Responsabilità del titolare e del magazziniere di una ditta per incendio doloso e per crollo doloso ex art. 434 c.p. dei locali della propria ditta, di parte dell'edificio sovrastante e di sette negozi adiacenti.

L'art. 434 c.p. viene spesso applicato anche nell'ambito della sicurezza sul lavoro.

La Corte di Cassazione annullò con rinvio la sentenza di condanna e la Corte di Appello ritenne sussistente il delitto ex art. 434 c.p.

Nel ricorrere per Cassazione avverso quest'ultima sentenza, gli imputati affermano che  "la Corte del rinvio aveva ritenuto la sussistenza del dolo eventuale, il quale in realtà è incompatibile con il reato di crollo doloso posto che la norma incriminatrice prevede espressamente il compimento di "atti diretti"."

"La sentenza ora impugnata è stata emessa a seguito di annullamento con rinvio da parte della Cassazione la quale con la pronuncia 24.1.06 - dopo avere individuato vari vizi di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di responsabilità degli imputati per gli addebiti sub A e B - ebbe ad affermare specificatamente: che la clausola di cui all'art. 434 c.p. ("fuori dei casi") non si riferiva a tutti i reati di cui al capo 1, ma solo a quelli che prevedono delitti di disastro, per cui essa poteva valere con riguardo all'incendio; che in relazione al reato di crollo previsto dall'art. 434 c.p., i giudici di merito non avevano motivato in ordine al dato soggettivo e che pertanto il giudice di rinvio avrebbe dovuto verificare se detto elemento "quantomeno in termini di dolo eventuale" fosse effettivamente ravvisabile o se invece fosse configurabile solo il dolo di incendio; che qualora si fosse ravvisato il dolo di crollo, essendovi tra gli artt. 423 e 434 c.p. un rapporto di sussidiarietà ovvero di consunzione, doveva trovare applicazione solo la norma che prevede il trattamento sanzionatorio più severo, ossia la disposizione che sanziona il crollo doloso.

Orbene, va puntualizzato che nella riportata decisione la Corte di legittimità, al di là delle ulteriori affermazioni, ha enunciato tre principi di diritto e precisamente: la non operatività della clausola di esclusione o consunzione di cui all'art. 434 c.p. per il delitto di incendio; la necessità di ritenere assorbito l'incendio nel delitto di crollo; infine, implicitamente - nel disporre necessità di individuare l'elemento soggettivo del crollo, quantomeno in forma eventuale - la configurabilità di detto delitto pur in assenza di dolo diretto. I menzionati principi non potevano essere disattesi nè rivisti dal giudice di rinvio e pertanto, sin d'ora, si segnala che saranno considerati preclusi i motivi volti a censurare le impostazioni adottate nel provvedimento impugnato in conformità dei medesimi. "

"La Corte territoriale, nell'affermare la sussistenza del dolo eventuale, si è riportata a concetti di ragionevole prevedibilità i quali possono valere a delineare un atteggiamento colposo, ma non anche a dimostrare la effettiva previsione di determinate conseguenze e l'accettazione del rischio delle stesse, dati caratterizzanti il dolo eventuale e dai quali quindi non è possibile prescindere nell'accertamento di quest'ultimo.

Al proposito si rileva che, mentre ai fini di individuare un comportamento colposo devono valutarsi le conoscenze e le informazioni che il soggetto agente è tenuto a procurarsi, la verifica del dolo eventuale va realizzata considerando la reale situazione di consapevolezza ed esperienza del predetto; nella fattispecie l'affermazione dei giudici di merito in ordine alla prevedibilità che una massa di gas incombusti avrebbe potuto costituire il presupposto per la formazione di miscela tonante, così determinando il crollo, nulla dice sulla avvenuta rappresentazione di tale evento e si palesa operata senza tenere conto della concreta situazione di conoscenze tecniche degli imputati."

Annulla con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello la quale dovrà procedere a nuovo esame circa la sussistenza in capo agli indagati del dolo eventuale per il reato di crollo di cui all'art. 434 c.p.


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLONNESE Andrea - Presidente

Dott. FERRUA Giuliana - Consigliere

Dott. BEVERE Antonio - Consigliere

Dott. SANDRELLI Giangiacomo - Consigliere

Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.N., nato il (OMISSIS);

e O.F., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 13-2-07 dalla Corte di appello di Palermo;

Visti gli atti, la sentenza denunciata, i ricorsi e la memoria della parte civile Assicurazioni Generali s.p.a.;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giuliana Ferrua.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GALASSO Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso del L. e la declaratoria di inammissibilità di quello dell' O..

Uditi, per le parti civili, l'avv. Licia D'Amico e l'avv. Maria Assunta Bonetti, che hanno concluso per la conferma della sentenza impugnata, e avv. Martore Antonio Giuseppe;

Uditi i difensori, avv. Bongiorno Giulia e avv. Coppi Franco Carlo, che hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi.
 
 
 
FattoDiritto
 
Con sentenza 20-6-05 la Corte di appello di Palermo confermava quella 28-3-03 del Tribunale di detta città con la quale L.N., titolare della ditta "L. Giocattoli" e O.F., magazziniere di quest'ultima, erano stati condannati il primo alla pena di 5 anni e mesi 4 di reclusione ed il secondo a quella di 4 anni e mesi 7 di reclusione, oltre al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separata sede) in favore delle parti civili, per i seguenti reati:

il solo L.:

incendio doloso ex artt. 423 e 425 c.p. e art. 61 c.p., n. 7 di una parte dei locali della citata ditta (piano terra e piano ammezzato) e della merce in essi contenuta, con l'aggravante di avere causato alla persona offesa un danno di rilevante quantità (fatto del (OMISSIS), capo A);

entrambi, in concorso tra di loro:

incendio doloso ex artt. 110, 423 e 425 c.p., art. 61 c.p., n. 7 degli interi locali della citata ditta e della merce in essi contenuta nonchè dell'edificio sovrastante abitato da oltre 60 famiglie e degli esercizi commerciali adiacenti, con l'aggravante di avere causato alle persone offese un danno di rilevante quantità (fatto del (OMISSIS), capo B);

crollo doloso ex artt. 110 e 434 c.p., art. 61 c.p., n. 7 dei locali della citata ditta, di parte dell'edificio sovrastante e di sette negozi adiacenti, con l'aggravante di avere causato alle persone offese un danno di rilevante quantità (fatto del (OMISSIS); capo C);

omicidio ex artt. 110 e 586 c.p. per avere cagionato come conseguenza non voluta dei reati sub B e C la morte del vigile urbano B. N., impegnato nelle opere di spegnimento dell'incendio (fatto del (OMISSIS); capo D);

reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., art. 642 c.p., comma 1, art. 61 c.p., n. 7 avere posto in essere le condotte di cui ai capi precedenti per conseguire il risarcimento previsto dalla polizza assicurativa stipulata dal L. con le Assicurazioni Generali s.p.a., con l'aggravante di avere causato alla persona offesa un danno di rilevante quantità (fatti commessi sino al (OMISSIS); capo E);

La Corte di Cassazione, a seguito di ricorso degli imputati, con pronuncia 24-1-06, annullava la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame.

Con decisione 13-2-07 la Corte di appello, in sede di rinvio, dichiara il reato sub B assorbito in quello di crollo di costruzione e riduceva le pene inflitte; confermava nel resto la sentenza di primo grado.

Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati secondo quanto segue.

L.N..

1 - Vizio di motivazione per capi A e B dell'imputazione.

All'uopo è stato dedotta l'illogicità delle conclusioni adottate in quanto: si erano artificiosamente ricostruiti i fatti ed i tempi delle azioni incendiarie, in modo da far coincidere gli inizi degli incendi con l'uscita degli imputati; non era stato valutato il rilievo dei vigili del fuoco circa il carattere accidentale del primo incendio; era stata contraddittoriamente negata la possibilità di una matrice mafiosa dei delitti; si era individuato un movente nella necessità del L. di procurarsi denaro, senza considerare la sproporzione del gesto di distruggere i propri beni rispetto allo scopo.

2 - Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 434 c.p., capo C. Innanzitutto si è denunciato che con la sentenza di annullamento era stata imposta verifica in ordine al dato soggettivo e che la Corte del rinvio aveva ritenuto la sussistenza del dolo eventuale, il quale in realtà è incompatibile con il reato di crollo doloso posto che la norma incriminatrice prevede espressamente il compimento di "atti diretti".

Comunque, è stato rilevato che l'esistenza del dato soggettivo, anche a volerlo ammettere nella forma del dolo eventuale, era stata individuata in termini illogici e contraddittori.

Infine, si è censurata la tesi adottata nel provvedimento impugnato secondo cui la clausola di esclusione contenuta nella prima parte dell'art. 434 c.p. ("fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti) riguarderebbe solo le ipotesi che prevedono il disastro quale elemento ulteriore caratterizzante la condotta e pertanto con troverebbe applicazione in relazione al reato di incendio doloso.

3 - Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 586 c.p., capo D. Con questo motivo l'impugnante ha dedotto: che non si era tenuto conto delle sentenze della Corte costituzionale, impegnate a trovare un momento soggettivo nelle fattispecie costituite secondo schemi responsabilità oggettiva; che la norma suddetta postulava almeno un coefficiente di colpa; che la prevedibilità dell'evento non voluto doveva essere valutata con riferimento alla specificità di ogni situazione; che nel caso in esame si era ragionato in forma astratta, omettendo un effettivo esame sulla prevedibilità. 4 - Vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 642 c.p. in quanto l'intento del L. di conseguire un indennizzo dall'assicurazione era stato ravvisato in modo irragionevole (come detto sub 1, non valutando la sproporzione del gesto attribuito al medesimo rispetto al presunto scopo).

O.F..

1 - Vizio di motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p., comma 2.

Precipuamente si è segnalato: che non era stata svolta alcuna indagine conoscitiva nella direzione prospetta dalla difesa; che il movente era stato apoditticamente ritenuto; che la responsabilità dell'imputato era stata affermata solo in base ad una circostanza a carattere non decisivo (la presenza del medesimo sui luoghi ove ebbe a generarsi l'incendio), senza considerare la vastità dei locali e la possibilità di ulteriori presenze; che il comportamento lavorativo tenuto dal L. sino all'ultimo, prima del fatto, era in palese contrasto con la decisione di distruggere tutto di lì a poco.
 
 
Ragioni:

Prima di procedere all'esame dei motivi di ricorso è opportuno svolgere talune premesse.

La sentenza ora impugnata è stata emessa a seguito di annullamento con rinvio da parte della Cassazione la quale con la pronuncia 24.1.06 - dopo avere individuato vari vizi di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di responsabilità degli imputati per gli addebiti sub A e B - ebbe ad affermare specificatamente: che la clausola di cui all'art. 434 c.p. ("fuori dei casi") non si riferiva a tutti i reati di cui al capo 1, ma solo a quelli che prevedono delitti di disastro, per cui essa poteva valere con riguardo all'incendio; che in relazione al reato di crollo previsto dall'art. 434 c.p., i giudici di merito non avevano motivato in ordine al dato soggettivo e che pertanto il giudice di rinvio avrebbe dovuto verificare se detto elemento "quantomeno in termini di dolo eventuale" fosse effettivamente ravvisabile o se invece fosse configurabile solo il dolo di incendio; che qualora si fosse ravvisato il dolo di crollo, essendovi tra gli artt. 423 e 434 c.p. un rapporto di sussidiarietà ovvero di consunzione, doveva trovare applicazione solo la norma che prevede il trattamento sanzionatorio più severo, ossia la disposizione che sanziona il crollo doloso.

Orbene, va puntualizzato che nella riportata decisione la Corte di legittimità, al di là delle ulteriori affermazioni, ha enunciato tre principi di diritto e precisamente: la non operatività della clausola di esclusione o consunzione di cui all'art. 434 c.p. per il delitto di incendio; la necessità di ritenere assorbito l'incendio nel delitto di crollo; infine, implicitamente - nel disporre necessità di individuare l'elemento soggettivo del crollo, quantomeno in forma eventuale - la configurabilità di detto delitto pur in assenza di dolo diretto. I menzionati principi non potevano essere disattesi nè rivisti dal giudice di rinvio e pertanto, sin d'ora, si segnala che saranno considerati preclusi i motivi volti a censurare le impostazioni adottate nel provvedimento impugnato in conformità dei medesimi.

Invero, il giudice di rinvio ha l'obbligo assoluto ed inderogabile, scaturente dall'art. 627 c.p.p., comma 3, di uniformarsi all'interpretazione data alle questioni di diritto nel giudizio rescindente; d'altro canto un principio giuridico, come tale vincolante, può essere enunciato anche in forma implicita, essendo sufficiente che esso si ricavi, senza possibilità di dubbi, dalle ragioni esplicative della decisione di annullamento; ne consegue che, a fronte di sentenza emessa in sede di rinvio ed applicativa dei principi posti in quella di annullamento, non può dedursi sotto codesto profilo vizio ex art. 606 c.p.p. nè potrebbe determinarsi remissione alle Sezioni Unite (si veda: Cass. 14-10-03 n. 43720 Rv. 226418; Cass. 9-1-09 n. 4546 Rv. 242776). Venendo ai singoli motivi, la Corte osserva.

Infondata è la denuncia del L. in ordine alla ritenuta natura dolosa del primo incendio.

Siffatta natura è stata affermata in sede di merito alla luce degli accertamenti tecnici posti in essere dai consulenti del P.M. nonchè della s.p.a. Le Generali Assicurazioni ed acquisti al dibattimento, essendosi appurato che era stato versato del liquido infiammabile accelerante su due scaffalature metalliche site nella parte retrostante dei locali dell'impresa destinati alla vendita al pubblico ed al contempo essendosi escluso, con opportune analisi di campioni, che il rinvenimento dei menzionati liquidi potesse essere ricondotto a combustione dei materiali plastici: trattasi di risultanze idonee a supportare la conclusione adottata, nè la difesa ha preso in esame i citati accertamenti, limitandosi ad invocare l'iniziale giudizio dei vigili del fuoco, secondo cui l'incendio sarebbe stato accidentale. Del resto, la Corte territoriale ha adeguatamente evidenziato il superamento di tale giudizio per effetto di ulteriori mirate verifiche tecniche: nè può valere la diversa valutazione delle emergenze invocata apoditticamente dal ricorrente.

Puntualizzato che il carattere doloso del secondo incendio non è stato contestato, le doglianze svolte dal L. e dall' O. in ordine all'attribuzione dei fatti (il primo al solo L. ed il secondo ad entrambi) sono a loro volta infondate.
Nel provvedimento impugnato è stato posto in luce: che gli incendi avevano avuto origine interna, il che comportava azione di un soggetto che avesse accesso ai luoghi; che in occasione dei due eventi il L. e l' O. erano usciti per ultimi dai locali, in coincidenza con l'insorgere delle fiamme; che in quell'occasione l' O. aveva avuto a disposizione le relative chiavi, mentre normalmente queste erano sempre in possesso del L. che provvedeva personalmente alle operazioni di apertura e chiusura; che la dislocazione strategica dei focolai (specie con riguardo al secondo incendio) era significativa della conoscenza dell'ambiente; che il L. aveva interesse ad ottenere l'indennizzo dalla società assicuratrice in quanto la situazione dell'impresa era critica, essendo egli altresì tenuto a corrispondere una notevole somma al fratello a titolo di liquidazione della quota di costui (receduto dalla società di fatto tra di loro intercorsa) ed avendo inoltre intenzione di iniziare una nuova attività; che l' O. aveva sempre dimostrato particolare disponibilità nei confronti del datore di lavoro ed aveva da questo ricevuto, in via del tutto informale, un anticipo rilevante (di 10 milioni di lire) sulla liquidazione; che entrambi gli imputati, secondo quanto riferito dai vigili del fuoco avevano manifestato inerzia nel prestare aiuto durante le operazioni di soccorso; che non era individuabile movente alcuno riferibile ad altri soggetti.

A fronte degli indizi ora richiamati - valutati singolarmente e nella loro globalità - la conclusione adottata circa la commissione dei fatti ad opera dei ricorrenti si palesa del tutto plausibile e tanto basta a sottrarla possibilità di sindacato in questa sede. In particolare, non vale l'argomento secondo cui erroneamente sarebbe stato escluso che il primo incendio potesse essersi verificato quando il L. non si trovava più nei locali: esso si fonda sul fatto che l'inizio dell'incendio andava collocato alle h. 13,40 (come affermato dalla stessa Corte di appello), mentre l'imputato era uscito dai locali non oltre le h. 13,25. In realtà il riferimento a tale ora, siccome effettuato da dipendenti che si erano allontanati prima, non può ritenersi certo ed indiscutibile: determinante in realtà è l'ammissione del L. stesso di essere uscito per ultimo dai locali, circostanza da collegarsi agli accertamenti operati circa la impossibilità di successivi interventi di terzi in quanto tutte le vie di accesso erano risultate regolarmente chiuse ed integre, del pari non essendo ipotizzatale che il liquido infiammabile fosse stato versato dall'esterno.

Analoghe considerazioni s'impongono per l'obiezione, sollevata in relazione al secondo incendio, secondo cui al momento della chiusura dei locali altre persone, oltre al L., si trovavano sul luogo:
basti ribadire che quest'ultimo ha ammesso di essere risalito per ultimo dai piani interrati (circostanza confermata da vari testi) ove fu innescato il fuoco e di avere egli stesso chiuso l'esercizio.

La pista mafiosa, contrariamente all'assunto difensivo, è stata esclusa in termini congrui, evidenziandosi: che i generici richiami di due collaboratori a richieste al L. ed a dazioni del medesimo di somme non dovute erano rimasti isolati avendo, invece, numerosi altri collaboranti escluso contatti del genere; che le conoscenze dei collaboranti si riferivano, comunque, a tempi di molto antecedenti ai fatti; che normalmente la malavita agisce in ore notturne e dall'esterno.

In conclusione e per il resto le censure si risolvono nell'assumere, con rilievi di merito ed in una visione atomistica di ogni dato, una lettura del contesto probatorio diversa da quella di cui al provvedimento impugnato, senza individuare in questo errori argomentativi rilevanti in sede di legittimità, talchè il vizio motivazionale si prospetta in effetti dedotto non già per effettive individuate paralogie, ma in conseguenza di tale divergenza.

Il motivo sub 2 del L. - nelle parti in cui si censura la negata applicabilità della clausola di riserva di cui l'art. 343 c.p. con riguardo al delitto di incendio e la ritenuta conciliabilità del dolo eventuale con la struttura del delitto di crollo - è inammissibile alla luce di quanto esposto in premessa.

Fondata è invece la denuncia in ordine all'accertamento relativo al suddetto elemento psicologico e ciò vale anche per la posizione dell' O..

Infatti, la circostanza che quest'ultimo non abbia sul punto svolto specifiche censure (limitandosi a denunciare mancanza di quadro indiziario a suo carico ed assenza di analisi dei ruoli e di effettiva responsabilità) trova giustificazione nel riferimento effettuato dalla sentenza impugnata in maniera indifferenziata ai due imputati: ne deriva che il sindacato a cui ora si addiviene opera per entrambi. La Corte territoriale, nell'affermare la sussistenza del dolo eventuale, si è riportata a concetti di ragionevole prevedibilità i quali possono valere a delineare un atteggiamento colposo, ma non anche a dimostrare la effettiva previsione di determinate conseguenze e l'accettazione del rischio delle stesse, dati caratterizzanti il dolo eventuale e dai quali quindi non è possibile prescindere nell'accertamento di quest'ultimo.

Al proposito si rileva che, mentre ai fini di individuare un comportamento colposo devono valutarsi le conoscenze e le informazioni che il soggetto agente è tenuto a procurarsi, la verifica del dolo eventuale va realizzata considerando la reale situazione di consapevolezza ed esperienza del predetto; nella fattispecie l'affermazione dei giudici di merito in ordine alla prevedibilità che una massa di gas incombusti avrebbe potuto costituire il presupposto per la formazione di miscela tonante, così determinando il crollo, nulla dice sulla avvenuta rappresentazione di tale evento e si palesa operata senza tenere conto della concreta situazione di conoscenze tecniche degli imputati.

In base a quanto esposto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo la quale dovrà procedere a nuovo esame circa la sussistenza in capo agli indagati del dolo eventuale per il reato di crollo di cui all'art. 434 c.p., dando adeguato conto della conclusione cui perverrà e senza incorrere negli errori che sono stati riscontrati;

è evidente che, qualora venga escluso il citato dato soggettivo, l'incendio doloso - per il quale si è ritenuta corretta l'affermazione di responsabilità degli imputati - riacquisterà la sua autonomia anche ai fini sanzionatori. Poichè la ricorrenza del delitto di crollo doloso risulta impregiudicata, ogni altra censura rimane assorbita e potrà essere riproposta dinnanzi al giudice di rinvio. In particolare si segnala che il reato di cui all'art. 586 c.p. è stato contestato e ritenuto in relazione agli artt. 589, 423 e 434 c.p. e cioè che la morte del vigile del fuoco B., verificatasi per essere stato il medesimo investito dalle macerie, stata è addebitata quale conseguenza non voluta, sia del reato di incendio doloso, sia di quello di crollo doloso.

Pertanto, qualora dovesse escludersi il dolo del reato previsto dall'art. 434 c.p.p. il contesto cui riferire la valutazione sulla prevedibilità dell'evento non voluto risulterebbe mutato: infatti è innegabile che una duplice volontaria determinazione a realizzare fattispecie delittuose implica - rispetto a quella che investe una sola di queste - un più pregnante onere in capo al soggetto attivo di rappresentarsi le prevedibili conseguenze del proprio comportamento.

Il reato sub E è prescritto risultando il termine massimo di cui agli artt. 157 e 160 c.p. (secondo il testo originario, anteriore alla riforma introdotta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, applicabile nella fattispecie) ormai decorso al 27-2-07: pertanto, le denuncie di vizio motivazionale in ordine all'affermata responsabilità per il medesimo divengono inammissibili poichè la l'eventualità di nuovi accertamenti trova ostacolo nell'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva (art. 129 c.p.p., comma 1).

Le spese delle parti civili sono rimesse al definitivo.



P.Q.M.

LA CORTE Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo E della rubrica perchè estinto per prescrizione; annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta sussistenza del elemento soggettivo del reato di cui al capo C ( crollo) e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo esame sul punto; nonchè per la connessa questione relativa al ritenuto assorbimento del reato di incendio in quello di crollo; dichiara impregiudicate perchè assorbite le censure relative al reato sub D (art. 586 c.p.);

rigetta nel resto i ricorsi.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2009