Cassazione Civile, Sez. 6, 10 ottobre 2022, n. 29451 - Rendita ai superstiti: mancanza di correlazione fra attività lavorativa svolta, quadro clinico per il quale vi era la rendita e decesso


 

 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: FEDELE ILEANA
Data pubblicazione: 10/10/2022
 

Rilevato che:
1. la Corte d’appello di Palermo ha rigettato il gravame proposto da E.LP. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Agrigento, che aveva respinto la sua domanda di accertamento del diritto alla rendita ai superstiti prevista dall’art. 85 del d.P.R. n. 1124 del 1965, in dipendenza del decesso del proprio coniuge, S.I., titolare di rendita per malattia professionale (broncopatia cronica ostruttiva enfisematosa ed insufficienza respiratoria cronica riacutizzata);
2. per quanto qui rileva, la Corte territoriale, dopo aver rinnovato la CTU, ha rigettato la domanda in conformità alle risultanze della relazione peritale espletata in secondo grado, espressamente richiamata e riportata, come segue: «Dalla veramente scarna documentazione in atti, emerge altresì come il de cuius presentasse comorbilità molto importanti, quali un diabete mellito di II tipo e, soprattutto, una grave cardiopatia ischemica: in particolare, emerge da unica certificazione risalente al giugno 2012 (punto 02 del paragrafo “esame degli atti” della presente ctu) che l’S.I. era andato incontro, nel 1992, ad infarto acuto del miocardio, motivo per cui si era resa necessaria procedura di rivascolarizzazione miocardica, mediante confezionamento di ben cinque by-pass aorto-coronarici. Dallo stesso documento è possibile rilevare come la terapia fosse costituita, almeno a quell’epoca, da ipoglicemizzanti orali (tre somministrazioni/die), nonché da coronarodilatatori, antiipertensivi e diuretici. E’ pertanto possibile ipotizzare, con criterio di ampia ragionevolezza, che si trattasse di una condizione clinica piuttosto impegnativa, vuoi per la contemporanea presenza di malattia diabetica, che anche quale conseguenza della componente ischemica cardiaca (prova ne sia il quintuplo by-pass aorto-coronarico).
Nessun’altra documentazione è agli atti, soprattutto relativa all’ultimo periodo di vita dell’S.I., con particolare riferimento, nello specifico, alla fase che precedette l’exitus» di talché difettano «le notizie basilari che… avrebbero potuto indirizzare il CTU, se non alla individuazione di una condizione di certezza clinica, quanto meno di una valida indicazione probabilistica, circa le cause di morte, una loro eventuale correlazione sia con la attività lavorativa che anche con la condizione di broncopatia cronica che comunque consentì all’S.I. (questo SI’ – dato certo ed incontrovertibile) di vivere sino all’età di 81 anni. In altri termini, dunque, trattasi di una condizione in cui, stante la assoluta carenza di elementi di prova circa la sussistenza di un peggioramento della funzionalità respiratoria, specie nella fase che precedette l’exitus (è agli atti un solo documento, risalente al lontano febbraio 2016 – punto 04 del paragrafo “esame degli atti”, nel cui contesto è possibile rilevare la prescrizione, SOLO AL BISOGNO – di O2 terapia a basso flusso), ma, nel contempo, in presenza di una importante condizione di cardiopatia ischemica associata a diabete mellito (associazione dal giudizio prognostico certamente sfavorevole), non è assolutamente possibile poter stabilire, con il dovuto rigore medico-legale, una chiara correlazione fra la attività lavorativa svolta, il quadro clinico per il quale l’S.I. era reddituario di rendita ed il suo decesso.»;
3. avverso tale pronuncia la E.LP. ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi, cui resiste l’I.N.A.I.L. con controricorso;
4. è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
 

Considerato che:

1. con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 85 T.U. n. 1124 del 1965, 116 cod. proc. civ. e 41 cod. pen. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.), per avere la Corte d’appello aderito in modo acritico alle conclusioni del consulente d’ufficio ed omesso, in tal modo, di applicare in modo corretto il principio del nesso di causalità in materia di malattie professionali, in applicazione della regola contenuta nell’art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è regolato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito anche in maniera indiretta o remota, a determinare l’evento, sicché solo qualora possa ritenersi con certezza che l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa sia stato di per sé sufficiente a produrre la infermità, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge;
2. con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione della sentenza ex art. 360, n.5 cod. proc. civ., per motivazione assente ed apparente, in quanto la Corte di merito, a fronte delle censure e critiche formulate dalla parte ricorrente nelle osservazioni alla bozza di CTU, si è limitata alla mera adesione alle conclusioni della relazione peritale;
3. il primo motivo è infondato, non ravvisandosi la denunciata violazione di legge per avere la Corte territoriale fatto corretta applicazione dell’art. 85 T.U. n. 1124 del 1965, a norma del quale la rendita spetta ai superstiti solo ove il decesso del dante causa dipenda, con certezza o elevata probabilità, da una malattia professionale o da un infortunio oppure quando la tecnopatia si ponga quale fattore accelerante per l’exitus determinato da altra causa (in tal senso, Cass. Sez. L, 23/06/2016, n. 13060). Come pure affermato nel citato precedente di questa Corte, cui si intende dare continuità, neppure risulta violato il principio giurisprudenziale ormai consolidato secondo cui, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola contenuta nell’art. 41 cod. pen. (secondo cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, sicché va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni), atteso che, proprio nel rispetto di tale principio, la Corte ha disposto il rinnovo della consulenza tecnica di ufficio all’esito della quale - condividendo il ragionamento del CTU – non ha potuto «stabilire, con il dovuto rigore medico-legale, una chiara correlazione fra la attività lavorativa svolta, il quadro clinico per il quale l’S.I. era reddituario di rendita ed il suo decesso», piuttosto rimarcando la «presenza di una importante condizione di cardiopatia ischemica associata a diabete mellito (associazione dal giudizio prognostico certamente sfavorevole)». Di conseguenza, il perito, con iter argomentativo esaustivo, non è potuto addivenire al convincimento che la malattia professionale abbia svolto un’efficacia causale o anche solo concausale sulla morte del lavoratore;
4. il secondo motivo, nei termini proposti, è inammissibile, perché l’art. 360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 134 del 2012, consente di censurare l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nozione nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice, risolvendosi la critica ad essa nell’esposizione di mere argomentazioni difensive (in tal senso, ex multis, Cass. Sez. 1, 16/03/2022, n. 8584);
5. in conclusione, il ricorso va respinto con esonero della ricorrente dalla refusione delle spese di lite attesa la dichiarazione resa ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ., come già riconosciuto in appello;
6. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
 

P.Q.M.
 

Rigetta il ricorso.
Dichiara la ricorrente non tenuta al pagamento delle spese del giudizio di legittimità ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 luglio 2022