Cassazione Penale, Sez. 4, 05 settembre 2022, n. 32434 - Ribaltamento mortale della macchina agricola: la mancanza di formazione e informazione del lavoratore da parte del datore di lavoro rende privo di rilievo il comportamento imprudente del lavoratore


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 08/06/2022
 

Fatto
 



1. Con sentenza dell'11.1.2021, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado - resa in sede di rito abbreviato - con la quale V.R., quale datore di lavoro, è stato dichiarato responsabile del reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione della disciplina prevenzionistica, del lavoratore D.F..
L'addebito nei confronti dell'imputato è quello di aver colposamente cagionato la morte del D.F., operaio dipendente della azienda agricola dell'imputato, a seguito del sinistro avvenuto il 9.1.2018 con le seguenti modalità: l'operaio, alla guida di una macchina agricola, nell'effettuare uno spostamento operativo in zona con pendenza longitudinale in salita superiore al massimo sopportabile dal macchinario, senza indossare la cintura di sicurezza e con la testata non raccolta, nel ripercorrere all'indietro il tratto in pendenza e ruotato il mezzo dalla traiettoria trasversale alla linea di massima pendenza (superiore al 30%) - manovra vietata dal manuale d'uso e manutenzione del macchinario ne provocava il ribaltamento, subendo lesioni mortali (schiacciamento di cranio, rachide e torace, successivo shock traumatico).
La Corte territoriale, conformemente al primo giudice, ha individuato la causa dell'infortunio nella mancanza di formazione ed informazione del lavoratore, il quale non aveva mai seguito corsi sui rischi per la salute e la sicurezza connessi all'attività dell'impresa, confermando il giudizio di responsabilità dell'imputato quale datore di lavoro del soggetto deceduto.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.) quanto segue.
I) Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla erronea applicazione dell'articolo 589 cod. pen., atteso che i giudici di merito non hanno considerato che la manovra effettuata dalla vittima non era stata compiuta per l'assolvimento di un compito lavorativo determinato, ma autonomamente, al fine di abbreviare il tempo di rientro in azienda; il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo è stato interrotto da una causa sopravvenuta sufficiente da sola a determinare l'evento, ravvisabile nella condotta esorbitante del lavoratore.
II) Vizio di motivazione, in relazione alla violazione di legge ex art. 24 Cast. e art. 6 Cedu, atteso che il pubblico ministero, in fase di discussione, dopo che la difesa aveva incardinato la scelta di definire il processo con rito abbreviato, aveva apportato una modifica significativa nel capo di imputazione, riqualificando l'ipotesi dell'articolo 113 cod. pen. in quella dell'articolo 41 cod. pen. e il giudice di primo grado aveva introdotto il principio del concorso di cause ex articolo 41 cod. pen.
III) Vizio di motivazione, in relazione alla dosimetria della pena con riferimento all'applicazione dell'articolo 62-bis cod. pen. e all'erronea applicazione dell'articolo 133 cod. pen.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

Diritto




1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, ha formulato questioni già puntualmente esaminate e disattese dalla Corte di appello, con motivazione del tutto coerente e adeguata, rispetto alla quale, in buona sostanza, il mezzo di impugnazione odierno omette di confrontarsi, incorrendo in tal modo anche nel vizio di aspecificità.

3. La sentenza impugnata, in maniera congrua e logica, ha condiviso le conclusioni del Tribunale sulla causa dell'infortunio, attribuita ad un evidente deficit di formazione ed informazione del D.F., essendo stato appurato che questi, così come gli altri operai dell'azienda agricola del V.R., non aveva mai seguito corsi sui rischi per la salute e la sicurezza connessi all'attività dell'impresa.
È stato, infatti, accertato che il tragico incidente era stato determinato dall'accentuata pendenza del terreno bagnato e dalla condotta del lavoratore, il quale aveva eseguito una manovra pericolosa e vietata dallo stesso manuale d'uso del mezzo, a dimostrazione del deficit formativo della vittima in riferimento alle caratteristiche e potenzialità del macchinario da lui condotto.
Sotto questo profilo, la Corte territoriale ha adeguatamente sottolineato gli obblighi riconducibili al datore di lavoro, in merito alla necessaria valutazione dei rischi e all'esigenza di assicurare la sicurezza dei lavoratori, con particolare riferimento alla constatata mancanza di adeguata formazione e informazione del lavoratore nella conduzione del mezzo che ne ha determinato il decesso.
In questa prospettiva, i giudici calabresi hanno legittimamente ritenuto privo di rilievo il comportamento imprudente del lavoratore, sulla scorta del costante insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore (Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Rv. 278603 - 01; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, Rv. 274042 - 01; Sez. 4, n. 39765 del 19/05/2015, Rv. 265178 - 01).
4. Per quanto attiene al secondo motivo di ricorso, è appena il caso di rilevare che dalla mera lettura degli atti si evince che nel caso in disamina non vi è stata alcuna modifica significativa del capo di imputazione.
L'addebito nei confronti dell'imputato è sempre stato incentrato su profili colposi riconducibili alla violazione delle norme sulla disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, anche con specifico riferimento al riconosciuto deficit di formazione e informazione del lavoratore vittima del reato, causalmente riconducibile all'evento mortale.
Il riferimento normativo all'art. 113 cod. pen., contenuto nell'originaria contestazione, non muta i termini della questione, sulla base del noto principio per cui, una volta ritenuta dal giudice di primo grado la sussistenza di un comportamento commissivo colposo, la qualificazione in appello della condotta come colposamente omissiva non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (Sez. 4, n. 36778 del 03/12/2020, Rv. 280084 - 01). Del resto, è pacifico che non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020 - dep. 2021, Rv. 280950 - 01).

5. Anche il terzo motivo sul trattamento sanzionatorio è inammissibile, trattandosi di un profilo di merito adeguatamente valutato dai giudici territoriali, i quali hanno motivatamente dato conto delle ragioni di gravità del fatto, essenzialmente valorizzando la mancanza totale di qualsivoglia forma di formazione sul posto di lavoro, carenza significativa su cui è stato logicamente ancorato il giudizio di bilanciamento per equivalenza delle attenuanti generiche con la contestata aggravante.

6. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 8 giugno 2022