Cassazione Penale, Sez. 4, 13 settembre 2022, n. 33551 - Infortunio dell'autista durante il trasporto e successivo scarico di pali elettrici ottagonali ENEL. Responsabilità del datore di lavoro


 

 

Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: D'ANDREA ALESSANDRO
Data Udienza: 26/05/2022
 

 

Fatto




1. Con sentenza del 12 maggio 2021 la Corte di appello di Catania ha confermato la pronuncia del Tribunale di Ragusa del 1° febbraio 2017 con cui P.L. era stata condannata, in esito a giudizio abbreviato, per il delitto di cui al capo A) della rubrica, alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita C.A., con previsione di una provvisionale, al contempo dichiarando di non doversi procedere per il reato ex art. 71, comma 3, come sanzionato dall'art. 87, comma 4, lett. b) d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ascrittole al capo B), in quanto estinto per prescrizione.
1.1. La P.L. è stata, in particolare, condannata in quanto ritenuta responsabile del delitto contestatole ai sensi dell'art. 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen. perché, in qualità di amministratore unico e rappresentante legale della Roccella Trasporti s.r.l., esercente attività di autotrasporto per conto terzi, nonché datore di lavoro dell'autista C.A., nell'ambito dell'esercizio di lavori consistiti nel trasporto e successivo scarico di pali elettrici ottagonali ENEL presso la sede della ICAM s.r.l., sita in Ragusa, ed in particolare nel corso del conseguente riordino delle piantane sul cassone dell'autocarro, di proprietà della Roccella Trasporti s.r.l., utilizzato per il trasporto dei suddetti tralicci, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nell'inosservanza di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionava al suddetto dipendente lesioni personali consistite in "Politrauma. Frattura esposta gomito destro con lesioni vascolari e nervose, frattura femore destro, f.l.c. alla coscia destra, frattura e lussazione caviglia sinistra, lussazione dell'acromion claveare a destra, pneumotorace a destra con fratture costali", che comportavano alla persona offesa un periodo di malattia e, comunque, di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni, durato oltre 40 giorni, con conseguente mutilazione che ha reso un arto inservibile.
1.2. Per i giudici di secondo grado la colpa specifica imputabile alla P.L. è stata individuata nella violazione della normativa antinfortunistica, ed, in particolare dell'art. 71, comma 3, come sanzionato dall'art. 87, comma 4, lett. b) d.lgs. n. 81 del 2008, per avere omesso di adottare adeguate misure tecniche ed organizzative finalizzate a ridurre al minimo i rischi connessi all'utilizzo delle attrezzature da lavoro impiegate dal proprio dipendente, nonché impedire che esse potessero essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni inadeguate, in tal modo non impedendo che, terminati i lavori di scarico dei suddetti pali elettrici ottagonali, del peso medio di due tonnellate ciascuno, il C.A., impegnato ad eseguire le operazioni di riordino e assestamento sul cassone dell'autocarro delle piantane a forma di grande "U" con base larga, del peso di circa Kg. 300, utilizzate per il contenimento dei pali in cemento durante il loro trasporto, venisse attinto da una di tali piantane, ribaltandosi, all'emisoma destro, così da cagionargli le lesioni personali in precedenza descritte.
Con diffusa motivazione, la Corte di appello ha, sotto vari profili, ravvisato nella condotta imputabile alla P.L. la responsabilità di: non avere adempiuto ai previsti obblighi di protezione, prevenzione, informazione e formazione del lavoratore; non avere previsto nel D.V.R. nessuna disciplina delle operazioni di carico e scarico delle merci; non avere, comunque, garantito l'osservanza del D.V.R.; non avere sottoposto il C.A. a preventiva visita medica di idoneità fisica, avendolo tra l'altro assunto di fatto un mese prima dell'evento, e poi in modo formale solo nel giorno di verificazione dell'incidente.
La Corte territoriale ha, poi, chiarito come non potessero essere di esonero rispetto alla ritenuta responsabilità dell'imputata eventuali inadempienze perpetrate dai responsabili della ICAM s.r.l., né la condotta effettivamente posta in essere dal C.A., da non potersi considerare come abnorme o imprevedibile.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata, deducendo, con un unico motivo, erronea identificazione del fatto e del reo.
Lamenta la ricorrente che il C.A. avrebbe reso due differenti ricostruzioni dell'evento, palesando tra esse un'evidente discrasia, non adeguatamente vagliata da parte dei giudici di secondo grado, ed invece da ritenersi assolutamente rilevante, atteso che le differenti versioni muterebbero l'individuazione della responsabilità dell'accaduto. In un caso, infatti, l'evento sarebbe imputabile ad una condotta negligente ed imprudente posta in essere dal lavoratore, con conseguente responsabilità della prevenuta in termini di mancata formazione del dipendente, mentre nell'altro caso la responsabilità graverebbe interamente sui legali rappresentanti della ICAM s.r.l., dovendosi ascrivere l'incidente ad un'inadeguata manovra realizzata dal gruista.
Sarebbe, infatti, errata, nonché priva di conforto giuridico, l'affermazione resa dalla Corte di merito per cui l'evento sarebbe, comunque, da imputarsi ad una condotta colposa della P.L., considerato che gli obblighi ascritti al trasportatore sono ben distinti da quelli gravanti sulla ditta presso cui le cui cose vengono consegnate, necessitando, presso tale ultima, che vi sia la presenza di un responsabile di cantiere che provveda a redigere un progetto di scarico delle merci, nonché a scegliere personale qualificato e mezzi idonei, conseguentemente assumendo ogni responsabilità per le lesioni arrecate a terzi durante l'espletamento delle operazioni di scarico.
La versione più credibile di ricostruzione dei fatti sarebbe, d'altronde, quella più chiara e dettagliata resa dal C.A. in occasione della sua seconda audizione, e non quella da lui previamente espressa, erroneamente ritenuta più attendibile da parte dei giudici di secondo grado.

 

Diritto
 



l. Il ricorso non è fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato.

2. Il Collegio rileva, in primo luogo, come, pur essendo decorso il termine prescrizionale massimo, non possa essere dichiarato l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione, attesa l'intervenuta rinuncia ad essa ritualmente effettuata da parte dell'imputata nel corso della celebrazione del giudizio di secondo grado.

3. Passando, quindi, al merito del proposto ricorso, deve essere osservato come le censure dedotte dalla P.L. - invero reiterative delle stesse doglianze eccepite nel giudizio di appello, rispetto al quale, pertanto, la ricorrente non appare essersi adeguatamente confrontata - nella sostanza riguardino la ricostruzione del fatto e la valutazione delle prove assunte, e cioè questioni non passibili di valutazione in questa sede, atteso che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).
Esula, quindi, dai poteri di questa Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944-01).

Sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601- 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01). E', conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.

4. Ebbene, nel caso di specie può senz'altro ritenersi che la Corte territoriale, dando adeguato riscontro alle doglianze dedotte da parte dell'imputata, abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, oltre che della modalità maggiormente plausibile in cui la vicenda è da ritenersi si sia svolta.
Nella sentenza impugnata, infatti, la Corte di appello ha diffusamente rappresentato, con argomentazioni logiche e congrue, le ragioni della ritenuta integrazione della condotta criminosa da parte delle P.L., indicando i diversi comportamenti colposi a lei imputabili determinativi delle lesioni personali riportate dal dipendente C.A..
4.1. Rispetto all'indicata conclusione non assume rilievo alcuno l'effettuazione di un accertamento, invece invocato da parte della ricorrente, finalizzato a stabilire quale delle due discordanti versioni dei fatti rese dalla persona offesa debba ritenersi realmente accaduta.
A dire della P.L., infatti, i due racconti muterebbero la responsabilità dell'accaduto, potendole essere imputata un'eventuale responsabilità solo nell'ipotesi riferita con la prima dichiarazione del 16 luglio 2011, nella quale il C.A. aveva rappresentato di aver posto in essere una condotta negligente ed imprudente nella fase di riordino delle piantane posizionate sul cassone dell'autocarro, ma non già nel secondo caso, narrato - per la ricorrente in maniera più attendibile - il 25 luglio 2011, in cui la responsabilità dell'accaduto sarebbe, invece, integralmente ascritta ai legali rappresentanti della ICAM s.r.l., essendo stato causato l'evento lesivo da un'inadeguata manovra perpetrata da un loro dipendente, svolgente le mansioni di gruista.
In realtà, per come diffusamente esplicato dalla Corte territoriale con motivazione logica e congrua, nonché esente da vizio alcuno, la puntuale determinazione dei fatti non esonererebbe, comunque, da responsabilità la P.L., in qualità di legale rappresentante della Roccella Trasporti s.r.l., tenuto conto dei peculiari profili di colpa generica e specifica nei suoi confronti riscontrati, «in relazione alle specifiche e plurime violazioni della normativa antinfortunistica avente contenuto precauzionale in relazione agli specifici rischi verificatisi che la normativa mirava a prevenire e che se osservate avrebbero certamente evitato la verificazione dell'infortunio de quo».
Le due versioni narrate dal C.A., pertanto, sono state assolutamente considerate dalla Corte di appello - che ha, in ogni modo, espresso un giudizio di maggiore credibilità rispetto a quella riferita per prima dalla vittima, in quanto coerente con le risultanze della consulenza medico legale e con le dichiarazioni rese dai testimoni escussi - ma le ha, per lo più, vagliate al solo fine di evidenziarne la relativa irrilevanza, stante l'assorbente considerazione per cui, come detto, esse non potrebbero, comunque, mutare i profili di colpa gravanti sull'imputata, responsabile dell'intervenuta e reiterata violazione della norma dell'art. 71, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008.
4.2. Per come diffusamente esplicato dalla Corte di merito nel corso della sua lunga e dettagliata disamina, infatti, la ricorrente ha violato, con diverse condotte a lei imputabili, la suddetta normativa antinfortunistica.
In particolare, nella ricoperta sua qualità di datore di lavoro del C.A., la P.L. ha omesso di fornire al proprio dipendente adeguata e sufficiente formazione ed informazione in ordine alle mansioni da lui espletate, e a quelle da svolgere presso il cantiere della ICAM s.r.l., luogo di consegna dei pali elettrici ottagonali ENEL da costui trasportati. Ciò ha, conseguentemente, determinato il riconoscimento della sua responsabilità penale, sul presupposto che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore (così, tra le altre, Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603-01).
L'imputata, poi, ha con la sua condotta violato i generali doveri di protezione dell'integrità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro, imposti dalla fondamentale norma dell'art. 2087 cod. civ.
Non ha previsto, ancora, nel documento di valutazione dei rischi nessuna disciplina relativa alle operazioni di carico e scarico delle merci, valutando in modo chiaro il rischio connesso all'effettuazione di tali procedure, né ha, d'altro canto, vigilato sull'effettivo rispetto del D.V.R. da parte del suo dipendente.
Alla stregua di quanto debitamente chiarito nella sentenza impugnata, inoltre, risulta giudizialmente comprovato che il C.A. non era stato sottoposto a visita medica preventiva per l'acquisizione del giudizio di idoneità specifica alla mansione di autista, essendo stato, peraltro, assunto in modo formale solo il giorno di verificazione dell'incidente.
4.3. Parimenti non fondata è, poi, la deduzione espressa dalla P.L. in ricorso per cui, essendo stata posta in essere l'attività causativa dell'incidente al C.A. presso i locali dell'azienda della ICAM s.r.l., la responsabilità per la sicurezza sui luoghi di lavoro sarebbe stata a carico dei soli legali rappresentanti di tale ultima ditta, e non già dell'imputata, con esonero, quindi, di ogni sua responsabilità in ordine alla verificazione dell'evento delittuoso.
Il principio che regola la sicurezza sui luoghi di lavoro in caso di contemporanea presenza di più imprese nel medesimo cantiere è, infatti, quello per cui tutti i soggetti aventi una posizione di garanzia presso esse sono tenuti a cooperare tra loro al fine di garantire l'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi incidenti sull'attività lavorativa perpetrata, anche garantendo l'espletamento di una reciproca informazione finalizzata ad evitare i rischi interferenziali, derivanti dallo svolgimento di attività diverse da parte di differenti ditte nella stessa area di lavoro (cfr., in questi termini, tra le altre: Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018, dep. 2019, Perano, Rv. 275077-01; Sez. 4, n. 43852 del 19/07/2018, Bartolini, Rv. 274266-01; Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Verity James, Rv. 273257-01; Sez. 4, n. 30557 del 07/06/2016, Carfì, Rv. 267687-01).
La P.L., pertanto, aveva dei propri e ben specifici obblighi e prescrizioni su di lei gravanti, del tutto differenti e distinti da quelli imposti ai legali responsabili dell'altra ditta.
Tralasciando eventuali inadempienze poste in essere da questi ultimi - all'evidenza escluse dal presente thema decidendum - la P.L., nella sua qualità di datore di lavoro del C.A. e in virtù della posizione di garanzia conseguentemente rivestita, aveva degli specifici doveri di protezione e di prevenzione del suo dipendente certamente non venuti meno per il fatto che quest'ultimo avesse dovuto adempiere all'affidato compito di trasporto e scarico di pali ottagonali in cemento dell'ENEL presso i locali dell'altra ditta.
Appare giuridicamente corretta, allora, nonché espressiva di una valutazione coerente e logica, la conclusione con cui la Corte di appello ha ritenuto di poter configurare la penale responsabilità dell'imputata per violazione «del disposto di cui all'art. 71, comma 3, come sanzionato dall'art. 87, comma 4, lett. b), d.lgs. 81/2008, per avere omesso di adottare adeguate misure tecniche ed organizzative, meglio specificate nell'allegato VI del d.lgs. 81/2008, punti 1.1. e 1.2., al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro impiegate dal proprio dipendente, nonché di impedire che dette attrezzature potessero essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non risultassero adatte».
4.4. Neppure fondata, infine, è la doglianza con cui la P.L. ha ritenuto di riferire la verificazione dell'evento ad una condotta negligente ed imprudente posta in essere dal lavoratore, idonea ad interrompere il nesso di causalità, e quindi tale da elidere la riferibilità dell'evento alla condotta colposa dell'imputata.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, reiteratamente osservato che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendosi definire tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (così, tra le tante, Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv. 229564-01). Orbene, alla stregua di quanto adeguatamente valutato dai giudici di secondo grado, con motivazione del tutto logica e congrua - come tale non sindacabile da questa Corte di legittimità -, la condotta del lavoratore non poteva essere qualificata, nel caso di specie, come abnorme, «tenuto conto che la condotta posta in essere dal C.A. rientrava sempre nelle mansioni dal medesimo esercitate e nell'ambito del lavoro nello specifico attribuitogli, atteso che il lavoratore, al momento dell'incidente, stava svolgendo proprio le mansioni cui era addetto».

5. Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio di legittimità dalla costituita parte civile C.A., da liquidarsi in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile C.A., liquidate in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 26 maggio 2022