Tribunale di Cosenza, Sez. Lav., 05 ottobre 2022, n.  1477 - Natura professionale della malattia del tecnico di laboratorio


 




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI COSENZA

Sezione Lavoro

Il Giudice del Lavoro, Dott. Alessandro Vaccarella, all’udienza del 5 ottobre 2022 ha pronunciato la seguente
SENTENZA




nella causa iscritta al n. 3420/2020 R.G.

TRA

S.L., con Avv. Giovanni Carlo Tenuta

E

ricorrente


INAIL, in persona del legale rappresentante pro tempore, con Avv. Ilario Antonio Sorace
resistente

 

 

FattoDiritto



Con ricorso del 15.9.2020 ritualmente notificato la parte ricorrente, premesso di aver prestato attività lavorativa dall’1.6.1978 al 6.5.1979 presso l’Ospedale Beato Angelo di Acri e dal 7.5.1979 al 30.8.2010 presso l’Ospedale Mariano Santo di Cosenza con la qualifica di operatore professionale - tecnico di laboratorio, esponeva di aver svolto le funzioni di coordinatore svolgendo le mansioni di coordinatore di unità del personale di laboratorio oltre a quelle di tecnico di laboratorio.
Deduceva che il 27.2.2004 era stato sottoposto ad intervento chirurgico a seguito di “infarto acuto del miocardio non Q” occorso mentre si trovava nella propria abitazione e che per tale evento aveva proposto ricorso al Tribunale di Cosenza iscritto al n. 118/2012 R.G. inteso ad ottenere il riconoscimento della causa di servizio.
Rappresentava che nelle more di detto giudizio, il 2.3.2012, nel mentre svolgeva le mansioni alle quali era addetto, a seguito di forti precordialgie era stato trasportato al pronto soccorso ove era diagnosticato “IMA” e sottoposto ad intervento chirurgico di angioplastica.
Assumeva che soltanto nel mese di maggio 2017, dopo il deposito della consulenza tecnica espletata nel giudizio iscritto al n. 118/2012 R.G., aveva appreso della patogenesi lavorativa della malattia diagnosticata il 2.3.2012 nonché della origine extralavorativa dell’infarto occorso nel 2004.
In punto di fatto evidenziava che l’attività lavorativa era stata spesso svolta senza l’uso di mascherine e guanti, che negli ambienti di lavoro mancavano le cappe aspiranti ovvero erano mal funzionanti, che l’attività di coordinamento lo aveva sottoposto a forte stress e lamentava che l’Azienda ospedaliera datoriale aveva omesso di far eseguire la sua formazione professionale e di sottoporlo alle visite mediche periodiche.
Sosteneva che l’insorgenza del secondo infarto era stata determinata dalle condizioni ambientali nocive, disagiate e stressanti nelle quali era stata svolta l’attività lavorativa e che la domanda presentata all’INAIL intesa ad ottenere la costituzione della rendita non era stata definita in sede amministrativa non avendo l’Istituto concluso il procedimento nel termine di 60 giorni previsto.
Agiva, quindi, in questa sede chiedendo “[..] in via principale e nel merito, accogliere il ricorso e, quindi, accertare che le patologie “infarto acuto del miocardio non Q” e, comunque, tutte le malattie descritte nella domanda amministrativa e nella narrativa che precede e di cui trattasi, compresa quella insorta o diagnosticata nell’anno 2012, denominata “cardiopatia ischemica con Ima non Q in pregresso infarto del miocardio in attuale buon compenso” ossia “cardiopatia ischemica post-necrotica ipertensione arteriosa dislipidemia” - “Sindrome ansioso depressiva” - “Gozzo multi nodulare tossico”, sono tabellate e sono di natura professionale, ovvero sono patologie derivanti dalle mansioni svolte, ovvero accertare che, tutte le malattie descritte in narrativa, sono da ricollegare, anche a livello di concausa, alle mansioni, al lavoro svolto ed all’ambiente lavorativo; c) dichiarare, per l’effetto, il diritto del sig. Luigi S.L. ad ottenere l’indennizzo, ovvero la rendita INAIL nella misura legalmente prevista e commisurata al grado del 30% per invalidità lavorativa e per danno biologico, o in quell’altra maggiore o minore percentuale che sarà determinata in corso di causa; d) condannare, inoltre, l’INAIL, a liquidare ed a corrispondere, in favore del ricorrente, la relativa rendita, ovvero il relativo indennizzo, come per legge, nella misura del 30% o in quell’altra maggiore o minore misura che sarà ritenuta di giustizia o accertata in corso di causa [..]”. Si costituiva in giudizio l’INAIL eccependo l’improponibilità della domanda giudiziale, nonché l’intervenuta prescrizione del diritto e, nel merito, contestando lo svolgimento delle attività lavorative indicate in ricorso e sostenendo, in ogni caso, l’insussistenza della causa violenta, concludendo per l’inammissibilità/improponibilità della domanda ovvero per il rigetto.
Istruita a mezzo prova testimoniale e CTU medico legale, la causa veniva decisa all’odierna udienza come da dispositivo in calce.
Deve, preliminarmente, essere accolta l’eccezione di improponibilità della domanda sollevata dall’Istituto.
L’INAIL solleva l’eccezione sotto un duplice profilo.
Eccepisce, anzitutto, che “[..] in sede amministrativa è stata denunciata – come pretesa malattia professionale – quella che in realtà era una malattia/infortunio (la cardiopatia ischemica post infartuale) [..]” (cfr. pag. 1 della memoria) e, in secondo luogo, che “[..] In sede amministrativa non sono state comunque denunciate altre affezioni menzionate a pag. 22 del ricorso avversario, quali “ipertensione arteriosa”, “dislipidemia”, sindrome ansioso depressiva” e “gozzo multinodulare tossico” [..]” (cfr. pag. 2 della memoria).
Ebbene, con la domanda proposta in sede amministrativa (cfr. all. 15 A fasc. ricorrente) la parte mira ad ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia “infarto acuto del miocardio non Q” ma, come correttamente eccepisce l’Istituto, l’infarto è tutelabile solo come infortunio sul lavoro e sempre che sia offerta la prova che l’evento sia stato causato (o concausato) da uno sforzo ovvero dalla necessità di vincere una resistenza inconsueta o un accadimento verificatosi nell’ambito del lavoro e che abbia richiesto un impegno eccedente la normale adattabilità e tollerabilità, ovvero da particolari condizioni ambientali o di temperatura (cfr. Cass. n. 19682/2003; Cass. n. 27831/2009) e, per giurisprudenza pacifica (cfr. Cass. n. 3618/1985), una domanda giudiziale intesa al riconoscimento di una malattia da infortunio, in cui quindi l'attività lavorativa sia stata l'elemento causale violento che l'abbia determinata, non può tramutarsi in una intesa all'accertamento di una malattia di origine professionale, occasionata pertanto con azione continua dalla prolungata attività lavorativa, né viceversa.
La domanda giudiziale volta al riconoscimento della natura professionale della malattia “infarto acuto del miocardio non Q” è quindi improponibile.
Lo stesso è a dirsi per la “ipertensione arteriosa”, “dislipidemia”, sindrome ansioso depressiva” e “gozzo multinodulare tossico”, malattie non denunciate in sede amministrativa.
Ciò detto, deve essere disattesa l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Istituto.
Al riguardo bisogna osservare che il termine di prescrizione per conseguire le prestazioni per inabilità permanente derivanti da malattia professionale decorre dal momento di manifestazione della malattia stessa.
Più precisamente, nel caso di malattia che non ha provocato astensione dal lavoro (cioè che si è manifestata dopo l’abbandono della lavorazione che l’ha causata) detto termine decorre dalla data di arrivo all’INAIL del certificato medico o della denuncia del datore di lavoro, mentre nel caso di malattia che ha provocato astensione dal lavoro la decorrenza deve essere fatta risalire al primo giorno di completa astensione, inteso come effettivo abbandono dell’attività a causa della malattia.
In tale seconda ipotesi il lavoratore che voglia posticipare il decorso del termine iniziale di prescrizione ha l’onere di dimostrare che la manifestazione della malattia si é verificata in epoca successiva all’abbandono del posto di lavoro (Cass. 5 dicembre 2001, n. 15351).
Nella diversa ipotesi di malattia per la quale il grado di indennizzabilità sia stato raggiunto successivamente alla denuncia, ovvero dopo l’astensione dal lavoro, la decorrenza della prescrizione deve essere ricondotta alla data del consolidamento dei postumi indennizzabili.
La giurisprudenza di legittimità costantemente afferma che il termine di prescrizione dell'azione diretta a conseguire la rendita da inabilità permanente per malattia professionale decorre dal momento in cui uno o più fatti concorrenti forniscano certezza dell'esistenza dello stato morboso o della sua conoscibilità da parte dell'assicurato, in relazione anche alla sua eziologia professionale e al raggiungimento della misura minima indennizzabile (così, da ultimo, Cass. Sez. Lav. 28 giugno 2011, n. 14281) precisando che laddove l’assicurato si sia sottoposto ad esami diagnostici per l’accertamento delle patologie professionali, si presume che lo stesso sia venuto a conoscenza del manifestarsi della malattia contestualmente o nei giorni immediatamente successivi agli esami, gravando sul medesimo l’onere di provare di non averne, invece, avuto tempestiva conoscenza (Cass. 21 marzo 2002, n. 4069; Cass. 28 luglio 2004, n. 14276).
L’azione per conseguire le prestazioni si prescrive nel termine di tre anni dalla data della manifestazione della malattia professionale, e la prescrizione rimane sospesa durante la liquidazione amministrativa delle prestazioni i cui termini massimi non possono superare i 150 giorni.
Ebbene, nel caso di specie non vi è in atti documentazione medica dalla quale inferire che parte ricorrente abbia avuto la conoscibilità della malattia “cardiopatia ischemica con IMA non Q in pregresso infarto del miocardio in attuale buon compenso” e della eziologia professionale in epoca antecedente alla consulenza tecnica depositata in seno al giudizio iscritto al n. 118/2012 R.G. (maggio 2017), sicchè la domanda amministrativa del 18.190.2019 è stata presentata entro il termine prescrizionale triennale.
Tanto precisato, all’esito della espletata prova orale, le allegazioni attoree relative alle mansioni dedotte in ricorso ed alle relative modalità di svolgimento - nonché quelle attinenti alle condizioni e all’ambiente di lavoro (ivi comprese quelle inerenti l’uso di reagenti e le condizioni di stress lavorativo) - hanno trovato conferma nelle deposizioni rese dai testi B., S.M. e C..
Esperita consulenza medico legale il CTU (Dott. Passarelli F. vedi elaborato depositato il 17.6.2022) ha accertato che parte ricorrente è affetta da “CARDIOPATIA ISCHEMICA IN ESITI DI IMA CON PREGRESSI IMPIANTI DI PCI+STENT MEDICATO, IPOCINESIA DELLA PARETE LATERALE BASALE E MEDIA, INIZIALE FIBRO-SCLEROSI MITRO-AORTICA CON INSUFFICIENZA VALVOLARE LIEVE […]” affermando che “[…] Riguardo il nesso di causalità tra l’attività lavorativa esercitata e l’infermità oggettivata, il CTU, considerando con la massima possibile obiettività la genesi della menomazione cardiaca per cui è CTU, può affermare che il tipo di attività lavorativa, caratterizzata da costante stress professionale, in presenza di una infermità quali gli esiti della cardiopatia che colpì il Periziando nel 2004, infermità quest’ultima considerata come preesistenza extralavorativa, può essere messo in correlazione causale con il secondo ed ultimo infarto che ha colpito il Sig. S.L. nel 2012. Più approfonditamente si evidenzia che gli esiti oggi rilevati sono il risultato di una concorrenza tra la prima e la seconda infermità cardiaca. L’incidente cardiovascolare del 2012 può essere stato causato, con il criterio di concausalità efficiente e determinante, dal prolungato e specifico stress lavorativo derivato da una responsabile e continua attività organizzativa per servizi professionali sanitari ospedalieri di pubblica utilità. A questi, si aggiungeva contestualmente l’attività di tecnico di laboratorio in settori quali la microbiologia, la virologia e la sieroimmunologia, attività comportante l’uso numerosi reagenti chimici [..]”.
L’ausiliare ha, quindi, concluso che detta infermità incide sull’integrità psico- fisica del soggetto nella misura del 7%, confermando tale valutazione anche in esito alle osservazioni critiche formulate dalle parti.
Sulla scorta delle conclusioni cui è pervenuto il CTU - condivise dal giudicante in quanto la relazione è esauriente ed immune da vizi logici e quindi può essere posta alla base della decisione – la domanda di parte ricorrente deve essere accolta con il riconoscimento dell’indennizzo in conto capitale nella misura del 7%, oltre interessi con decorrenza dalla data della domanda.
Le spese di lite devono essere compensate in misura del 50% in ragione del parziale accoglimento del ricorso e, per la parte residua, poste a carico dell’INAIL liquidate come da dispositivo.
Le spese di consulenza tecnica, devono essere poste definitivamente a carico dell’INAIL soccombente.
 

P.Q.M.


accoglie il ricorso e dichiara la natura professionale della patologia (“CARDIOPATIA ISCHEMICA IN ESITI DI IMA CON PREGRESSI IMPIANTI DI PCI+STENT MEDICATO, IPOCINESIA DELLA PARETE LATERALE BASALE E MEDIA, INIZIALE FIBRO-SCLEROSI MITRO-AORTICA CON INSUFFICIENZA VALVOLARE LIEVE) contratta da parte ricorrente; condanna, per l’effetto, l’INAIL corrispondere a parte ricorrente l’indennizzo in conto capitale nella misura corrispondente al 7% oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda; condanna l’INAIL al pagamento delle spese di lite che, compensate in misura del 50%, liquida in complessive € 1.000,00 oltre IVA, CPA e rimborso forfettario come per legge, da distrarsi, maggiorate di € 43,00 a titolo di contributo unificato; pone a carico dell’INAIL spese di consulenza medica alla cui liquidazione provvede con separato decreto.
Così deciso in Cosenza, 5 ottobre 2022
Il Giudice del Lavoro Dott. Alessandro VACCARELLA