Cassazione Penale, Sez. 4, 15 luglio 2022, n. 27583 - Infortunio mortale durante il collaudo in acqua di un mezzo anfibio. Responsabilità del datore di lavoro e del delegato in materia di sicurezza del lavoro. Annullamento con rinvio


 

 

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 13/04/2022
 

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale di Mantova nei confronti di C.R. e P.S., giudicati colpevoli del reato di cui agli artt. 113, 589, comma 1 cod. pen. per aver cagionato per colpa la morte di A.M..
La Corte di appello ha infatti concesso al C.R. la non menzione della condanna nel certificato penale e al P.S. la sospensione condizionale della pena, subordinata alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, confermando ogni altra statuizione del primo giudice.

2. La vicenda esaminata dai giudici di merito attiene al decesso di A.M., dipendente della Marconi Industria Service s.p.a., verificatosi a causa delle lesioni riportate durante il collaudo in acqua di un mezzo anfibio costruito dalla società Marconi per la pulizia delle acque interne mediante triturazione delle canne, da trasformare in pellet.
Il 17 febbraio 2011 nel mezzo, costituito da un anfibo di origine militare denominato Alvis sul quale era stata installata una macchina per la triturazione, erano entrati L.S., avente mansioni di guida, A.B. e A.M., con funzioni di assistenza al conducente. Per il collaudo era stato scelto il Fondo Casazze di Soave, che dava sulle acque di un canale del Parco del Mincio. Per procedere all'ammaraggio del natante nelle acque ghiacciate, questo era stato posto su uno scivolo corto e ripido e quando era venuto a contatto con la superficie ghiacciata l'aveva rotta e si era inclinato. Il A.M., allora, aveva cercato di uscire dall'interno del mezzo attraverso un boccaporto, sporgendosi oltre questo sino all'addome e, a causa dell'impatto del natante con l'acqua, aveva colpito con forza il bordo del boccaporto. Nell'immediatezza il A.M. era rimasto vigile e cosciente ed aveva lasciato con i propri mezzi il natante; ma più tardi era subentrato uno stato di incoscienza; a seguito di una Tac si riscontravano lesioni addominali e un forte versamento ematico, che determinavano il decesso del lavoratore.
La responsabilità per la morte del A.M. è stata esclusa per il coimputato M.N. e affermata per il C.R., amministratore delegato della società Marconi e datore di lavoro del lavoratore deceduto. Al C.R. è stato rimproverato di non aver eseguito la valutazione dei rischi connessi all'impiego di un mezzo particolare qual era quello coinvolto nel sinistro, non avendo rilievo che la società avesse redatto il documento di valutazione dei rischi per l'impiego di automezzi. Con ciò i giudici di merito hanno disatteso la tesi difensiva secondo la quale si sarebbe dovuto unicamente aggiornare la valutazione dei rischi entro i trenta giorni successivi al collaudo. Inoltre, è stato ritenuto che la condotta colposa del C.R. sia consistita nell'omettere di informare, formare e somministrare addestramento al A.M. sui rischi specifici e nell'omettere di predisporre un manuale d'uso e di istruzioni anch'esso specifico per il mezzo anfibo in questione, con l'indicazione delle procedure da seguire per il collaudo dello stesso, in particolare in relazione alla pendenza massima consentita in ragione del peso complessivo, diverso e maggiore di quello del solo natante. Per il Tribunale tali procedure non erano state previste; per la Corte di appello esse esistevano ma si riducevano a mere indicazioni informative.
Quanto al P.S., destinatario di una delega di funzioni in materia di sicurezza del lavoro all'interno della società, conferitagli dal C.R. nell'anno 2010, al medesimo è stato ascritto in primo luogo di non aver somministrato al A.M. l'informazione, la formazione e l'addestramento specificamente relativi al collaudo del mezzo; inoltre, gli è stato addebitato di aver scelto erroneamente il punto dal quale procedere all'ammaraggio del natante, nonché il mancato deposito presso gli uffici della Motorizzazione civile del progetto relativo al natante, perché da ciò è derivata la presenza di oblò sforniti di protezione dei bordi, che con ogni probabilità in sede di verifica della conformità del veicolo ai requisiti di legge sarebbe stata rilevata, così come la mancata installazione di cinture di sicurezza, dovuta perché si trattava di mezzo soggetto alla disciplina della circolazione stradale.

3. C.R. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza a mezzo dei difensori di fiducia avv. Carlo Pagani e Federico Pezzani.
Con un primo motivo ci si duole che la Corte di appello abbia sì dato atto della previsione di procedure appositamente predisposte per la prova sperimentale, ma poi ha degradato le stesse a mere indicazioni informative, senza spiegare quale sia la differenza tra le une e le altre.
L'assunto degli esponenti è che le procedure previste in forma scritta (contenute nel 'Libretto formativo di A.M.' e nell'incontro formativo/informativo per collaudo veicoli anfibi in acqua) contemplassero esattamente le misure la cui adozione i giudici hanno ritenuto doverose nella fattispecie concreta. Tale assunto viene ribadito ripetutamente, in relazione ai diversi passaggi motivazionali della sentenza di secondo grado che manifestano l'omessa considerazione dei rilievi avanzati con l'atto di appello.
In particolare, nell'atto di appello si era posto in evidenza come l'anomalo ammaraggio dell'anfibio fosse stato dovuto ad errori di tipo esecutivo e non valutativo, costituiti dalla errata scelta del punto di ammaraggio e nella inadeguata preparazione della sponda. Inoltre si segnalava come le procedure aziendali prevedessero l'ammaraggio nell'ambito della sperimentazione dei progetti, la preparazione preliminare della rampa di ammaraggio da farsi in ambiente esterno, per una discesa graduale in acqua, la preliminare verifica della tipologia e consistenza del terreno costituente la sponda, l'obbligo per gli occupanti del mezzo di rimanere seduti durante l'ammaraggio, l'obbligo di non essere assicurati con le cinture di sicurezza, l'obbligo di eseguire il passaggio terra-acqua a bassa velocità. Inoltre era previsto che l'operazione potesse avvenire solo con un'inclinazione non superiore al 30%, riproduttiva delle pendenze verificate nelle prove in vasca.
Pertanto, il datore di lavoro aveva predisposto le misure necessarie ed anche un adeguato assetto organizzativo per la fase esecutiva, con la partecipazione al collaudo delle funzioni apicali dell'azienda. Inoltre, aveva validamente delegato alcune funzioni, tra le quali l'attività di formazione e di informazione dei lavoratori.
A fronte di ciò in modo manifestamente illogico la Corte di appello da un canto dà atto che nel documento richiamato dalla difesa (l'allegato 44) vengono considerati i fattori impeditivi dell'ammaraggio, ovvero la presenza di ghiaccio e una pendenza superiore al 30%, dall'altro indica errori degli operatori e ciò nonostante "indica nella formulazione dei comandi scritti una non meglio tematizzata 'conferma' ... della prevedibilità dei fattori di pericolo ... senza per contro avvedersi di aver così testualmente riscontrato anche una avvenuta previsione dei rischi, e coerente introduzione di regole operative ".
Né l'inclinazione assunta dal mezzo fu estranea alla valutazione del rischio. Altro tema che, proposto con l'impugnazione, non è stato trattato dalla Corte di appello è quello relativo al fatto che se il progettista è stato mandato assolto perché se vi fosse stato il rispetto del limite di inclinazione da questo previsto (60%) l'evento non si sarebbe verificato, allora anche il datore di lavoro, che aveva previsto un limite di inclinazione del 30%, non può essere ritenuto responsabile del sinistro.
Ancora omessa motivazione si ravvisa in relazione al rilievo secondo il quale le procedure previste riproducevano le prove fatte in vasca alle quali aveva partecipato il A.M. (e peraltro il ricorrente contesta l'affermazione della Corte di appello secondo la quale questi non aveva partecipato ad ammaraggi in ambiente esterno, lamentando che non abbia supporto probatorio). In sostanza, le procedure operative definite dal datore di lavoro ricreavano le condizioni di sicurezza sperimentate.
La sentenza non motiva sulla dedotta preparazione ed esperienza degli esecutori della prova e nega che essi fossero titolati ad assumere in loco decisioni afferenti alla valutazione del rischio, senza alcuna pertinenza al tema, che era quello della loro capacità di scegliere un punto di ammaraggio conforme alle procedure.
Pur premettendo che il presunto deficit di formazione non è stato imputato al datore di lavoro, l'esponente rammenta di aver lamentato che il Tribunale avesse trascurato di considerare le esperienze specifiche del A.M. nelle fasi di ammaraggio della prova e l'attività formativa che egli aveva svolto, strutturata proprio sulla base della procedura operativa. Il tema è rilevante perché non sarebbe stato possibile identificare un contenuto formativo specifico diverso e ulteriore rispetto a quello esplicitato nella procedura in atti; come dimostra il fatto che entrambi i giudici di merito non hanno potuto descriverlo se non in forma del tutto generica e negativa, sostenendo che il A.M. non era formato. Per contro, l'esponente rileva che quelle procedure contenevano le prescrizioni capaci di impedire il cambio inatteso di pendenza e quella per fronteggiare la reazione emotiva del passeggero, ovvero rimanere seduti. Né sarebbe stato possibile sottoporre i lavoratori ad esercitazioni che ricreassero improvvisi cambi di pendenza perché ciò li avrebbe esposti ai rischi che si volevano evitare.
La Corte di appello sul tema motiva senza confrontarsi con alcune circostanze: la partecipazione del A.M. ad un training dedicato (l'incontro del 18.6.2011); le esperienze pregresse del lavoratore di ammaraggio non solo in vasca artificiale; la coincidenza tra il piano di approdo del quale sostiene la mancanza e le procedure scritte adottate dall'impresa, che proibivano qualunque approdo su pendenze superiori al 30%. La Corte di appello non descrive l'ulteriore contenuto formativo che si sarebbe dovuto somministrare al lavoratore e, in sintesi, ha omesso l'indicazione del comportamento alternativo lecito.
L'esponente rileva, poi, che il Tribunale aveva posto in capo al C.R. l'addebito di non aver adottato un manuale d'uso del mezzo, nonostante esso fosse estraneo alla contestazione; che con l'appello era stato dedotta la violazione dell'art. 522 cod. proc. pen. A fronte della scarsa chiarezza della Corte di appello sul punto l'esponente reitera la denuncia di violazione del divieto di immutazione. Rileva che le violazioni cautelari attribuite dalla Corte di appello si concretano in condotte attive di tipo progettuale e quindi non riferibili al datore di lavoro, né sul piano sostanziale né su quello processuale, stante l'assenza di previa contestazione.
Si rileva che i giudici di merito non hanno potuto individuare, per l'assenza di un sostegno probatorio tecnico-scientifico, quale azione fisica abbia prodotto le lesioni alla persona offesa e per tale ragione non sono stati in grado di individuare il presidio antinfortunistico che, adottato, avrebbe impedito l'evento. Da qui la lesione delle facoltà difensive dell'imputato.

Quanto al profilo sostanziale, in merito all'addebito di non aver predisposto un manuale d'uso, l'esponente rileva in primo luogo che non è motivata la correlazione causale tra l'omissione e l'evento, tanto più che non è individuato il contenuto del manuale che sarebbe valso ad evitarlo. Più a monte, l'esponente rileva che il mezzo in questione non è una macchina, nell'accezione assunta dal d.lgs. n. 17/2010; che l'obbligo di dotare il mezzo di cinture di sicurezza non può ricavarsi dal Codice della strada risultando peraltro estraneo ai rischi connessi alla circolazione stradale quello connesso alle operazioni di ammaraggio. Peraltro, il traumatismo non fu generato da urti all'interno dell'abitacolo ma dalla volontaria assunzione della posizione eretta da parte del A.M.. Neppure è possibile ritenere sussistente una colpa generica perché il presidio non avrebbe più lo scopo di impedire movimenti involontari nell'abitacolo ma quello di impedire movimenti volontari verso l'uscita, peraltro con aumento del rischio correlato all'ammaraggio. D'altra parte è stato accertato nel processo che l'obbligo nelle operazioni di ammaraggio è proprio quello di slacciare le cinture di sicurezza. La Corte di appello non ha considerato la prova formatasi al riguardo ed ha creato a posteriori la regola cautelare, assimilando l'ammaraggio alla circolazione stradale, con palese errore di diritto.
Con riferimento alla protezione dagli elementi rigidi all'interno dell'abitacolo, la motivazione della Corte di appello è solo apparente perché non identifica la tipologia di protezione ipoteticamente impeditiva e pertanto non opera un reale giudizio controfattuale; il quale avrebbe dovuto comunque considerare che le lesioni vennero causate dalla pressione sull'addome e quindi in modo indipendente dal profilo o dalla copertura del boccaporto. Nuovamente si afferma che si tratta di un giudizio che avrebbe richiesto conoscenze scientifiche. In ogni caso il C.R. rimase estraneo ad ogni attività progettuale.
Con riferimento all'omesso deposito del progetto in Motorizzazione civile, l'esponente premette che l'addebito non è stato mosso al datore di lavoro e che anche la Corte di appello non ne ha fatto oggetto della sua valutazione; ma che per l'incertezza derivante dal tenore della motivazione devono essere riprodotti i rilievi mossi con l'appello. Ovvero che non è stata indicata la fonte giuridica che porrebbe l'obbligo amministrativo di depositare i disegni progettuale di un oggetto sperimentale, come tale non collaudabile, non soggetto ad omologazione, non idoneo alla circolazione su strada. E ciò fermo restando che non si tratterebbe di una regola cautelare.
Con riferimento a quella che viene definita come l'unica violazione cautelare imputata al datore di lavoro, ovvero l'omessa valutazione del rischio, l'esponente ripete che in realtà erano state definite due procedure, una che imponeva di non procedere all'ammaraggio su pendenze superiori al 30%, l'altra che contemplava la verifica della consistenza del terreno e l'omogeneità e gradualità della discesa. Cautele di facile adozione che, se adottate, avrebbe impedito l'evento, secondo il giudizio controfattuale operato dal Tribunale. Che la valutazione del rischio fosse stata fatta emerge dalle attività poste in essere prima della prova in acqua, coerenti con le procedure definite per l'ammaraggio in ambiente naturale.
L'assunto giuridico dell'esponente è che il precetto posto dagli artt. 43 cod. pen. e 28 d.lgs. n. 81/2008 imporrebbe di non limitarsi alla ricerca dei contenuti del D.V.R., inteso quale unica e tassativa sede fisica di codificazione rilevante, perché ai fini dell'addebito per colpa, quel che rileva è la disposizione prevenzionistica in sé. Sul punto la Corte di appello ha risposto con motivazione eccentrica e non esatta.
L'esponente censura altresì il giudizio in ordine alla causalità della colpa perché, anche quando la colpa fosse individuabile nella omessa integrazione del D.V.R., resterebbe la predisposizione delle cautele che azzeravano il rischio di inclinazioni pronunciate o comunque inattese.
Con un ultimo motivo si denuncia la manifesta illogicità della motivazione laddove respinge la censura in merito al mancato riconoscimento dell'attenuante dell'avvenuto risarcimento del danno sulla base dell'argomento che la documentazione prodotta dall'appellante era la medesima di quella sottoposta al Tribunale, sulla scorta della quale era stato ritenuto solo parziale il risarcimento operato.
All'inverso la documentazione dimostra l'integrale risarcimento operato ben prima dell'apertura del dibattimento (580.000 euro il 14.1.2014).
Si lamenta che la motivazione in ordine al diniego di riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen. sia inadeguata.
Per l'esponente, infine, non sono motivati né il rigetto di un diverso bilanciamento delle concorrenti circostanze eterogenee né il rigetto della richiesta di una diminuzione della pena.

4. P.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza a mezzo del difensore di fiducia avv. Carlo Pagani.
Dopo aver riproposto quanto ritenuto rilevante dei giudizi di primo e di secondo grado, l'esponente lamenta: - che la Corte di appello abbia erroneamente qualificato le procedure appositamente predisposte per la prova sperimentale, degradandole a mera indicazione informativa all'equipaggio senza tener conto dei comandi prescritti nel documento formativo;
- che conseguentemente la Corte di appello abbia errato nel ritenere che le scelte operative del personale erano state rimesse agli stessi;
- che con l'appello era stato rilevato che l'inclinazione del mezzo - dovuta alla erronea scelta del punto di ammaraggio e ad una inadeguata preparazione della sponda - individuata dal Tribunale quale fattore causale, non era stata dovuta a caratteristiche strutturali dello stesso (in particolare, lo spostamento dell'originario baricentro), e che le cautele individuate come necessarie erano previste nei documenti aziendali, mentre il limite di inclinazione previsto nelle procedure predisposte dalla società per le prove di ammaraggio era di circa quindici gradi (30%) ed il Tribunale ha assolto il M.N. affermando che anche se il limite fosse stato di circa 30 gradi (60%) l'evento non si sarebbe verificato; la Corte di appello non si è confrontata con tale conclusione del primo giudice;
- che con l'appello era stata dedotta l'omessa valutazione di prove concernenti il percorso formativo del A.M.: la Corte di appello "non tematizza i contenuti e non contesta il valore probatorio delle fonti citate con il primo gravame";
- che il P.S. non ebbe ruolo operativo nella prova effettuata in loco e che la scelta del punto di ammaraggio fu adottata dal Vice Presidente della Marconi, Viviani.
Un distinto motivo di ricorso ha ad oggetto il vizio di motivazione che sussisterebbe a riguardo dell'inclinazione assunta dal mezzo.
Secondo l'esponente la Corte di appello in modo contraddittorio ha rilevato che "le procedure operative prevedono proprio quei comandi la cui violazione in sede esecutiva ha condotto all'innesco della dinamica", ma poi fa derivare da ciò la prevedibilità dei fattori di pericolo senza rilevare l'avvenuta previsione dei rischi e la conseguente introduzione di regole operative esattamente collimanti con quanto indicato dal consulente tecnico del Pm e dalle sentenze di merito.
Peraltro, la Corte di appello non ha considerato che quei comandi e quei divieti sarebbero stati agevolmente attuabili in concreto senza necessità di ulteriori valutazioni del rischio in loco.
Lamenta, ancora, che la Corte di appello abbia ritenuto l'inclinazione assunta dal natante come un fattore nuovo; in realtà si trattò di una 'difformità' rispetto ai comandi previsti dalle procedure per riproporre condizioni già sperimentate.
La Corte di appello non ha risposto al rilievo che segnala come le previste procedure operative riproducevano esattamente le condizioni operative precedentemente sperimentate in vasca, in sicurezza e con esito positivo. Ad esse aveva partecipato anche il A.M. (come pure ad ammaraggi in ambiente esterno, diversamente da quanto asserito dalla Corte di appello, travisando il materiale probatorio che non offre conferma dell'affermazione negativa). Anche le prove in ambiente esterno erano state fatte con sponde naturali con pendenze ed affrontate in ammaraggio.
L'esponente afferma che le cautele da osservare era state definite prima della prova, venendo codificate nella sequenza operativa di cui all'incontro formativo/informativo per collaudo veicoli anfibi in acqua del 18.6.2011 e nella procedura di collaudo in acqua in sicurezza con veicoli anfibi.
La sentenza non motiva sulla dedotta preparazione ed esperienza degli esecutori.
Ancora distinto motivo di ricorso riunisce una varietà di rilievi che denunciano il vizio motivazionale e la violazione degli artt. 40 e 43 cod. pen. in relazione alla asserita carenza di formazione ed informazione subita dalla persona offesa. Non si comprende di quale omissione sarebbe responsabile il Provola. La Corte di appello ha sostenuto che la tesi difensiva di una compiuta formazione ed informazione del A.M. non è fondata perché sarebbe stato necessario "un piano di approdo specifico" o il divieto di ammaraggio in simili condizioni; senza però avvedersi che proprio questo era il contenuto dell'incontro formativo/informativo per collaudo veicoli anfibi in acqua del 18.6.2011 e che il A.M. aveva esperienze pregresse di ammaraggio, non solo in vasca artificiale. Più in radice, ad avviso dell'esponente la Corte di appello non ha indicato quale ulteriore e specifico contenuto formativo avrebbe dovuto essere somministrato alla persona offesa, posto che nelle procedure era previsto il divieto di ammaraggio e la posizione seduta.
Ulteriore motivo denuncia l'erronea applicazione degli artt. 40 e 43 cod. pen. ed il vizio della motivazione in relazione al difetto di correlazione tra imputazione e sentenza.
Quanto a questo secondo profilo, si sostiene che la predisposizione di un veicolo sprovvisto di protezioni, ovvero di cinture di sicurezza, integra una condotta attiva che non può essere attribuita al datore di lavoro ma al progettista, la cui rilevanza causale è dipendente da prove tecnico-scientifiche che sono mancate. Muovere tale addebito al datore di lavoro costituisce una lesione al diritto di difesa.
Quanto al primo profilo, l'esponente sostiene che è stato erroneamente ritenuto che gravasse sul P.S. l'obbligo di dotare il mezzo di un manuale d'uso; peraltro, in presenza di istruzioni aziendali non si comprende quali ulteriori prescrizioni avrebbe dovuto contenere quel manuale. Infatti, il mezzo in questione non ricade nel campo di applicazione del d.lgs. n. 17/2010. Al contempo, non è sussistente l'obbligo di dotare il mezzo di cinture di sicurezza, che non può essere ricavato dalle norme sulla circolazione stradale, non essendo veicolo destinato a circolare o che circolò su strada. Tale obbligo, che contrasta con le regole di settore che escludono l'allacciamento delle cinture sui mezzi natanti in galleggiamento, non può essere ricavato neppure da regole cautelari non scritte, perché si tratterebbe di una regola cautelare imponente la coercizione fisica, individuata chiaramente ex post.
Quanto alle protezioni degli elementi rigidi nell'abitacolo, la sentenza non descrive quali essi avrebbero dovuto essere (e quindi quali avrebbero evitato le lesioni; giudizio che avrebbe richiesto l'apporto di conoscenze scientifiche) e d'altronde non offre una descrizione delle caratteristiche del boccaporto.
Quanto all'omesso deposito del progetto presso la Motorizzazione civile, la Corte di appello non ha ribadito le affermazioni sul punto fatte dal Tribunale; tuttavia, il ricorrente ha ritenuto di censurare l'omessa indicazione delle disposizioni che prevedono l'obbligo amministrativo per un mezzo, come l'anfibo in questione, che non era né idoneo né adibito alla circolazione su strada.
La efficienza causale di tale condotta è stata affermata in modo meramente assertivo.
Infine, con altro motivo, si lamenta il vizio di motivazione e la violazione degli artt. 62, n. 6, 114, 69 e 133 cod. pen.
La Corte di appello ha errato nel ritenere che la documentazione versata in atti dalla difesa non fosse sufficiente a dimostrare l'avvenuto risarcimento.
Parimenti ha errato nel rigettare l'istanza di applicazione dell'art. 114 cod. proc. pen. ed è incorsa in vizio di motivazione nel negare la sospensione condizionale della pena nonostante.
 

 

Diritto


1. I ricorsi sono fondati, nei termini di seguito precisati. Possono essere trattate congiuntamente le censure che conducono all'annullamento della sentenza impugnata.
1.1. Va in primo luogo esclusa la fondatezza del motivo, comune ai ricorsi, concernente la violazione dell'art. 522 cod. proc. pen., per aver il Tribunale posto in capo al C.R. l'addebito di non aver adottato un manuale d'uso del mezzo, nonostante esso fosse estraneo alla contestazione e la Corte di appello giudicato non sussistente la denunciata violazione del divieto di immutazione.
Nella giurisprudenza di legittimità è del tutto consolidata una interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in comparazione ma implica la necessità che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quegli interventi sull'addebito che gli attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti - e in particolare l'imputato - non abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio, anche solo dialettico. Sia pure a mero titolo di esempio può citarsi la massima per la quale "ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione" (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Rv. 257278).
Nella specifica materia dei reati colposi la concreta applicazione delle indicazioni giurisprudenziali incorre in alcune peculiari difficoltà, derivanti dal fatto che la condotta colposa - in specie omissiva e massimamente se commissiva mediante omissione - può essere identificata solo attraverso la integrazione del dato fattuale e di quello normativo, con un continuo trascorrere dal primo al secondo e viceversa. Mentre nei reati dolosi - in specie commissivi - la condotta tipica risulta identificabile per la sua corrispondenza alla descrizione fattane dalla fattispecie incriminatrice (reati di pura condotta) o per la sua valenza eziologica (reati di evento), nei reati omissivi impropri colposi la condotta tipica può essere individuata solo a patto di identificare la norma dalla quale scaturisce l'obbligo di facere e la regola cautelare che avrebbe dovuto essere osservata. Quest'ultima, in particolare, può rinvenirsi in leggi, ordini e discipline (colpa specifica), oppure in regole sociali generalmente osservate o prodotte da giudizi di prevedibilità ed evitabilità (colpa generica).
Com'è evidente, l'una e l'altra operazione sono fortemente tributarie della precisa identificazione del quadro fattuale determinatosi e nel quale si è trovato inserito l'agente/omittente; tanto che una modifica anche marginale dello scenario fattuale può importare lo stravolgimento del quadro nomologico da considerare.
Di qui il ricorrente richiamo da parte della giurisprudenza di legittimità alla necessità di tener conto della complessiva condotta addebitata come colposa e di quanto è emerso dagli atti processuali; ove risulti corrispondenza tra tali termini, al giudice è consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, perché sostanzialmente non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (ex multis, Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Rv. 257902; Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, Rv. 280950). L'accento posto sul concreto svolgimento del giudizio marginalizza - nella ricerca di criteri guida nella verifica del rispetto del principio di correlazione - un approccio fondato sulla tipologia dell'intervento dispiegato dal giudice (ad esempio, quello che si rifà alla presenza di una contestazione di colpa generica per affermare l'ammissibilità di una dichiarazione di responsabilità a titolo di colpa specifica).
Si può aggiungere, in questa sede, che la centralità della proiezione teleologica del principio in parola conduce a ritenere che, ai fini della verifica del rispetto da parte del giudice del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza, è decisivo che la ricostruzione fatta propria dal giudice sia annoverabile tra le (solitamente) molteplici narrazioni emerse sul proscenio processuale (ferma restando l'estraneità al tema in esame della qualificazione giuridica del fatto). La principale implicazione di tale assunto è che, dando conto del proprio giudizio con la motivazione, il giudice è chiamato ad esplicare i dati processuali che manifestano la presenza della 'narrazione' prescelta tra quelle con le quali si sono confrontate le parti, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente.
La seconda implicazione, che in questa sede assume diretto rilievo, è che risulta aspecifico e quindi inammissibile il ricorso che si limiti a segnalare la formale mancanza di coincidenza tra l'imputazione originaria ed il fatto ritenuto in sentenza. Aspecifico, giacché ai sensi dell'art. 581, co. 1 lett. c) cod. proc. pen., l'impugnazione deve enunciare, tra gli altri, "i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta". L'art. 591, co. 1, lett. c) cod. proc. pen., poi, commina la sanzione dell'inammissibilità dell'impugnazione quando venga violato, tra gli altri, il disposto dell'art. 581 cod. proc. pen. Come costantemente affermato da questa Corte (tra le altre, sez. 6, 30/10/2008, Arruzzoli ed altri, rv. 242129), in materia di impugnazioni, l'indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell'art. 581 lett. c) c.p.p., costituisce di per sè motivo di inammissibilità del proposto gravame.
La censura introdotta in questa sede non considera l'insegnamento di questa Corte e neppure allega un concreto pregiudizio per il diritto di difesa.
1.2. Gli ulteriori rilievi posti dai ricorrenti ruotano essenzialmente intorno all'obbligo datoriale di effettuare la valutazione dei rischi (artt. 15, 17, 28 e 29 d.lgs. n. 81/2008): si sostiene che l'obbligo è adempiuto anche in assenza di formalizzazione della eseguita valutazione; che nella specie essa era stata effettuata ed aveva condotto alla individuazione delle misure prevenzionistiche necessarie. Mentre la Corte di appello lo ha erroneamente negato, sia alla luce della documentazione versata in atti sia in relazione ai rischi prevedibili. Di qui la conclusione di un evento infausto determinatosi non per le omissioni attribuite dalla contestazione ma perché nell'esecuzione della prova in acqua non erano state osservate le misure individuate ed anche il A.M. non si era attenuto alle direttive impartitegli. A tal riguardo, si contesta anche il giudizio della Corte di appello a riguardo dell'avvenuta informazione e formazione del lavoratore. 1.3. A partire dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 626/1994 perno della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori è divenuta la valutazione dei rischi connessi all'attività lavorativa. Gli artt. 15, 17, 28 e 29 sono le principali disposizioni che si occupano della valutazione dei rischi, delineandone i profili più caratteristici, tra i quali qui è sufficiente rammentare la riserva in capo al datore di lavoro e la sua onnicomprensività: devono essere valutati tutti i rischi connessi all'attività lavorativa, ivi compresi quelli implicati dallo stesso modo di produzione. Abbandonando l'indifferenza per l'organizzazione del lavoro manifestatasi con la legislazione degli anni Cinquanta del secolo scorso, il legislatore ha imposto al datore di lavoro di definire l'organizzazione per la produzione in modo che essa sia al contempo un'organizzazione per la prevenzione dei rischi ai quali è esposto il lavoratore. Di pari passo, l'attribuzione di responsabilità per il fatto colposo ha progressivamente spostato la propria attenzione dalla mancata adozione di singole misure di prevenzione alla mancata o inidonea 'progettazione' della sicurezza del lavoro. Il deficit organizzativo è divenuto il principale addebito mosso al datore di lavoro. Si pretende da questi la predisposizione di un sistema di gestione della prevenzione, articolato in termini congrui rispetto alle dimensioni e alla complessità dell'organizzazione produttiva, sia quanto alle figure soggettive chiamate a concorrere al funzionamento di tale sistema, sia quanto alle funzioni da assegnare ai diversi ruoli, coerentemente al disegno legislativo che contempla, accanto al datore di lavoro, il dirigente, il preposto, il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e, infine, lo stesso lavoratore (a tacere di altre figure, esterne all'organigramma aziendale), ciascuno titolare di compiti peculiari.
Alla base del disegno organizzativo vi è appunto la valutazione dei rischi, attraverso la quale si identificano quelli presenti nella specifica realtà produttiva e le misure che valgono, in concreto, ad eliminare o, ove non possibile, a ridurre i rischi censiti, con opzione a favore delle misure collettive.
Come insegna la giurisprudenza di questa Corte, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253).
1.4. Ai fini che qui occupano va richiamata l'attenzione sul fatto che il datore di lavoro, anche avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare tutti i fattori di rischio concretamente presenti all'interno dell'azienda "secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica" (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261109-01).
In altri termini, pur essendo colui che ha - o deve avere - la conoscenza dell'intera organizzazione per la produzione perché ne è l'autore ed il dominus, il singolo datore di lavoro rimane un utilizzatore e non un creatore di sapere cautelare. I rischi implicati dalle attività la cui individuazione si deve pretendere dal datore di lavoro sono quelli riconoscibili in forza delle conoscenze poste a disposizione dalla scienza e dalla tecnica o da consolidate conoscenze esperenziali (e non da prassi non collimanti con tale patrimonio di conoscenze: cfr. Sez. 4, Sentenza n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997).
Ciò ha ben definite implicazioni sul piano probatorio, giacchè l'adempimento dell'obbligo di valutazione dei rischi ha quale termine di raffronto i rischi che al tempo erano riconoscibili. Se talvolta il raffronto non è operazione complessa o non è oggetto di contestazione nel processo, quando ciò non sia l'accertamento processuale deve necessariamente estendersi all'acquisizione di prove in merito allo stato della scienza, della tecnica e della esperienza al tempo della valutazione dei rischi (e, in virtù del dovere di aggiornamento, sino al tempo dell'evento), per identificare quali rischi fossero riconoscibili nel caso concreto (e quali misure fossero individuabili come atte a fronteggiarli). In assenza di un simile approfondimento probatorio è particolarmente elevato il rischio che il giudice elabori la regola cautelare traendola dalla dinamica causale in concreto verificatasi. Formandosi, in tal modo, un convincimento viziato perché fondato sul confondimento tra la regola atta ad evitare l'evento, identificabile dal tipico punto di vista causale, ovvero ex post, con quella doverosa, che va individuata ponendosi nella condizione ex ante.

2. Le premesse sin qui tratteggiati vanno ora calate nell'analisi della motivazione impugnata in questa sede.
2.1. Va subito sgombrato il campo da un pericolo di fraintendimento cui dà adito la sentenza in parola. Esso investe il passaggio nel quale la Corte di appello tratta il tema della modificazione del peso e del baricentro del mezzo. Sulla scorta del contributo reso dai consulenti tecnici il Tribunale aveva ritenuto che l'installazione del decespugliatore e l'adozione di galleggianti a poppa avesse determinato un maggior carico davanti e verso prua rispetto al baricentro geometrico; circostanza che in una situazione di ammaraggio attraverso una rampa di pendenza esagerata aveva accentuato l'immersione della prua e l'entrata di acqua e ghiaccio dai boccaporti. Ma il profilo era stato ritenuto irrilevante perché privo di efficienza causale, venendo ascritto l'evento a diverse condotte colpose (p. 10).
A riguardo di tale profilo la Corte di appello ha affermato, in verità con formula di una qualche ambiguità, che non occorreva 'divagare' su profili di colpa ritenuti dal primo giudice 'ingannevolmente rilevanti' o 'non controvertibili', citando per primo il profilo del calcolo del baricentro e subito dopo quello dell'assenza di cinture di sicurezza o di protezioni ai bordi o in corrispondenza della posizione dei passeggeri. Il fatto che solo per questi ultimi la corte distrettuale abbia enunciato esplicitamente che gli imputati avrebbero dovuto farne oggetto di valutazione convince questa Corte della estraneità del primo profilo dall'addebito cristallizzatosi con la decisione di conferma.
2.2. Quanto ai deficit della valutazione dei rischi, il Tribunale aveva rimproverato al C.R. di aver effettuato una valutazione e redatto il relativo documento per i rischi concernenti l'impiego di automezzi e non dei veicoli anfibi, ai quali sono sottesi pericoli del tutto peculiari (p. 18). La Corte di appello ha affermato che nel relativo documento "è pacifico non fosse affatto contemplato il rischio specifico connesso all'utilizzazione e quindi anche all'ammaraggio del veicolo...". Ma appena qualche riga dopo essa scrive che nell'allegato 44 prodotto dalla difesa si dava conto di una - per la corte territoriale - 'mera indicazione informativa all'equipaggio del modificato anfibio' di fattori impeditivi dell'ammaraggio, rappresentati dalla presenza di ghiaccio, sia in acqua sia sulla sponda, e da una pendenza superiore al 30%. Inoltre, subito dopo aggiunge che nel caso di specie si erano presentate entrambe le criticità e che esse furono all'origine dello sbandamento del veicolo.
Pertanto, dalla motivazione risulta che il datore di lavoro aveva individuato i fattori di rischio in questione; il fatto che la Corte di appello sostenga che di essi sia stata fatta 'mera indicazione informativa' va analizzato sul piano delle misure adottate per la gestione di tali fattori ma non può logicamente oscurare la circostanza di una loro considerazione. La trasmissione di informazioni ne presuppone il possesso; nel caso di specie ciò significa che il datore di lavoro aveva individuato i rischi e le relative contromisure. E' quindi manifestamente illogica l'affermazione della Corte di appello di una omessa valutazione del (dei fattori di) rischio specifico. Un vizio motivazionale che in realtà trae origine da un'erronea interpretazione della legge, la quale distingue tra valutazione dei rischi come attività di analisi, di giudizio e di disposizione e la elaborazione del documento che la rende estensibile (come è dimostrato dalla indelegabilità della prima ma non della seconda: Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Rv. 270355). In altri termini, il fatto che il documento non sia stato aggiornato non significa necessariamente che la valutazione non sia stata eseguita.
2.3. Più in generale, l'omessa valutazione dei rischi e l'omesso aggiornamento della stessa assumono rilevanza diretta sul piano penalistico in quanto omissioni autonomamente sanzionate dall'art. 55 del decreto n. 81/2008. Ma con riferimento all'imputazione colposa dell'evento tipico, tali omissioni il più delle volte non hanno autonoma rilevanza ed assumono significato solo quale premessa che spiega la mancata adozione della misura prevenzionistica richiesta dalla specifica attività. Causa dell'evento è la mancata protezione dell'organo in movimento di un macchinario cui venga adibito un lavoratore; è la fornitura di un'attrezzatura di lavoro priva della necessaria doppia pulsantiera; e così seguitando. Non lo è, sul piano giuridico, la omissione della valutazione che avrebbe consentito di individuare le concrete misure da adottare. La prassi propone frequentemente una sorta di metonimia, indicando con l'omissione della valutazione l'omissione della misura doverosa. La condivisione tra le parti processuali delle massime di esperienza implicite in una simile prospettazione rende ragionevole siffatto modo di costruire l'imputazione. Ma resta indiscusso che, salvo casi del tutto peculiari, non è l'omessa valutazione l'antecedente causale al quale guardare ed il giudice non può in nessun caso sottrarsi al dovere di enunciare la specifica misura che, alla stregua della scienza, della tecnica e del sapere esperienziale consolidatosi, sarebbe stata doverosa e che, adottata, avrebbe evitato il verificarsi dell'evento tipico.
Da ciò consegue che il giudizio di una mancata valutazione dei rischi specifici connessi all'attività di prova in acqua del mezzo anfibio è manifestamente illogico anche laddove marginalizza senza alcuna argomentazione l'individuazione di pertinenti misure cautelari operata dal datore di lavoro, della quale pure prende atto; il che concreta anche una errata applicazione dei principi in tema di accertamento causale, perché pone ad un capo della relazione causale quell'omissione piuttosto che le concrete misure doverose.
2.4. Anche il tema delle misure doverose è svolto dalla Corte di appello attraverso passaggi manifestamente illogici o che tradiscono una errata applicazione della disciplina pertinente.
Uno degli addebiti mossi al C.R. è quello di non aver preparato ed addestrato il A.M. al tipo di eventi al cui genere appartiene quello in concreto verificatosi. L'assunto è nutrito del riferimento alla esecuzione di prove solo in vasca e dalla mancata predisposizione di un manuale d'uso e di istruzioni aventi ad oggetto lo specifico mezzo anfibio usato nel collaudo "indicando le procedure da seguirsi per il collaudo del mezzo e ... mutando, ..., le indicazioni relative alla pendenza massima consentita tenuto conto del peso complessivo ..." (p. 19 es.).
Dalla Corte di appello la misura 'formazione e informazione del lavoratore' viene valutata non approntata in modo idoneo rilevando che l'infortunato non era adeguatamente preparato per l'esperimento siccome non qualificato o formato per la conduzione del mezzo in parola; perché le prove alle quali il A.M. aveva partecipato erano state svolte in ambiente artificiale e con pendenza minore.
Orbene, atteso che il A.M. non era presente nel mezzo con mansioni di conducente o di sostituto di questi, è escluso che sia pertinente alla dimostrazione della responsabilità la mancanza di competenza del lavoratore in materia di guida. Vi è un palese salto logico che la motivazione nel suo complesso non risolve.
Ad intendere l'affermazione quale evocazione di una generale impreparazione del lavoratore all'esperimento, ben più pertinente risulta il richiamo della partecipazione a prove in vasca. Il giudizio espresso dalla Corte di appello sulla inadeguatezza di tale formazione è meramente apodittico ed è affidato all'artificialità dell'ambiente di prova e alla minore pendenza sperimentata. La Corte di appello non si avvede che il criterio adottato rende inidonea - nella vicenda in esame - qualsiasi prova, non solo quella in vasca, ché mai potrebbe riproporre le condizioni reali, ma anche quelle in situ, perché non sono mai esattamente riproponibili le medesime condizioni.
Ciò svela il vizio più profondo del ragionamento del giudice territoriale, che è quello di aver assunto a fonte del dovere la vicenda concreta, secondo il già segnalato meccanismo di sostituzione della regola rivelatasi ex post causalmente efficiente in concreto con la regola doverosa ex ante. Basti riflettere sul parametro della pendenza di prova; questa è definita dalla Corte di appello 'minore' ma rapportandola a quella realizzata sul posto; la quale però è stata pacificamente realizzata per errore. In questo modo la Corte di appello mostra di aver rimproverato al datore di lavoro di non aver disposto prove per sperimentare gli effetti di comportamenti esecutivi devianti rispetto alle prescrizioni impartite. Con una selezione di essi fatta sulla vicenda concreta. A volersi condurre lungo questo percorso, la corte territoriale avrebbe dovuto in primo luogo indicare i fondamenti scientifici, tecnici o esperienziali che indicavano come riconoscibile il fattore di rischio 'trasgressione prescrizioni impartite' e poi accertare che non erano state disposte le corrispondenti misure prevenzionistiche.
Non è sufficiente evocare il carattere sperimentale dell'attività e il maggior grado del dovere di diligenza che in simili casi si impone perché se ciò non si traduce nella individuazione di precise regole comportamentali pur sempre preesistenti il giudizio si risolve nell'attribuzione di una responsabilità oggettiva.

2.5. A questo punto è possibile tornare anche al rimprovero incentrato sulla mancata dotazione del mezzo di cinture di sicurezza e di protezioni ai bordi o in corrispondenza della posizione dei passeggeri.
Il Tribunale ha annoverato l'assenza delle cinture di sicurezza tra le cause dell'evento (p. 16); pur dando atto che le stesse non erano richieste per la navigazione, ha ciò non di meno sostenuto che erano obbligatorie perché tali per la circolazione stradale e nel caso in esame tale obbligo vigeva perché al momento dell'incidente il veicolo si trovava a terra. Come si è scritto, la Corte di appello ha fatto proprie tali affermazioni. Le quali manifestano un evidente errore giuridico. Anche a non considerare che l'evento infausto si è verificato nel corso di un'attività che è estranea alla circolazione stradale, trattandosi di ammaraggio, c'è che la prescrizione a dotare un veicolo di cinture di sicurezza è finalizzata ad evitare che il trasportato subisca danni in occasione di un incidente stradale, per l'impatto con oggetti o superfici reso possibile dal mancato vincolo al sedile o per l'espulsione dall'abitacolo. Non certo per evitare che il trasportato esca dall'abitacolo; all'evidenza, la misura ha la funzione di trattenere al posto il corpo del trasportato. Sicché la regola cautelare evocata non ha alcuna attinenza con il rischio che si è concretizzato nell'evento; si proietta su una diversa area di rischio. Ma quell'evocazione è anch'essa dimostrazione di una ricostruzione a posteriori della condotta doverosa, definita sulla matrice della regola causalmente efficiente.
Coglie quindi il segno il relativo rilievo difensivo.
Quanto alla protezione dei bordi dei boccaporti, non è in alcun modo esplicitata la fonte della regola che in tal modo si afferma esistente, con la conseguenza che la pretesa risulta in alcun modo giustificata.
2.6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di C.R., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo giudizio. In applicazione dei principi qui posti, il giudice del rinvio dovrà accertare quali fossero i rischi per i lavoratori - e segnatamente per un lavoratore trasportato sul mezzo anfibio nella posizione e con il ruolo del A.M. - derivanti dalla prova in acqua del veicolo, tenendo presente al riguardo quanto conosciuto al tempo dell'evento in forza della scienza, della tecnica e del sapere esperenziale consolidatosi. I rischi in parola sono anche quelli legati alla fase dell'emergenza, secondo l'esplicita previsione dell'art. 18, comma 1, lettere h) e i) del decreto n. 81/2008. Quindi giudicherà se la valutazione dei rischi eseguita dal datore di lavoro del A.M. fosse coerente con tali conoscenze, prevedesse le misure prevenzionistiche da esse indicate e fosse stata seguita dalla loro corretta adozione. Ove rinvenuta una condotta colposa, dovrà accertare se questa si è posta quale antecedente causale dell'evento, verificando sia la capacità impeditiva del comportamento alternativo lecito sia che sussista un rapporto di identità tra il rischio concretizzatosi nell'evento ed il rischio considerato dalla regola violata.

3. Anche il ricorso del P.S. è fondato. Esso ripropone in larga parte le censure mosse dal C.R.. Ma la posizione del P.S. non è esattamente sovrapponibile a quella del coimputato.
3.1. Per il Tribunale il P.S. aveva omesso di rendere edotto il lavoratore "della condotta da tenersi durante la fase di ammaraggio, prospettando gli eventuali rischi e il modo di evitarli". Il primo giudice ha ritenuto generica la formazione e l'informazione somministrata al A.M., che aveva partecipato a corsi sull'utilizzo di mezzi anfibi in acqua, ma non era stato addestrato all'eventualità che il veicolo potesse inabbissarsi ed imbarcare ingenti quantità di acqua.
La Corte di appello ha sostenuto che non può rappresentare prova di una adeguata formazione e informazione l'aver fornito un 'pieghevole' al A.M.; e non adeguata una formazione che era stata svolta in ambiente 'non ostile' e in forma meramente cartolare.
Orbene, si tratta di affermazioni che sono già state vagliate e valutate nella loro apoditticità e incoerenza ai principi espressi da questa Corte in tema di individuazione delle regole cautelari doverose. Peraltro, a riguardo del P.S. è mancata anche una valutazione degli specifici poteri, finendo per identificarlo in tutto e per tutto con il datore di lavoro, laddove a questi egli era in posizione sottordinata.
Ulteriore addebito mosso al P.S. è quello di non aver usato la necessaria diligenza nella scelta del punto di ammaraggio; affermazione operata da entrambi i giudici di merito senza l'esposizione delle premesse giustificatrici.
La Corte di appello sembra invece - e correttamente - non aver riproposto l'addebito descritto dal Tribunale, consistente nell'aver omesso il P.S. di depositare presso gli uffici della Motorizzazione civile il progetto relativo al natante; omissione che, prescindendo dalla sua attribuibilità al P.S., non soddisfa il criterio della concretizzazione del rischio.
3.2. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata anche nei confronti di P.S., con rinvio alla Corte di appello di Brescia, altra sezione, per nuovo giudizio.

4. Entrambi i ricorrenti hanno proposto motivi che attengono al corredo circostanziale e al trattamento sanzionatorio.

4.1. E' manifestamente infondato il motivo che concerne la motivazione con la quale la Corte distrettuale ha rigettato il motivo di appello che censurava la statuizione del Tribunale attinente all'attenuante del risarcimento del danno. Infatti, la Corte di appello ha fondato il rigetto sulla mancata prova dell'avvenuto versamento della somma, che non risulta documentato dalle quietanze alle quali la difesa ha inteso riferirsi anche in questa sede e che aveva esibito alla Corte di appello. In effetti, in esse si legge che l'efficacia liberatoria dell'accettazione della somma da parte degli aventi diritto si produrrà "dal momento del concreto pagamento". Pertanto, non vi è alcuna manifesta illogicità nella sentenza impugnata, sotto il profilo in esame; e il ricorrente ha mosso un rilievo che non coglie la ratio decidendi.
4.2. I restanti rilievi che concernono la motivazione in punto di attenuante della minima partecipazione e di trattamento sanzionatorio restano assorbiti dall'annullamento della sentenza impugnata.
 

P.Q.M.
 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.4.2022.