Cassazione Penale, Sez. 4, 15 luglio 2022, n. 27557 - Schiacciamento del polso durante il montaggio della calandra di accoppiamento. Contratto di appalto e rischi interferenti


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 16/12/2021
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Trieste con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato, quanto all'affermazione di penale responsabilità, la sentenza emessa dal Tribunale di Pordenone in data 26 settembre 2017, appellata nell'interesse di D.D., revocando la sospensione condizionale della pena concessa all'imputato con la sentenza impugnata.
2. Il D.D. era stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di cui all'art. 590 cod. pen. in relazione all'art. 583 cod. pen. perché, nella propria qualità di datore di lavoro della C.M.A. 2 S.r.l. per colpa, negligenza, imprudenza ed imperizia e comunque in violazione dell'art. 26 comma 2 lett. b) del D.lgs.vo 81/2008, nel contesto del contratto di appalto tra la C.M.A. 2 S.r.l. e la Friuli Intagli Industries S.p.A. per la fornitura e posa in opera di una macchina cd. Calandra di accoppiamento, non elaborava idonee misure organizzative e di sicurezza atte ad eliminare i rischi da interferenze tra le ditte addette al montaggio/messa in servizio della linea di rivestimento 1901, omettendo di prendere in considerazione le indicazioni riportate sul libretto di uso e manutenzione, della predetta ove al punto 4.2 si stabiliva che "prima di iniziare le fasi di montaggio della macchina si deve recintare la zona di lavoro ed indicarla con opportuna segnaletica di sicurezza, in modo che l'accesso sia consentito solo al personale qualificato", non stabilendo quale impresa avrebbe dovuto provvedere alla interclusione del luogo e non provvedendovi in qualità di appaltatore, così facendo cagionava alla parte offesa lesioni personali refertate quali "trauma da schiacciamento polso mano destra" giudicate guaribili in cento giorni.
3. Avverso tale decisione ricorre in cassazione a mezzo del difensore di fiducia il D.D. lamentando sotto più profili violazione di legge e vizio motivazionale.
 

 

Diritto




4. Il ricorso è infondato. Il ricorrente propone un unico articolato motivo di doglianza in cui denuncia promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla operata ricostruzione del nesso causale tra la condotta addebitatagli e l'infortunio occorso alla parte offesa.
5. Va a riguardo premesso che questa Corte (Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Rv. 263541 - 01; Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, Rv. 264535 - 01) ha anche chiarito che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo
al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ha l'onere - sanzionato a pena di aspecificità,, e quindi di inammissibilità del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio. La tipizzazione dei possibili motivi di ricorso indicati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, (i quali costituiscono, a differenza di quelli di appello, un numerus clausus, a presidio del quale |l'art. 606 c_p.p., comma 3, commina la sanzione della inammissibilità per i "motivi diversi da quelli consentiti dalla legge") comporta che il generale requisito della specificità si moduli, in relazione alla impugnazione di legittimità, in un senso particolarmente rigoroso e pregnante, sintetizzabile attraverso il gia adoperato riferimento alla "duplice specificità" (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013), essendo onere del ricorrente argomentare anche la sussunzione della censura formulata nella specifica previsione normativa alla stregua della tipologia dei motivi di ricorso tassativamente stabiliti dalla legge. I motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, ed in quanto tali, non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento a un medesimo segmento dello sviluppo argomentativo che sorregge la decisione impugnata: i vizi della motivazione si pongono, infatti, in rapporto di alternatività, ovvero di reciproca esclusione, posto che - all'evidenza - la motivazione se manca, non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica e, per converso, la motivazione viziata non é motivazione mancante; infine, il vizio della contraddittorietà  della motivazione (introdotto dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, che ha novellato l‘art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), é specificamente connotato rispetto alla manifesta illogicità. Ciò premesso, la promiscua mescolanza dei motivi di ricorso, se cumulati e rubricati indistintamente, rende l'impugnazione assolutamente aspecifica.
Peraltro si tratta di impugnazione costruita in fatto, basata su affermazioni meramente avversative rispetto alla ricostruzione svolta ed alle valutazioni operate dalla sentenza impugnata nonché in quella di primo grado, trattandosi di doppia conforme di merito, oltre che meramente reiterativa - in parte anche testualmente — delle stesse doglianze gia svolte in appello. Occorre al riguardo rammentare che, secondo pacifico e risalente insegnamento di legittimità, che non vi è ragione alcuna per disattendere, «È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour Sami, Rv. 277710; nello stesso senso, tra le numerose altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo ed altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Amone ed altri, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708; Sez. 6, n. 12 del 29/10/1996, dep. 1997, Del Vecchio, Rv. 206507).
7. In particolare il ricorrente ritorna sul tema della condotta abnorme del lavoratore infortunatosi. Questa Corte sul tema ha precisato che in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Il che certamente non è avvenuto nel caso di specie ove la parte offesa era addetto alla pulizia della macchina di cui doveva inoltre apprendere il funzionamento, in quanto avrebbe assunto il ruolo di operatore della nuova linea.
8. Sul punto, preme, ancora, rammentare che nell'ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il "garante è il soggetto che gestisce il rischio" e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell'ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale. Nel caso che occupa l'imputato (quale onerato della "posizione di garanzia" nella materia prevenzionale, come spiegato dai Giudici del merito) era il gestore del rischio e l'evento si è verificato nell'alveo della sua sfera gestoria (cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261108). La eventuale ed ipotetica condotta abnorme del lavoratore non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta della parte offesa non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante (il ricorrente) era chiamata a governare (cfr. Sez. Un., n. 38343 10 del 24/04/2014, cit.). Nella condotta del lavoratore non si possono, in vero, riscontrare i requisiti di eccezionalità ed imprevedibilità poiché trattasi di manovra realizzata nel contesto della lavorazione cui lo stesso era addetto e finalizzata (sia pure imprudentemente) ad aggirare gli ostacoli alla prosecuzione del ciclo lavorativo. Più esattamente, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, e ciò -nella specie per le ragioni anzidette non si è verificato (cfr. Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016,- Rv. 269603)
9. Il ricorso va pertanto rigettato. Ne consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.
 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali


Così deciso in Roma il 16 dicembre 2021