Categoria: Cassazione penale
Visite: 10937
 
Responsabilità del dirigente di una srl incaricata di ristrutturare un complesso edilizio per infortunio di un suo dipendente che lavorava come assistente di cantiere; egli stava camminando sul solaio delle cantine (si stava infatti procedendo, a mezzo di uno escavatore, alla demolizione dei solai delle cantine, al fine di metterli in sicurezza posto che gli stessi il giorno precedente, nel corso di lavori di demolizione, erano crollati a seguito del passaggio del medesimo escavatore) quando all'improvviso si era aperta una voragine nel pavimento ed il C. era precipitato nella cantina interrata, venendo immediatamente seppellito dal crollo del restante solaio e rimanendone schiacciato, in tal modo perdendo la vita.
 
Venne imputato il R. quale direttore tecnico d'impresa nonchè responsabile del servizio di prevenzione e protezione per "aver omesso di controllare che fossero state eseguite le verifiche delle condizioni di conservazione e di stabilità della varie strutture da demolire e da restaurare, D.P.R. n. 165 (ndr. 164) del 1956, ex art. 71, nonchè di aver consentito che all'interno del cantiere fossero eseguiti lavori di demolizione in assenza del piano di cui all'art. 72 dello stesso D.P.R. e di non aver segnalato al datore di lavoro, ed ai dirigenti, che i lavori di demolizione delle strutture del (OMISSIS) e del (OMISSIS) venivano eseguiti in mancanza di progettazione e che la loro esecuzione avveniva senza la sorveglianza di una persona competente".
 
Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile.
 
Quanto alla tesi difensiva secondo la quale al C. sarebbe stata affidata la responsabilità del cantiere con delega per qualsiasi incombente, la decisione impugnata ha risposto a tale assunto difensivo evincendo dagli elementi dimostrativi quelli specificamente afferenti l'effettivo ruolo del C.: costui era, sì, un lavoratore esperto, ma era stato assunto solo due mesi prima dell'infortunio, e con la qualifica di assistente di cantiere, tanto da essere ancora in prova, e non era stata prodotta alcuna delega scritta in materia di sicurezza.
La Corte a tal proposito riprende un consolidato orientamento:

"in tema di infortuni sul lavoro, in ipotesi di delega di funzioni spettanti al datore di lavoro, è necessario verificare in concreto che il delegato abbia effettivi poteri di decisione e di spesa in ordine alla messa in sicurezza dell'ambiente di lavoro: e ciò anche indipendentemente dal contenuto formale della nomina".
 
Inoltre afferma che:
 
"Nel settore delle costruzioni, a norma dell'art. 1 del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, la responsabilità per l'osservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ricade su chiunque esercita attività in cui vengono addetti lavoratori dipendenti, preposti alla esecuzione di lavori di costruzione, modificazione, riparazione e demolizione di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura"; "le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni vanno applicate a tutte le fasi lavorative connesse alla realizzazione dell'opera progettata, comprese, quindi, anche quelle comportanti attività che ne costituiscono il necessario presupposto, quale l'accertamento della consistenza di una costruzione da demolire, fattispecie di infortunio occorso nel corso delle operazioni preparatorie per la demolizione di un antico stabile, del quale cedettero alcune "marmette" sul solaio sul quale si trovava l'infortunato".
 
"Per quel che riguarda il nesso di causalità, non v'è dubbio che proprio le carenze accertate, nonchè la mancanza di qualsiasi adeguato piano di demolizione e l'omessa predisposione di opportune cautele e misure di protezione - tenuto conto dell'entità della demolizione (basti pensare che si era reso necessario l'intervento di un escavatore) - sono state correttamente individuate quali cause del mortale infortunio".

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. MARZANO Francesco - Consigliere

Dott. BRUSCO Carlo G. - Consigliere

Dott. LICARI Carlo - Consigliere

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) R.E. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3696/2006 CORTE APPELLO di MILANO, del 19/11/2008;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gialanella Antonio che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

udito il difensore avv. Gagnola Fabio in sostituzione dell'avv. Bana Giuseppe che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
 
Fatto
 
Il (OMISSIS), nel cantiere aperto dalla C. s.r.l. per i lavori di ristrutturazione del complesso edilizio di via (OMISSIS), si stava procedendo, a mezzo di uno escavatore, alla demolizione dei solai delle cantine, al fine di metterli in sicurezza posto che gli stessi il giorno precedente, nel corso di lavori di demolizione, erano crollati a seguito del passaggio del medesimo escavatore; a tal fine, l'escavatorista aveva già effettuato parte della demolizione del solaio adiacente all'edificio n. (OMISSIS), ed il lavoratore C.M., dipendente della C., il quale lavorava come assistente di cantiere seguendo detti lavori di ristrutturazione, stava camminando sul solaio delle restanti cantine passando di fianco alle macerie con una canna dell'acqua per bagnare le rovine ed evitare il formarsi di polvere;
all'improvviso si era aperta una voragine nel pavimento ed il C. era precipitato nella cantina interrata, venendo immediatamente seppellito dal crollo del restante solaio e rimanendone schiacciato, in tal modo perdendo la vita.

Veniva quindi chiamato a rispondere del reato di omicidio colposo - commesso per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonchè inosservanza della normativa antinfortunistica - R. E. quale dirigente della C., direttore tecnico di impresa e responsabile del servizio di prevenzione e protezione; a titolo di colpa specifica, al R. veniva contestato di aver omesso di controllare che fossero state eseguite le verifiche delle condizioni di conservazione e di stabilità della varie strutture da demolire e da restaurare, D.P.R. n. 165 (ndr. 164) del 1956, ex art. 71, nonchè di aver consentito che all'interno del cantiere fossero eseguiti lavori di demolizione in assenza del piano di cui all'art. 72 dello stesso D.P.R. e di non aver segnalato al datore di lavoro, ed ai dirigenti, che i lavori di demolizione delle strutture del (OMISSIS) e del (OMISSIS) venivano eseguiti in mancanza di progettazione e che la loro esecuzione avveniva senza la sorveglianza di una persona competente.

All'esito dei giudizio il Tribunale di Milano dichiarava colpevole il R., condannandolo alla pena ritenuta di giustizia previo riconoscimento delle attenuanti generiche valutate equivalenti alla contestata aggravante.

A seguito di gravame ritualmente proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Milano confermava l'affermazione di colpevolezza del R. e, dando atto che già il primo giudice aveva riconosciuto in motivazione al R. anche l'attenuante del risarcimento del danno (omettendo poi di richiamare in dispositivo la concessione anche di detta attenuante), valutava tale specifica attenuante e le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante, rideterminando conseguentemente la pena in mesi 4 di reclusione, sostituita, ex art. 53 della legge 681/81, con la corrispondente pena pecuniaria di Euro 7.200,00.

Il giudice di seconda istanza, in risposta alle deduzioni difensive - essenzialmente basate sull'asserita esistenza di una delega rilasciata al C. quanto alla responsabilità per la sicurezza nel cantiere, sul comportamento del C. stesso da considerarsi abnorme e sulla prospettata insussistenza delle violazioni di legge addebitate al R. e, comunque, sulla mancanza del nesso causale tra le violazioni stesse e l'evento - motivava il proprio convincimento, circa la ritenuta colpevolezza dell'imputato, con argomentazioni che possono così riassumersi:
a) a metà giugno 2001 si era presentata la necessità di rimuovere alcune macerie dal cantiere; per cui il C. aveva fatto puntellare le volte delle cantine adiacenti alla zona interessata dalla rimozione delle macerie ed aveva chiesto un escavatore per caricare le macerie;
b) l'escavatore della ditta Ultrascavi, condotto da un dipendente di quest'ultima, era giunto sul posto il (OMISSIS), ma durante il percorso in cantiere era sprofondato per il cedimento di una volta in mattoni; il mezzo era stato poi recuperato con particolari e difficoltose manovre andate a buon fine anche grazie ad ulteriori e parziali demolizioni effettuate manualmente;
c) il giorno seguente si era deciso di completare l'opera di demolizione delle volte delle cantine, ed il C., mentre camminava sopra la volta della cantina n. (OMISSIS) (instabile perchè non più vincolata alle volte vicine), con l'intento di bagnare con una pompa dell'acqua le macerie, si era portato sulla residua porzione di quella della cantina n. (OMISSIS), che era crollata facendolo precipitare, e mentre poi cercava di allontanarsi dal mucchio delle macerie era stato travolto dall'ulteriore crollo della volta sopra la cantina n. (OMISSIS);
d) era ravvisabile un collegamento tra gli eventi del (OMISSIS) e quelli del giorno successivo: il ricorso all'escavatore era riconducibile ad una contingenza non prevista, venutasi a creare verso la metà di giugno;
e) era stato necessario l'intervento di una ditta specializzata (la Ultrascavi) ingaggiata direttamente dalla C.:
circostanza che già di per sè rivelava la insussistenza di qualsiasi autonomia decisionale per il C.: in quella fase lavorativa non erano previste demolizioni, e tuttavia demolizioni vi erano già state come era agevole desumere dalle fotografie in atti e dal diario dello stesso C.;
f) il cantiere, assai disordinato, era pieno di cumuli di macerie e la C., oltre all'escavatore, aveva fornito anche i puntelli per eseguire le opere di puntellatura: di tal che il responsabile della C. era quindi certamente a conoscenza di attività che non erano state preventivate, tanto più che lo sprofondamento dell'escavatore, evento certo non previsto, era stato comunicato al datore di lavoro, costituendo un problema ulteriore e diverso rispetto al normale andamento dell'attività di cantiere, anche per gli evidenti risvolti economici riconducibili alla necessità di recuperare l'escavatore con il minor danno possibile: tanto è vero che sul posto si erano immediatamente recati lo stesso titolare dell'Ultrascavi ed il nipote del R. (che era il referente milanese della C.);
g) gli eventi così descritti avrebbero dovuto costituire un "campanello di allarme" per quello che stava accadendo;
h) l'affermazione dell'appellante, peraltro apodittica, secondo cui tutte le decisioni scaturite dall'evolversi degli eventi sarebbero state di competenza del C., risultava smentita dal coinvolgimento dei vertici della C. reso evidente dalla fornitura dell'escavatore e dei puntelli e dalla presenza sul posto anche del nipote del R.;
i) l'appellante aveva particolarmente sottolineato un'asserita autonomia decisionale del C., da ritenersi invece del tutto insussistente posto che: il C. era stato assunto solo nel mese di aprile con la qualifica di assistente di cantiere ed era ancora in prova; non era stata esibita alcuna delega scritta; vi era invece in atti una lettera sottoscritta dal C., per ricevuta, e dal datore di lavoro (indicato Corner s.r.l.). contenente l'imposizione ai lavoratori di attenersi rigorosamente alle principali norme di sicurezza e l'invito a segnalare al capocantiere o preposto alla sorveglianza del cantiere, nonchè alla stessa direzione, qualsiasi manchevolezza o inadempienza o insufficienza dei mezzi di protezione;
l) era emersa la mancanza di un soggetto in grado di gestire l'attività del cantiere in piena autonomia, atteso che la responsabilità del cantiere era stata sostanzialmente lasciata ad un soggetto neanche definitivamente assunto e l'andamento del cantiere risultava affidato all'improvvisazione ed alle contingenze del momento: donde la specifica responsabilità, di carattere omissivo, del R. ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4;
m) nella condotta tenuta dal C. in occasione dell'infortunio del quale lo stesso era rimasto vittima, erano ravvisabili certamente connotazioni di imprudenza, ma non di abnormità tale da porsi in esclusivo nesso eziologico con l'evento, anche alla luce della rigorosa giurisprudenza di legittimità in materia; il C. era evidentemente convinto che la copertura sulla quale si muoveva potesse reggere il suo peso: nè il direttore dei lavori, nè il coordinatore per la sicurezza, nè il direttore tecnico della C. avevano preso atto della mutata situazione, in conseguenza delle opere di demolizione originariamente non previste, di cui, come detto, erano peraltro certamente a conoscenza;
n) sussistevano le violazioni di legge addebitate al R., essendo fuori discussione che nel cantiere fossero in corso opere di demolizione;
o) quanto al nesso di causalità, tra la condotta omissiva del R. e l'evento, l'infortunio sarebbe stato evitato se solo fosse stato richiesto, a seguito di quanto verificatosi il giorno precedente, l'intervento del coordinatore e del progettista, intervenuti poi soltanto dopo l'infortunio mortale ed il sequestro del cantiere;
p) la stessa Relazione riepilogativa della U.O.P. della ASL di Milano del 28 novembre 2001 (non evocata nella sentenza di primo grado) aveva evidenziato proprio gli omessi accertamenti delle condizioni di stabilità delle strutture come cause primarie dell'infortunio, riferendo nel contempo gli specifici obblighi che incombevano sui soggetti a vario titolo responsabili.

Ricorre per cassazione il R., deducendo violazione di legge e vizio motivazionale con censure che, formulate con riferimento alle tesi difensive già prospettate nelle sedi di merito, possono così riassumersi:
a) la Corte territoriale avrebbe confuso la condotta asseritamente abnorme del C. con un comportamento semplicemente imprudente;
b) i giudici di seconda istanza avrebbero altresì errato nell'attribuire al R. una posizione di garanzia;
c) le violazioni addebitate all'imputato a titolo di colpa specifica non avrebbero avuto alcun ruolo nell'eziologia dell'infortunio;
d) sarebbero ravvisabili violazioni di legge e vizi motivazionali nella sentenza impugnata, con riferimento al nesso di causalità, posto che, ad avviso del ricorrente, anche l'eventuale predisposizione di un piano di demolizione e l'eventuale apprestamento di puntelli non avrebbero impedito che la soletta in corso di abbattimento crollasse sotto il peso del C..


Diritto
 
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
 
Avuto riguardo alla reiterazione delle prospettazioni difensive, già sottoposte al vaglio del giudice di appello, va innanzi tutto posta in rilievo la genericità del ricorso (pur articolato con diffuse argomentazioni), alla luce del condivisibile principio di diritto, enunciato, e più volte ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (in termini, Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000 Ud. - dep. 03/05/2000 - Rv. 216473; CONF: Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708).

Ulteriore profilo di inammissibilità è ravvisabile poi nella manifesta infondatezza delle censure dedotte che concernono apprezzamenti di merito e valutazioni probatorie che non possono formare oggetto del sindacato in questa sede: la Corte d'Appello ha reso adeguata e logica motivazione, analizzando tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio, condotta del lavoratore, nesso causale) e spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dell'imputato.

Giova sottolineare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità, nelle sue varie e concrete espressioni - contraddittorietà, illogicità, etc. - deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 3, N. 4115/96, RV. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, dopo aver già in passato precisato che "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (N. 6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944), hanno poi avuto modo di puntualizzare ulteriormente che:

"l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento" (Sez. Un., ric. Spina, 24/11/1999, RV. 214793).

Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte relativa allo "svolgimento del processo") e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo.
Con le dedotte doglianze il ricorrente, per contrastare la solidità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non ha fatto altro che riproporre in questa sede - attraverso considerazioni e deduzioni svolte prevalentemente in chiave di puro merito - tutta la materia del giudizio, adeguatamente trattata, in relazione ad ogni singola tematica, dal Tribunale prima e dalla Corte d'Appello poi.

Con riferimento ai temi riproposti anche in questa sede dal ricorrente è solo il caso di aggiungere, "ad abundantiam", qualche ulteriore considerazione.

Quanto alla tesi difensiva secondo la quale al C. sarebbe stata affidata la responsabilità del cantiere con delega per qualsiasi incombente, la decisione impugnata ha risposto (a fol. 11) a tale assunto difensivo evincendo dagli elementi dimostrativi quelli specificamente afferenti l'effettivo ruolo del C.: costui era, sì, un lavoratore esperto, ma era stato assunto solo due mesi prima dell'infortunio, e con la qualifica di assistente di cantiere, tanto da essere ancora in prova, e non era stata prodotta alcuna delega scritta in materia di sicurezza conferita al C.; la Corte d'Appello non ha mancato di evocare, anzi, la presenza in atti di una lettera rivolta dalla C. S.r.l., datore di lavoro, al C. nel contesto della quale questi veniva sollecitato ad attenersi alle norme di sicurezza, con invito a non intraprendere proprie iniziative rischiose ma a concordare ogni autorizzazione con il responsabile preposto del cantiere, ed a rappresentare al capo cantiere, al preposto alla sorveglianza del cantiere medesimo, alla direzione dell'azienda, qualsivoglia problema afferente l'insufficienza di mezzi di protezione a tutela del lavoratore.
Nè rileva il richiamo del ricorrente al dato dell'anzianità o dell'esperienza del C..
Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, "in tema di infortuni sul lavoro, in ipotesi di delega di funzioni spettanti al datore di lavoro, è necessario verificare in concreto che il delegato abbia effettivi poteri di decisione e di spesa in ordine alla messa in sicurezza dell'ambiente di lavoro: e ciò anche indipendentemente dal contenuto formale della nomina" (cosi, "ex plurimis", Sez. 4, n. 40939 del 05/12/2002 - UD. 16/10/2002 - RV. 223296, Gracagnolo); orbene, non è dato comprendere da quali atti del processo sarebbero desumibili simili poteri di fatto del C., ovvero in quale prova omessa o travisata avrebbero potuto trovare riscontro: sicchè, il ricorrente ha sollecitato questa Corte a riformulare una valutazione di merito assolutamente estranea al giudizio di legittimità.

Anche per quel che riguarda le doglianze relative ai profili di colpa specifica ci si trova di fronte a prospettazioni, in evidente difetto di correlazione con i contenuti della decisione impugnata, che si risolvono in mere critiche discorsive alla stessa.

Il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro", è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori - e dalla conseguente necessità di adottare certe misure di sicurezza - alla predisposizione di queste misure (con obbligo, quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, di mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore), e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. E per quel che riguarda specificamente la violazione delle disposizioni del D.P.R. n. 164 del 1956 - contestate all'imputato - concernenti le cautele che devono essere adottate in relazione all'attività di demolizione, giova richiamare i consolidati principi enunciati in materia da questa Corte: "Nel settore delle costruzioni, a norma dell'art. 1 del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, la responsabilità per l'osservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ricade su chiunque esercita attività in cui vengono addetti lavoratori dipendenti, preposti alla esecuzione di lavori di costruzione, modificazione, riparazione e demolizione di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura" (Sez. 4, n. 3590 del 13/02/1990 Ud. - dep. 14/03/1990 - Rv. 183692); "le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni vanno applicate a tutte le fasi lavorative connesse alla realizzazione dell'opera progettata, comprese, quindi, anche quelle comportanti attività che ne costituiscono il necessario presupposto, quale l'accertamento della consistenza di una costruzione da demolire, fattispecie di infortunio occorso nel corso delle operazioni preparatorie per la demolizione di un antico stabile, del quale cedettero alcune "marmette" sul solaio sul quale si trovava l'infortunato (Sez. 4, n. 17247 del 28/06/1989 Ud. (dep. 12/12/1989) Rv. 182804.

Per quel che riguarda il nesso di causalità, non v'è dubbio che proprio le carenze accertate, nonchè la mancanza di qualsiasi adeguato piano di demolizione e l'omessa predisposione di opportune cautele e misure di protezione - tenuto conto dell'entità della demolizione (basti pensare che si era reso necessario l'intervento di un escavatore) - sono state correttamente individuate quali cause del mortale infortunio "de quo": la Corte distrettuale ha espressamente richiamato la Relazione riepilogativa della U.O.P. della ASL di Milano del 28 novembre 2001 che aveva specificamente individuato gli omessi accertamenti delle condizioni di stabilità delle strutture quali cause primarie dell'infortunio, indicando nel contempo gli specifici obblighi che incombevano sui soggetti a vario titolo responsabili.

Quanto alla condotta del lavoratore, è sufficiente ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme (Sez. 4, Sentenza n. 40164 del 03/06/2004 Ud. (dep. 13/10/2004) Rv. 229564, imp. Giustiniani); orbene, nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento del C., giacchè deve definirsi imprudente il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilitàper il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 4, Sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Ud. (dep. 04/07/2007 ) Rv. 236991 ; la Corte distrettuale ha, con congruità, motivato nel senso che la condotta tenuta dal C. in occasione del sinistro non era affatto eccentrica nè disfunzionale rispetto alla normale attività lavorativa.
Se è vero, infine, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e altro).

In presenza di gravame inammissibile per causa originaria di inammissibilità (trattandosi di doglianze prive del requisito della specificità e peraltro concernenti apprezzamenti di merito) non è consentito a questa Corte esaminare (di ufficio, non essendovi stata deduzione alcuna in proposito da parte del ricorrente) la questione concernente la prescrizione del reato, alla luce dei principi enunciati in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. Un. 22/11/2000, De Luca, e 27/6/2001, Cavalera).

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00 (mille).


P.Q.M.
 
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2010