Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 ottobre 2022, n. 29577-Inammissibile, per difetto di interesse ad agire, l'azione diretta ad accertare il nesso causale tra infortunio e prestazione di lavoro senza che sia residuata un'inabilità permanente indennizzabile


 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 11/10/2022



Rilevato che:

con sentenza n. 387 del 2015, la Corte d'appello di Campobasso ha accolto l'impugnazione proposta dall'INAIL nei riguardi di F.P., già titolare di rendita INAIL nella misura del 24%, ed ha rigettato la domanda proposta dallo stesso al fine di ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia denunciata con una percentuale di inabilità pari al 4%;
ad avviso della Corte territoriale, posto che l'appellato non aveva proposto appello incidentale in ordine all'accertamento del 4% di inabilità e dunque esso era ormai definitivo, doveva essere ribadita l'inammissibilità di una pronuncia di mero accertamento di una soglia di danno senza che alla stessa si accompagnasse anche la condanna alla erogazione di una prestazione (Cass. 17782 del 2009);
avverso tale sentenza ricorre per cassazione F.P. sulla base di due motivi;
resiste Inail con controricorso;

 

Considerato che:
con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla natura professionale della malattia, posto che il ricorso introduttivo del giudizio conteneva la richiesta di accertamento a grave gonartrosi bilaterale con limitazione funzionale;
con il secondo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c. e dell'art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000 giacché la domanda andava correlata alla circostanza che il ricorrente era già titolare di rendita;
i due motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi dalla centralità del tema dell'individuazione dell'oggetto della domanda proposta in primo grado e, quindi, della sua ammissibilità sono infondati e vanno rigettati;
in sostanza, il ricorrente insiste nel prospettare la tesi dell'ammissibilità di una azione, quale è quella dallo stesso proposta, che sia finalizzata ad ottenere l'accertamento giudiziario di una percentuale di inabilità derivante da malattia professionale indipendentemente dalla sua idoneità a far conseguire l'accertamento dei diritto ad una prestazione erogata dall'INAIL; l'assunto è infondato;
vale, al riguardo, ricordare il consolidato principio di legittimità (da ultimo Cass. 21903 del 2018) secondo cui, in tema di infortuni e malattie professionali è inammissibile, per difetto di interesse ad agire, l'azione diretta ad accertare il nesso di causalità tra infortunio e prestazione di lavoro, senza che sia residuata un'inabilità permanente indennizzabile, atteso che il processo può essere utilizzato solo a tutela di diritti sostanziali e deve concludersi (salvo casi eccezionali) con il raggiungimento dell'effetto giuridico tipico, cioè con l'affermazione o la negazione del diritto dedotto in giudizio, onde i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento dei diritto fatto valere in giudizio e non di per sè e per gli effetti possibili e futuri che da tale accertamento si vorrebbero ricavare, dovendosi rilevare che la natura lavorativa dell'infortunio, o l'eziologia professionale della malattia, non costituisce una questione pregiudiziale alla prestazione economica, come tale suscettibile, a norma dell'art. 34 c.p.c., di accertamento incidentale con efficacia di giudicato separatamente dall'esame della domanda principale, essendo invece uno degli elementi costitutivi del diritto medesimo (v., ex multis, Cass. 8 settembre 2015, n. 17803 e la giurisprudenza ivi richiamata);
a tale riaffermato principio si accompagna la ulteriore considerazione che dal testo della sentenza non si trae la circostanza che il ricorrente già percepiva altra rendita, per cui il rilievo della medesima circostanza potrebbe assumere valore, al fine di una diversa valutazione dell'oggetto della domanda, solo se il ricorrente dimostrasse l'omessa pronuncia a fronte di una allegazione in fatto sin dal ricorso introduttivo;
al contrario, è lo stesso ricorrente a precisare che tale circostanza era stata affermata solo con la memoria d'appello e che il nuovo accertamento avrebbe potuto condurre alla liquidazione di una unica rendita (ex art. 13 d.lgs. n. 38/2000), con ciò rendendo evidente che tale rilievo, al di là della effettiva ricostruzione giuridica della vicenda, rappresenta fatto nuovo, inammissibile in appello ai sensi dell'art. 345 c.p.c. e quindi correttamente non esaminato dalla sentenza impugnata;
in definitiva, il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.
 


La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento del!e spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio dell'8 giugno 2022.