la sentenza di appello ha ritenuto che non fosse stato dedotto dal ricorrente un aggravamento del danno alla salute ma unicamente un danno di tipo "esistenziale" e peraltro in esito ad una ricognizione dell'atto introduttivo che, pur prendendo atto della produzione di documentazione medica, reputata inidonea a sostituire allegazioni specifiche (cfr. sentenza, pp. 11-12), trascura di valutare i vari luoghi dell'atto stesso, tanto della parte espositiva come delle conclusioni, in cui - secondo quanto diffusamente illustrato dal ricorrente nell'osservanza del requisito di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, sono posti riferimenti all'art. 32 Cost. e al danno biologico.

20. Il primo motivo resta assorbito.

Ritenuto che:

21. L'impugnata sentenza n. 450/2014 della Corte di appello di Brescia deve, pertanto, essere cassata, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, assorbito il primo, respinto il quarto, e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione, la quale provvederà ad un nuovo esame del ricorso introduttivo, avendo riguardo all'atto nel suo complesso, al fine di individuarne il contenuto sostanziale e la finalità concreta che la parte aveva inteso perseguire con la sua proposizione.

 

P.Q.M.
 


La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo, rigettato il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.