- Datore di Lavoro
- Malattia Professionale
Responsabilità di un consigliere di amministrazione delegato alla sicurezza e datore di lavoro con poteri decisionali e di spesa per aver cagionato al lavoratore N. M. una malattia professionale.
Ricorre in Cassazione - Inammissibile.
"Il ricorrente si limita a riproporre in termini del tutto generici, ai fini dell'invocata prescrizione, la questione della decorrenza dell'insorgenza della malattia accusata dal N., senza confrontarsi con le argomentazioni poste dal giudice del gravame che, richiamando la sentenza di primo grado e le massime giurisprudenziali colà riportate, ha ribadito che il perpetuarsi dell'esposizione del lavoratore alle vibrazioni del martello pneumatico, in assenza di presidi di protezione, aveva necessariamente contribuito ad aggravare la malattia ed a spostare in avanti la data di consumazione del delitto contestato, individuata in via definitiva solo in data (OMISSIS), dopo la visita specialistica del medico dell'INAIL che ha certificato, oltre che l'insorgenza, l'entità della malattia professionale."
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
1) D.R.A., N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 52/2006 CORTE APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO, del 16/04/2007;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. Matteri che ha concluso per l'accoglimento.
-1- D.R.A. - imputato ex artt. 113 e 590 cpv. c.p. per avere, per colpa, nella qualità di consigliere di amministrazione delegato alla sicurezza e di datore di lavoro con poteri decisionali e di spesa, cagionato al lavoratore N. M. la malattia professionale della "angiopatia da strumenti vibranti", accertata in (OMISSIS) - ricorre, per il tramite del difensore, avverso la sentenza della Corte d'Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, del 16 aprile 2007, che ha confermato la decisione del tribunale della stessa città, del 21 aprile 2005, che lo ha ritenuto colpevole del delitto contestatogli e lo ha condannato alla pena di 900,00 Euro di multa ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio.
Deduce il ricorrente il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione agli artt. 157 e 590 c.p., con riguardo alla mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il cui decorso iniziale sarebbe stato erroneamente calcolato dai giudici del merito che hanno a tal fine preso in considerazione la data dell'accertamento medico invece che quella dell'insorgenza della malattia professionale.
-2- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
In realtà, il ricorrente si limita a riproporre in termini del tutto generici, ai fini dell'invocata prescrizione, la questione della decorrenza dell'insorgenza della malattia accusata dal N., senza confrontarsi con le argomentazioni poste dal giudice del gravame che, richiamando la sentenza di primo grado e le massime giurisprudenziali colà riportate, ha ribadito che il perpetuarsi dell'esposizione del lavoratore alle vibrazioni del martello pneumatico, in assenza di presidi di protezione, aveva necessariamente contribuito ad aggravare la malattia ed a spostare in avanti la data di consumazione del delitto contestato, individuata in via definitiva solo in data (OMISSIS), dopo la visita specialistica del medico dell'INAIL che ha certificato, oltre che l'insorgenza, l'entità della malattia professionale. Nulla rilevando, peraltro, la circostanza che la malattia professionale sia stata valutata, come si sostiene nel ricorso, nella percentuale del 4%, non essendo evidentemente collegata a tale percentuale la individuazione della data in cui il quadro clinico del lavoratore si è definitivamente chiarito.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00.
Tale declaratoria non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato, pur maturata dopo la sentenza di secondo grado.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2010