Cassazione Penale, Sez. 4, 15 luglio 2022, n. 27579 - Cedimento della copertura di una pensilina e caduta mortale. Le aree pericolose non ricadenti nelle zone operative dell'attività d'impresa, qualora risultino accessibili e pericolose, vanno interdette


 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: NARDIN MAURA
Data Udienza: 12/04/2022
 

 

Fatto


1. Con sentenza del 14 luglio 2020 la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì, resa in sede di giudizio abbreviato, con la quale A.Q., nella sua qualità di legale rappresentante della F.lli. A.Q. & C. s.n.c. e datore di lavoro, e M.R., Coordinatore per la sicurezza dell'esecuzione dei lavori di restauro e risanamento conservativo di un immobile di proprietà della SMAL s.r.l., sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 589, comma 2A cod. pen., per avere cagionato, in cooperazione colposa fra loro, la morte di B.Q., che, al fine di svolgere l'attività lavorativa, saliva sulla copertura di una pensilina, con tetto formato di pannelli in eternit e vetroresina, cadendo al suolo da un'altezza di circa quattro metri, per il cedimento della struttura, riportando gravissime lesioni che lo conducevano alla morte.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione A.Q., a mezzo del suo difensore, formulando cinque motivi di impugnazione e cinque motivi aggiunti.
2.1. Con il primo motivo si duole della violazione della legge penale con riferimento agli artt. 589 e 113 cod. pen., nonché del vizio di motivazione. Rileva che entrambe le sentenze di merito hanno affermato responsabilità del datore di lavoro ritenendo che B.Q., fratello dell'imputato e di questi socio, fosse caduto mentre svolgeva un lavoro per conto dell'impresa, su una tettoia in eternit e vetroresina, senza che il Piano Operativo per la sicurezza prevedesse siffatta attività rischiosa, predisponendo adeguate cautele. Al contrario, nonostante il diverso avviso del perito nominato dal G.I.P., il luogo ove è intervenuto l'infortunio non è mai stata area operativa della F.lli A.Q. s.n.c.. La semplice lettura della documentazione versata in atti, infatti, permette di verificare che alla F.lli A.Q. competevano unicamente i lavori interni in muratura, la realizzazione di un ponteggio intorno ad un lato dell'edificio e di una pensilina su altro lato -lavori subappaltati alla Global Ponteggi s.n.c., specializzata nel settore- e la rimozione delle tegole dei tetti su quei due lati, onde consentire alla F.lli Pieraccini s.n.c., incaricata dalla committente SMALL, la posa della copertura in lastre grecate sul tetto, previa rimozione delle coperture in amianto, opera subappaltata dalla F.lli. Pieraccini alla società Toschinstallazioni s.r.l.. Osserva che la F.lli A.Q. non aveva né competenze, né autorizzazioni per procedere allo smaltimento di rifiuti speciali e che nessuna ragione vi era, dunque, per accedere a quell'area. Il tetto, d'altra parte, al momento dell'infortunio, era già stato messo in sicurezza dalla Global Ponteggi, attraverso la realizzazione del ponteggio e del parapetto, commissionati dalla F.lli A.Q., in relazione ai quali la A.S.L., intervenuta nell'immediatezza del fatto, non ha elevato alcuna contestazione. D'altro canto, l'infortunio non è avvenuto mentre la persona offesa si trovava sul tetto, ma quando percorreva una tettoia aerea, su cui la F.lli A.Q. non doveva effettuare alcun intervento. Sottolinea l'evidenza della contraddizione in cui è incorso il giudice di appello che, da un lato, ammette che quella posta in essere da B.Q. era attività eccentrica rispetto alle pattuizioni contrattuali intercorse con il committente, dall'altro, ritiene responsabile, in via di fatto, il datore di lavoro del lavoratore deceduto, per non avere approntato cautele rispetto ad aree del cantiere diverse da quelle di sua competenza.
2.2. Con il secondo motivo fa valere il vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicità, della contraddittorietà e della mera apparenza, per non avere adeguatamente affrontato il tema, sottoposto con il gravame, dell'abnormità del comportamento del lavoratore. Rammenta che B.Q. era socio dell'imputato e che egli rivestiva -in concreto- la funzione di responsabile per la sicurezza, sicché il datore di lavoro poteva porre affidamento sulle direttive impartite, mentre la persona offesa, pur non dovendo compiere alcun lavoro in quel sito, superava le barriere del ponteggio, compiendo un atto del tutto volontario ed eccentrico rispetto al rischio lavorativo. Contesta l'assenza di risposta da parte della Corte territoriale sul punto, essendosi la medesima limitata a riportare indirizzi giurisprudenziali ed a supporre, in modo del tutto congetturale che vi fosse un incarico da parte del datore di lavoro. Si duole della mancata individuazione, da parte dei giudici di merito, del rischio non valutato dal datore di lavoro, che assegnando alla Global Ponteggi la predisposizione del ponteggio e del parapetto, rispetto al quale nessun rilievo è stato sollevato dalla A.S.L. in sede di ispezione, ha assolto l'obbligo previsto dall'art. 148 d. lgs. 81/2008, non competendo alla F.lli A.Q. la messa in sicurezza di aree ove l'impresa non doveva operare, non avendo nessun mandato in tal senso, né, tantomeno, il dominio sull'attività demandata ad un terzo soggetto; mentre il lavoratore si è infortunato in luogo esterno al cantiere organizzato da A.Q., allontanandosi dalle zona di operatività dell'impresa, messa in sicurezza, ponendo in essere un comportamento del tutto eccentrico al lavoro da svolgere. Critica l'assenza di motivazione in ordine alla causalità della colpa, avendo la Corte territoriale semplicisticamente ritenuto che l'assenza di qualsiasi cautela con riferimento alla presenza di persone sul tetto assorbe ogni rilevanza del comportamento della persona offesa, non risultando che dal ponteggio alla sommità del fabbricato vi fossero ostacoli insormontabili. Invero, non solo non è affatto risultata l'assoluta mancanza di cautele, essendo stati pacificamente approntati un ponteggio ed un parapetto, ma ragionando come fa la Corte territoriale l'imputato dovrebbe essere ritenuto responsabile dell'infortunio solo per avere omesso le cautele imposte dall'ordinamento, senza che sia dimostrato il nesso di causalità fra la condotta e l'evento, sulla base del mero versari in re illicita, in violazione dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità sulla colpevolezza.
2.3. Con il terzo motivo fa valere la falsa applicazione dell'art. 133 cod. pen. ed il vizio di motivazione, sotto il profilo dell'assoluta carenza. Sostiene che la motivazione sottesa alla misura della pena inflitta è meramente apparente, benché essa sia pari al triplo del minimo ( essendo il ricorrente stato condannato, previo giudizio di equivalenza fra l'aggravante di cui all'art. 589, comma 2 cod. proc. pen. e le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi diciotto di reclusione, diminuita a mesi dodici di reclusione, per la scelta del rito). Invero, A.Q., con l'atto di appello, aveva chiesto l'applicazione del minimo edittale, anche perché l'applicazione di una sanzione di eguale misura a quella prevista per M.R. palesava un'evidente illogicità, rivestendo quest'ultimo la carica di C.S.E., su cui incombeva un maggior obbligo di diligenza. La Corte territoriale, tuttavia, ha omesso qualsiasi valutazione e si è limitata confermare la sentenza del Tribunale, che aveva posto a giustificazione della pena inflitta la sola gravità del fatto. Lamenta, altresì, che la Corte territoriale abbia omesso di rispondere in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, la cui richiesta non è neppure menzionata dalla sentenza impugnata.
2.4. Con il quarto motivo si duole della falsa applicazione dell'art. 69 cod. pen. e del vizio di motivazione, sotto il profilo dell'assoluta carenza. Rappresenta che la Corte territoriale, dopo avere riportato, nella parte introduttiva, il motivo di appello con cui si chiedeva un più favorevole bilanciamento delle circostanze, omette qualunque risposta, benché vi fossero tutti gli elementi per ritenere le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata, anche avuto riguardo al fatto che A.Q. ha risarcito il danno alla famiglia di B.Q., con la corresponsione della somma di euro 155.000,00 ed al fatto che essendo la vittima il fratello dell'imputato, lui stesso era stato colpito da un grave lutto.
2.5. Con il quinto motivo fa valere la violazione degli artt. 59, comma 1 e 62 n. 6) cod. pen. per avere la Corte irragionevolmente mancato di applicare l'attenuante del ravvedimento operoso, nonostante fosse intervenuta transazione con i familiari della vittima e l'applicazione della diminuente fosse stata richiesta dal Pubblico ministero nelle conclusioni.
3. Con memoria ritualmente depositata il ricorrente ha formulato cinque motivi aggiunti, con cui ribadisce il contenuto di ciascuno dei motivi formulati con il ricorso.

 

Diritto



1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. Va premesso, innanzitutto, che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte "Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale. (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E. Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Valeri, Rv. 252615).
Ciò accade, quando i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata.
1.2. Nel caso di specie, la sentenza di primo grado, basando la decisione sulla perizia disposta in giudizio, descrive con compiutezza le modalità dell'infortunio, tenendo in considerazione gli ambiti lavorativi delle imprese coinvolte nel cantiere, sia sotto il profilo delle attività contrattualmente demandate, che sotto quello degli spazi fisici di operatività. E chiarisce che, nonostante, il luogo in cui è avvenuto il sinistro mortale, ovverosia la tettoia n. 3 del fabbricato C, a tutela del quale era stato posto un ponteggio aereo formato da montaggi metallici ed assi di legno, non rientrasse nelle zone su cui dovevano lavorare i dipendenti della F.lli A.Q. s.n.c., nondimeno, essa era facilmente accessibile dalla tettoia n. 2, su cui la F.lli A.Q. aveva montato il ponteggio metallico cui era ancorato il convogliatore di macerie che serviva a smaltire il materiale derivante dallo smantellamento delle tegole del fabbricato C, cui proprio la F.lli A.Q. doveva provvedere. La sentenza spiega anche che il contratto di appalto [di cui viene specificamente richiamato il punto 21)), affidava all'impresa dell'imputato il compito di rimuovere tre camini, presenti sul tetto e che, proprio per svolgere detta attività, la vittima, provenendo dal tetto del fabbricato B, è transitata inavvertitamente sulle lastre in vetroresina della tettoia n. 3, coperte dai pannelli in legno lasciati dagli operai addetti al montaggio dei ponteggi, al fine di portare le macerie dello smontaggio delle canne fumarie verso il convogliatore, posto a servizio della tettoia n. 2).
Il giudice di prima cura spiega che nessuna spiegazione alternativa a quella formulata dal perito può essere ipotizzata, non consentendola la ricostruzione dello stato dei luoghi e la collocazione dei camini, nonché il fatto che l'operaio, caduto dalla tettoia n. 3), come dimostra il punto di 'scoppio' della lastra in vetroresina, è stato rinvenuto accanto a materie cementizie e ad alcuni pezzi di canna fumaria.
A questa compiuta ricomposizione del materiale probatorio da parte del giudice di primo grado, l'imputato ha opposto con l'appello, da un lato, che alla F.lli A.Q. non spettava di rimuovere i camini, avendo, per contro, l'impresa correttamente adempiuto al compito assunto di rimuovere le tegole, dall'altro, che l'infortunio era dipeso dal comportamento abnorme del lavoratore, il quale si era spinto in un'area del cantiere non di competenza del suo datore di lavoro, ed infine, che il montaggio dei ponteggi era stato subappaltato dalla stessa F.lli A.Q. alla Global Ponteggi s.r.l., unico soggetto, quindi, cui poteva imputarsi di avere lasciata sguarnita di protezioni la zona nella quale era intervenuta la caduta di B.Q..
La sentenza di seconda cura, riprendendo integralmente il contenuto dell'accertamento effettuato dal primo giudice, aggiunge che, a dispetto di quanto sostenuto dall'imputato, la presenza dei dipendenti della F.lli A.Q. sul tetto, in quella stessa giornata, è stata riscontrata dalle dichiarazioni degli operai della Toschinstallazioni, a loro volta presenti sul tetto, ciò dimostrando che immediatamente prima del sinistro gli operai dell'impresa F.lli A.Q. erano impegnati proprio nello smontaggio dei camini, posti sulla sommità del fabbricato. Mentre l'impiego della vittima in detta attività è risultata dimostrata dal rinvenimento sul luogo della caduta ed accanto al corpo del medesimo di parti di canna fumaria. Su questa base, la Corte territoriale considera ininfluente che l'attività di smontaggio dei camini fosse o no prevista dal contratto, posto che comunque essa era di fatto svolta dall'impresa, il che conduce ad escludere, secondo il giudice di appello, l'abnormità del comportamento del lavoratore, addetto dal datore di lavoro allo svolgimento di quella attività.
1.3. Ora, in questa sede, il ricorrente non fa che riproporre le stesse censure già risolte dalla pronuncia di seconda cura -che, si ribadisce va integrata con la motivazione della decisione di primo grado, con cui forma un unico tessuto argomentativo- senza neppure allegare, benché neghi di avere ricevuto l'incarico di smontare i camini, il contratto di appalto intercorso con il committente, richiamato dal giudice di primo grado (pag. 13), a smentita di quanto affermato dalla sentenza. Siffatta circostanza, tuttavia, appare sinanco inconferente, essendo stato accertato, con sentenza c.d. doppia conforme, che siffatta attività era di fatto svolta dalla F.lli A.Q., il che implica l'assunzione diretta della responsabilità da parte del datore di lavoro che assegni un'incombenza al lavoratore, rispetto alla predisposizione delle cautele collettive ed individuali poste a presidio della sua salute.
Non è, infatti, dagli impegni contrattuali assunti con i terzi che derivano gli obblighi di prevenzione e protezione stabiliti dal d. lgs. 81/2008, ma dallo stesso rapporto di lavoro, che obbliga il datore di lavoro a tutelare sempre e comunque il lavoratore in relazione alle attività svolte, indipendentemente dal fatto che esse formino oggetto di accordi conclusi con la committenza dell'opera o che ne siano escluse, rilevando unicamente che il rischio realizzatosi rientri nella sfera di governo del datore di lavoro.
Se, dunque, la F.lli A.Q. s.c.n. aveva pattiziamente o di fatto assunto il compito di rimuovere i camini, competeva proprio alla società predisporre un POS che prevedesse il rischio derivante dal possibile camminamento sulla tettoia n. 3, contraddistinta dalla presenza di lastre in vetroresina, stante la necessità di portare le macerie dei camini al convogliatore posto a corredo della tettoia n. 2, trattandosi di una via non interclusa e quindi foriera di rischi per gli operai addetti a quella mansione.
Il fatto che la predisposizione delle necessarie cautele non fosse prevista dal PSC, redatto da M.R. (condannato in via definitiva, e non impugnante), non esimeva certo A.Q., quale datore di lavoro, dal programmare modalità organizzative che tutelassero i lavoratori da tutti i rischi derivanti dalle attività svolte, anche prevedendo la possibilità di errori dei lavoratori sui percorsi da utilizzare ed assicurandosi che le zone pericolose, quali erano quelle coperte da lastre in vetroresina non fossero accessibili, o comunque, fossero poste in sicurezza. Il Piano operativo per la sicurezza, infatti, deve avere ad oggetto la valutazione di tutti i rischi connessi alle lavorazioni da svolgere, ivi compresa, ai sensi dell'Allegato XV, come richiamato dall'art.96 d. lgs. 81/2008 punto 3.2.1 lett. g) l'individuazione delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere. Dunque, proprio la mancata previsione del rischio da parte del PSC imponeva al datore di lavoro dell'infortunato l'obbligo di approntare autonomamente le cautele indispensabili alla tutela della salute dei propri dipendenti. E fra queste, posto che una parte delle attività si svolgeva sulle coperture, quelle misure di protezione collettiva, che consentissero di contenere i rischi da sfondamento di parti inidonee a sostenere il peso degli operai, come stabilito dall'art. 148 d. lgs. 81/2008.

E', pertanto, l'omesso adempimento agli obblighi derivanti da quest'ultima disposizione che costituisce la condotta addebitata all'imputato, tenuto conto dell'onere su di lui gravante, in quanto datore di lavoro, di organizzare il cantiere e l'attività dei dipendenti, anche curando l'adozione di strumenti per l'interdizione ad aree pericolose non ricadenti nelle zone operative dell'attività dell'impresa, qualora dette zone risultino altrimenti accessibili e pericolose.
Ecco, perché, indipendentemente dal fatto che l'area in cui è intervenuto l'infortunio non fosse fra quelle dove doveva svolgersi alcuna opera da parte della F.lli A.Q. egualmente l'imputato aveva il dovere di occuparsi di far sì che essa non fosse praticabile dai suoi lavoratori o, comunque, di metterla in sicurezza evitando che il passaggio sui pannelli in vetroresina potesse consentirne la caduta.
Del tutto fuorvianti, allora, sono le considerazioni formulate dal ricorrente in ordine al corretto montaggio dei ponteggi appaltati alla Global Service, stante l'inidoneità a proteggere gli operai dallo specifico rischio concretizzatosi, in alcun modo previsto e contenuto da A.Q..
1.4. E' chiaro, a questo punto, che anche le considerazioni relative all'abnormità del comportamento della persona offesa -che sarebbero consistite nell'avventurarsi su una zona vietata- perdono ogni consistenza, perché l'attività svolta dal lavoratore era quella affidatagli dal datore di lavoro, mentre era compito di quest'ultimo assicurarsi che potesse essere svolta in condizioni di piena sicurezza, anche prevedendo il transito su una zona non adeguatamente esclusa dai possibili percorsi che conducevano dalla porzione di tetto ove si trovava il camino da demolire ed il convogliatore di macerie e le relative cautele da approntare per il caso di transito di un lavoratore su quell'area.

2. Il secondo motivo inerente alla causalità della colpa, risulta, a questo punto, sostanzialmente assorbito. La doglianza, infatti, muove dalla considerazione che l'area su cui è avvenuto l'infortunio fosse interdetta agli operai della F.lli A.Q., ma come si è detto ciò non esonerava il datore di lavoro dal prevedere il transito sull'area non efficacemente interclusa, né dall'obbligo di predisporre idonee misure per evitare il pericolo di caduta. Né può dirsi, come fa il ricorrente, che A.Q. sia stato ritenuto responsabile solo perché non ha adempiuto agli oneri cautelativi imposti dalla legge, avuto riguardo al fatto che la sua condotta è causalmente connessa con l'infortunio, dipeso proprio dall'avere omesso di approntare efficaci misure preventive.

3. Il terzo motivo è anch'esso manifestamente infondato. Il ricorrente lamenta che la Corte non abbia preso in esame la censura formulata con l'atto di appello, relativa all'eccessività della pena, inflitta dal primo giudice in misure di tre volte superiore al triplo del minimo edittale.
3.1. Ora, benché sia vero che la Corte -che dà atto della proposizione del motivo- non abbia espressamente affrontato l'argomento, è anche vero che il corpo motivazionale della sentenza impugnata dimostra di condividere l'impostazione del primo giudice, il quale, concedendo le circostanze attenuanti generiche all'imputato -in ragione del dolore causato dalla morte del fratello- in regime di equivalenza con l'aggravante di cui all'art. 589, comma 2/\ cod. pen., ha stabilito la pena di diciotto mesi di reclusione. Siffatta pena, nondimeno, pur rappresentando il triplo del minimo di quella prevista dall'art. 589, comma 1/\ cod. pen., non raggiunge il medio edittale, essendo la cornice prevista da sei mesi a cinque anni di reclusione.
Ora, seppure debba concordarsi sul principio secondo cui qualora la motivazione si riveli inadeguata all'intelligenza del percorso logico che giustifica la determinazione concreta della pena applicata dal giudice, essa deve considerarsi viziata perché illogica od omessa, nondimeno va ricordato che la giurisprudenza, allorquando non sia superata la medietà della sanzione, non richiede un particolare approfondimento argomentativo. D'altro canto non vi è dubbio che nessuna motivazione sia necessaria per giustificare l'applicazione del minimo, essendo un'ovvietà logica che in assenza di una misura inferiore al minimo, il criterio discrezionale si attesta sulla scarsa offensività e sulla scarsa capacità delinquenziale. Ma anche nell'ipotesi di pena concreta determinata entro il medio edittale, il richiamo ai criteri dell'art. 133 cod. pen., ancorché reso esplicito con le espressioni pena congrua o pena equa costituisce giustificazione sufficiente dell'uso della discrezionalità del giudice, perché si colloca in una fascia valutativa- fra il minimo ed il medio edittale appunto- all'interno della quale il legislatore stesso prevede la punizione come corrispondente alla gravità media della condotta cui corrisponde quell'azione, Sicché ritenere la pena media come congrua, significa semplicemente corrispondere allo schema punitivo previsto 'mediamente' dalla norma incriminatrice, il che non può implicare l'obbligo di un particolare impegno motivazionale. Diversamente è quando ci si discosta da quella medietà, e tanto più ci si discosta, che diviene necessario spiegare per quale motivo il reato e l'agente che si giudicano meritino l'applicazione di una pena superiore, perché il superamento di quella soglia implica una valutazione della gravità della condotta o della capacità a delinquere dell'agente che supera la 'media' ed il giudice deve spiegarne le ragioni, non potendo altrimenti giustificarsi l'utilizzo della discrezionalità, che in assenza di ogni argomentazione al riguardo perde la sua qualità positiva di adattamento della sanzione al caso concreto e, conseguentemente, la sua legittimità anche costituzionale.

3.2. Nel caso di specie, la lettura della sentenza di secondo grado consente di affermare che la Corte territoriale ha integralmente aderito al percorso argomentativo del primo giudice in relazione alla gravità della condotta tenuta da A.Q. ed all'entità della lesione del bene protetto. Sicché, essendo esclusa, per effetto del bilanciamento delle circostanze, l'incidenza dell'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 589 cod. pen. sulla pena da infliggere, ai sensi dell'art. 69, comma 3 cod. pen., ed essendo determinazione della misura della sanzione inferiore al medio edittale (pari ad anni due e mesi sei), nessuna particolare motivazione doveva essere espressa per giustificare la conferma della pena inflitta dal primo giudice, diversa da quella della mera condivisione della valutazione del giudice di prima cura sulla gravità del reato e della colpa.

4. Inammissibile è, altresì, il secondo profilo sollevato con il quarto motivo di ricorso, inerente alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Il ricorrente si duole dell'assenza di motivazione sul punto, non avendo la Corte territoriale neppure richiamato la doglianza, dimenticando che il primo giudice ha negato il beneficio per essere il medesimo già stato concesso due volte. Su questo punto l'imputato non prende posizione, dimenticando il disposto dell'art. 164, ultimo comma cod. pen.. Ciò rendeva del tutto superflua ogni risposta del giudice di appello.
Argomenti non dissimili a quelli enunciati supra conducono alla declaratoria di inammissibilità del quarto motivo di ricorso. Anche qui, invero, non è dato cogliere nelle considerazioni sottoposte al giudice di appello, nessun elemento non già vagliato dal giudice di primo grado, capace di modificarne la valutazione. Il ricorrente, invero, si limita a ricordare che A.Q. ha risarcito i familiari della vittima con la somma di euro 155.000,00, che egli stesso aveva subito un grave lutto, che la pena inflitta al CSE geom. M.R. era pari a quella inflitta a A.Q., nonostante la sentenza del primo giudice avesse riconosciuto la minor responsabilità del secondo, privo di pari conoscenze tecniche, che comunque A.Q. aveva predisposto un POS per le aree della zona di cantiere assegnatagli con l'appalto. Tutte circostanze queste già ampiamente esaminate dal primo giudice, che ha dato atto, proprio al fine di concedere le circostanze attenuanti generiche sia della corresponsione della somma di euro 155.000,00 (per la verità in favore dell'INAIL, evidentemente in sede di regresso, e quindi non a titolo di risarcimento), che del dolore personalmente patito dall'imputato. Mentre, una valutazione positiva della condotta del ricorrente in ordine alla predisposizione di un piano di sicurezza per il cantiere è radicalmente esclusa da entrambe le sentenze, che, anzi ne stigmatizzano la parzialità e l'insufficienza. L'assenza di fattori non considerati dal primo giudice consentiva, dunque, al giudice di appello di limitarsi ad aderire, anche implicitamente, al percorso argomentativo della sentenza appellata, senza ulteriormente dover argomentare per confermare il bilanciamento delle circostanze in regime di equivalenza.

5. Del pari è manifestamente infondato l'ultimo motivo di ricorso, con il quale ci si duole della mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6) cod. pen.. A parte che dalla sentenza di primo grado si apprende che la somma di euro 155.000,00 è stata corrisposta all'INAIL -e quindi evidentemente in sede di regresso- e non ai familiari della persona offesa, vi è che la diminuente invocata non può essere riconosciuta se non alla condizione che il danno sia integralmente risarcito e che il pagamento sia effettuato prima del giudizio,
condizioni entrambe di cui il ricorrente neppure allega l'avveramento.


6. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 12/04/2022