Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 09 agosto 2022, n. 30832 - Infortunio mortale durante la manovra di discesa del cestello di un autoelevatore. Responsabilità del capocantiere


 

 

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: VIGNALE LUCIA Data Udienza: 13/07/2022
 

Fatto

 

1. Con sentenza del 20 luglio 2020, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città del 29 marzo 2017 quanto alla affermazione della penale responsabilità di P.G., che è stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione per aver cagionato la morte di R.N., dipendente della medesima società, per colpa consistita in violazione di norme in materia di prevenzione infortuni sul lavoro ed in specie dell'art. 19 comma 1 lettere a) ed f) d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi a Monreale il 3 novembre 2008. Secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito, P.G. aveva funzioni di capocantiere e responsabile della sicurezza per la «CEIT impianti s.r.l.» che aveva ricevuto in appalto da «Enel S.p.A» interventi sulla rete elettrica territoriale di Palermo e, il giorno dei fatti, stava lavorando al potenziamento della linea a bassa tensione cH via M12 (una traversa di Via Linea Ferrata). Non è controverso che l'infortunio si sia verificato alle 15:45 e che, intorno alle 14:30, la linea interessata ai lavori fosse stata «riconsegnata» all'Enel per la riattivazione dell'energia elettrica. Neppure è controversa la dinamica dell'incidente: R.N. - che rivestiva qualifica di capo squadra - stava eseguendo un lavoro a circa quattro metri dal suolo, ove si era portato utilizzando il cestello di un autoelevatore. Durante la manovra di discesa del cestello, a causa della pendenza e della pioggia che aveva reso scivolosa la strada, il veicolo si mise in movimento e prese velocità concludendo la corsa in una scarpata a margine della strada. Di conseguenza, R.N. fu sbalzato fuori dal cestello e morì sul colpo.

3. Contro la sentenza ha proposto tempestivo ricorso il difensore dell'imputato articolandolo in cinque motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173 comma 1 d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
3.1. Col primo motivo, la difesa del ricorrente- lamenta vizio di motivazione essendo stata omessa la valutazione della prova acquisita grazie alle deposizioni testimoniali di R.S. e V.N. dalle quali emerge che, nel momento in cui l'infortunio si verificò, P.G. non era presente in cantiere, ma lo era, invece, alle 14:30, quando la linea elettrica era stata riconsegnata all'Enel e i lavori erano terminati. Sostiene che, quale capocantiere e responsabile della sicurezza, P.G. non potrebbe essere chiamato a rispondere di una attività successiva al termine dei lavori.
3.2. Col secondo motivo, il ricorrente si duole che non sia stata valutata la circostanza che R.N. era «capo squadra». Osserva che, secondo quanto stabilito dal Piano Operativo di Sicurezza, era compito del capo squadra verificare che il personale fosse dotato di dispositivi di protezione individuale e ne facesse uso, sicché era lui a dover compiere le condotte doverose la cui omissione è stata invece- ascritta a P.G..
3.3. Col terzo motivo, il ricorrente lamenta erronea applicazione della legge penale. Osserva che, come la sentenza impugnata riconosce (pag. 11 della motivazione), «R.N. era dotato di tutti i dispositivi di protezione individuale necessari per svolgere le mansioni cui era deputato in totale sicurezza (casco protettivo, cinture di sicurezza e scale)» sicché la condotta a lui ascritta - «avere omesso di segnalare al datore di lavoro e al dirigente le deficienze della attrezzatura utilizzata da R.N. e la mancanza delle cinture di sicurezza nonché le condizioni legate alla forte pendenza della strada ove si stavano effettuando i lavori» (così testualmente il capo di imputazione) - non può avere avuto rilevanza causale nel verificarsi dell'evento. Osserva inoltre che, alle 14: 30, quando la linea elettrica fu consegnata all'Enel e P.G. era presente in loco, l'autoelevatore si trovava fuori dall'area di cantiere sicché la Corte territoriale ha errato nel rimproverare all'imputato di non aver adempiuto ai propri obblighi di vigilanza circa «l'utilizzo della scale in luogo del cestello», utilizzo che, nel momento in cui si verificò l'infortunio, egli non aveva il potere di impedire.
3.4. Col quarto e col quinto motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione alla concreta esigibilità della condotta di controllo e vigilanza, alla rimproverabilità soggettiva dell'agente, all'esistenza di una posizione di garanzia tale da rendere doverosa l'ipotizzata condotta alternativa lecita. Sostiene che, poiché l'infortunio si verificò a lavori ulttmati, P.G. non poteva prevedere l'evento e non poteva neppure concretamente evitarlo. Osserva che la linea era stata consegnata all'Enel, sicché, nel portarsi in quota, R.N. decise, in autonomia, di proseguire i lavori utilizzando il cestello dell'autoelevatore e, così facendo, creò una situazione di pericolo esorbitante dalla sfera di rischio governata dal capocantiere.

 

Diritto



1. I motivi di ricorso sono infondati.

2. Le sentenze di merito non sono del tutto coincidenti quanto all'individuazione dei profili di colpa ritenuti esistenti in capo al ricorrente, e tuttavia possono essere lette congiuntamente, per quanto riguarda la ricostruzione della vicenda, in virtù dei richiami che la sentenza d'appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente i giudici di merito non hanno trascurato la circostanza di fatto che l'infortunio si sia verificato in un momento successivo alla riconsegna della linea elettrica all'Enel. Al contrario, la sentenza di primo grado sottolinea che quel giorno era stata concordata la sospensione dell'energia elettrica dalle ore 9:00 alle ore 15:00 e la riconsegna della linea, che consentiva all'Enel di riattivare la corrente, avvenne poco dopo le 14:20. I giudici di merito osservano però che, non per questo, i lavoratori avevano terminato la propria attività e che R.N. non avrebbe avuto altra ragione di portarsi in quota, in corrispondenza di un palo della luce, se non quella di completare il lavoro. La Corte territoriale, sottolinea che, secondo alcuni testimoni, dopo la riconsegna della linea elettrica, si doveva «sistemare il posto di lavoro», e che, a detta dei figli e del fratello della vittima, R.N. si era portato in quota per «sostituire gli elementi di bloccaggio dell'ultimo palo della luce interessato ai lavori programmati». Il ricorrente obietta che, secondo altri testimoni, H lavoro era finito e i sistemi di bloccaggio (id est: le carrucole) erano già sul camion. È evidente, tuttavia, che tra queste dichiarazioni non vi è alcuna insanabile contraddizione e pertanto non è sostenibile che, nelccaso di specie, vi sia stato un travisamento della prova. Questo vizio, infatti, è configurabile solo quando si introduce nella motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Nel caso in esame, invece, il ricorrente propone una diversa valutazione degli elementi di prova; valutazione che esula dai poteri del giudice di legittimità il quale non può optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando l'attendibilità dei testi e le conclusioni dei periti e consulenti tecnici, ma può solo verificare, negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato della prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa verifica non si risolva in una valutazione della prova (Sez. 4, Sentenza n. 36769 del 09/06/2004, Cricchi, Rv. 229690).
Tanto premesso si deve osservare che, secondo i giudici di merito, l'avvenuta riconsegna della linea, necessaria alla riattivazione dell'energia elettrica da parte dell'Enel, non comportava che i lavori fossero del tutto terminati, essendovi necessità di compiere ulteriori attività, volte alla sistemazione del posto di lavoro, oppure (come si legge nella sentenza di primo grado) necessarie a preparare il terreno per le attività che sarebbero state compiute il giorno dopo, previa nuova sospensione dell'erogazione di energia elettrica. Secondo i giudici di merito, queste attività erano necessarie o, comunque-, non estranee- al lavoro programmato, ma pertinenti ad esso e tali argomentazioni non presentano profili di contraddittorietà o manifesta illogicità. La sentenza impugnata sottolinea che la vittima non avrebbe avuto ragione alcuna di recarsi in quota e raggiungere un palo della luce se non per compiere una attività pertinente a quella della quale era stato incaricato. Dalla sentenza di primo grado risulta poi: che la «CEIT impianti s.r .l. » doveva sostituire cavi elettrici "nudi" con cavi elettrici "inguainati" passando attraverso pali in cemento armato dell'altezza di otto metri; che, a detta dello stesso imputato, i lavori dovevano proseguire il giorno dopo lungo la medesima strada (con elevato grado di pendenza); che, a tal fine, era già stato pubblicato un avviso per una nuova sospensione dell'erogazione dell'energia elettrica nella zona interessata.

3. Avendo valutato - con motivazione congrua e coerente - che l'attività svolta al momento dell'infortunio rientrava tra le mansioni cui i lavoratori erano stati destinati, la Corte territoriale ha sottolineato:
- che i lavori programmati dovevano essere eseguiti in quota;
- che nel tratto di strada luogo del sinistro era presente uno dei pali della luce interessati dal lavoro;
- che quel tratto di strada aveva una pendenza media del 19,88% (accertata in grado di appello, con indagine peritale, su richiesta della difesa);
- che il cestello autoelevatore del quale R.N. si servì per portarsi in quota «non poteva essere utilizzato in quella strada» perché, come risulta dal manuale di uso e manutenzione, poteva operare in condizioni di sicurezza soltanto se la pendenza del suolo non era superiore al 10%;
- che, di conseguenza, (e a maggior ragione perché quel giorno aveva piovuto) per portarsi in quota in condizioni di sicurezza era necessario avvalersi di «scale all'italiana» che erano «indicate come in dotazione all'impresa», ma non furono «rinvenute dai tecnici della prevenzione al momento del sopralluogo» successivo all'incidente e, secondo quanto riferito dai testimoni, non furono «mai utilizzate» quel giorno.
Muovendo da queste premesse, i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto che al capocantiere P.G. dovesse essere attribuito un profilo di colpa ulteriore e parzialmente diverso rispetto a quello contestato nel capo dl imputazione, consistito nel non aver impartito precise direttive alla squadra affinché, per portarsi in quota, non fosse adoperato il cestello e fossero impiegate invece le scale in dotazione. La sentenza del Tribunale e quella della Corte di appello sottolineano che lo stesso P.G. ha dichiarato in giudizio: di essere consapevole che non tutti i lavori possono essere fatti con l'autocestello e ci sono pali che possono essere raggiunti solo con la scala all'italiana; di aver constatato, quando si era recato in cantiere, che tra i mezzi a disposizione dei dipendenti c'era l'autocestello; di non aver ritenuto di dover impartire disposizioni sulla necessità di avvalersi di scale in ragione dell'elevata esperienza di R.N..
Come sottolineato nel ricorso, a differenza del Tribunale, la Corte territoriale ha ritenuto questo profilo di colpa assorbente. Ha sostenuto, infatti, «che R.N. era dotato di tutti i dispositivi di protezione individuale necessari per svolgere le mansioni cui era deputato in totale sicurezza (casco protettivo, cinture di sicurezza e scale)» (pag. 11 della motivazione) e «per sua libera scelta» non utilizzò correttamente le attrezzature (pag. 5 della motivazione). Ha ritenuto, però, che P.G. fosse responsabile dell'infortunio, a prescindere «dalla qualifica di capo squadra rivestita dal R.N. e dalla sua rinomata esperienza sul campo», perché rivestiva le qualifiche di capocantiere e responsabile per la sicurezza e, di conseguenza, aveva l'obbligo giuridico di vigilare sul comportamento del personale addetto ai lavori, verificare l'attuazione delle direttive antinfortunistiche, fornire le istruzioni necessarie per tutelare l'integrità fisica dei lavoratori, accertarsi dell'uso dei dispositivi di protezione individuale; obblighi ai quali si rese inadempiente consentendo così il verificarsi dell'evento.

4. Il ricorrente sostiene che gli obblighi attribuiti al capocantiere dalla sentenza impugnata gravavano in realtà proprio sul caposquadra R.N. e, poiché l'infortunio si verificò in orario successivo alla consegna della linea, rappresentò la concretizzazione. di un rischio non governabile da parte del capocantiere. Dalle sentenze di merito risulta, tuttavia, che P.G. rivestiva la qualità di responsabile della sicurezza e quel giorno si recò nel cantiere verso le 8:30, vi rimase fino alle 10:20 e vi tornò alle 14:20 (pag. 20 della sentenza di primo grado); poté dunque rendersi conto che sul posto era presente l'autocestello, ma non impartì precise direttive alla squadra affinché quel mezzo non fosse utilizzato, né si assicurò che fossero adoperate - e quindi portate in cantiere - le scale, indicate come in dotazione all'impresa, ma non rinvenute dai tecnici della prevenzione sul luogo dell'infortunio.
Da questa constatazione la sentenza impugnata desume: che P.G. era titolare di una posizione di garanzia ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 81/08; che tale posizione di garanzia non era venuta meno sol perché, intorno alle 14:30, la linea elettrica era stata riconsegnata all'Enel consentendole di riprendere l'erogazione di energia; che nel cantiere dovevano essere eseguiti lavori in quota, sicché P.G. avrebbe dovuto impartire istruzioni riguardo all'uso delle attrezzature da lavoro idonee a tal fine, imponendo l'uso delle scale e vietando l'uso dell'autocestello per raggiungere i pali posti in corrispondenza di strade con pendenza superiore al 10% (quale era la strada che fu teatro dell'infortunio); che l'omissione di tale doverosa attività rese possibile il verificarsi dell'evento; che H rischio così concretizzatosi era prevedibile ed evitabile e in concreto l'imputato aveva il potere e il dovere di governarlo.

5. Si tratta di conclusioni non contraddittorie né manifestamente illogiche e conformi ai principi di diritto che regolano la materia della colpa e, specificamente, della responsabilità colposa in materia di infortuni sul lavoro.
Il capocantiere, infatti, ha l'obbligo di vigilare affinché i lavori siano eseguiti nel rispetto delle norme per la prevenzione degH infortuni, e la «rinomata esperienza sul campo» di R.N. non esimeva il ricorrente da tale obbligo di vigilanza. P.G. non poteva fare affidamento sull'esperienza di R.N. perché non aveva impartito istruzioni al caposquadra in ordine alla necessità di portarsi in quota utilizzando le scale e non l'autocestello e perché non si era assicurato che scale idonee allo scopo fossero state effettivamente portate in cantiere. Il principio di affidamento non può essere invocato, infatti, «da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che colui che gli succede nella posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, in quanto la seconda condotta non si configura come fatto eccezionale sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento» (Sez. 4, n. 35827 del 27/06/2013, Zanon, Rv. 258124).
Come noto, peraltro, in tema di reati colposi omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto solo a circostanze che introducano un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare e tale non è certamente quello relativo all'utilizzo non corretto delle attrezzature di lavoro nel caso in cui sia stata omessa la doverosa vigilanza in proposito (sul concetto di rischio nuovo o radicalmente esorbitante cfr. Sez. 4, n. 123 del 11/12/2018, dep. 2019, Nastasi, Rv. 274829; Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019, Palmeri, Rv. 276238; Sez. 4, n. 22691 del 25/02/2020, Romagnolo, Rv. 279513).
Nel caso di specie, il rischio verificatosi rientrava esattamente nella sfera di controllo del capocantiere, diretto superiore gerarchico di R.N. e perciò preposto, ai sensi dell'art. 19 d.lgs. n 81/08, alla vigilanza sulle modalità di organizzazione del lavoro. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non può rilevare in contrario che l'infortunio si sia verificato circa un'ora dopo la riconsegna della linea elettrica all'Enel. Come chiarito dalle sentenze di merito, infatti, l'attività che R.N. stava svolgendo (consistita nel sistemare il posto di lavoro per portare via le carrucole oppure - come parrebbe emergere dalla sentenza di primo grado - per preparare le attività che avrebbero dovuto essere svolte il giorno dopo) non era affatto estranea all'appalto ricevuto dalla CEIT. Non si può ignorare, poi, che i lavori ricevuti in appalto dalla società dovevano svolgersi in quota, sicché il capocantiere aveva l'obbligo di vigilare sulla concreta idoneità delle attrezzature utilizzate a tal fine. A ciò deve aggiungersi che, in caso di mancata adozione delle cautele volte a governare il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai lavoratori, tale imprudente esecuzione non si configura certamente come un rischio «eccentrico» rispetto a quelli che l'adozione delle cautele omesse era destinata a prevenire (sul tema: Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242; Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321).

6. La decisione assunta non è dunque censurabile né sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, né per quanto riguarda le regole cautelari applicabili. Neppure è censurabile, perché coerente con le emergenze istruttorie, l'identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata dalle sentenze di merito nella vigilanza sull'utilizzo delle scale che non furono neppure rinvenute in cantiere dalla polizia giudiziaria intervenuta dopo l'infortunio.
Anche se il tema non costituisce oggetto di ricorso è opportuno ricordare che, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (fra le tante: Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, P.C. in proc. Di Landa, Rv. 273265; Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Miniscalco, Rv. 257902). Un principio che è indubbiamente applicabile nel caso di specie, atteso che l'imputato ha avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione al profilo di addebito in concreto ritenuto sussistente (cfr.: Sez. 4, n. 27389 del 08/03/2018, Siani, Rv. 273588; Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Galdino De Lima, Rv. 274500; Sez. 4, n. 36778 del 03/12/2020, Celli, Rv. 280084).

7. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 luglio 2022