Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 ottobre 2022, n. 29578 - Malattia professionale del magistrato. Nesso di causalità


 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 11/10/2022
 

Ritenuto che:
Con sentenza n. 559 del 2016, la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato nel merito, la sentenza di primo grado che aveva dichiarato nullo il ricorso introduttivo del giudizio proposto da G.G., magistrato, teso ad ottenere la condanna dell'INAIL alla corresponsione delle provvidenze economiche previste per la malattia professionale (tendinite alla spalla destra) asseritamente contratta durante lo svolgimento dell'attività professionale;
la Corte, premesso l'onere di provare quanto meno in termini di effettiva probabilità, la riconducibilità della patologia contratta alle concrete modalità di lavoro, ha rilevato che tale prova non era stata fornita giacché il ricorrente si era limitato ad offrire la documentazione relativa al procedimento amministrativo e non aveva articolato alcun mezzo istruttorio;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione G.G. sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria;
resiste l'INAIL con controricorso;

 

Considerato che:
con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. e dell'art. 2697 C.c. nonché, contestualmente, vizio di omessa ed apparente motivazione in quanto la sentenza ha ritenuto non provate le concrete modalità di svolgimento dell' attività di lavoro nonostante l'INAIL, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza, non avesse per nulla contestato quanto affermato; infatti, la stessa sentenza aveva rinvenuto la contestazione nella negazione che le mansioni lavorative disimpegnate dal ricorrente avessero <potuto comportare l'insorgenza della patologia denunciata>; in particolare, l'INAIL aveva contestato il nesso causale in ragione del fatto che la durata e l'intensità dell'utilizzo del personal computer era dipesa dallo stesso lavoratore di "alto concetto", ma non certo le concrete modalità lavorative; inoltre, tali modalità risultavano descritte nel documento a firma del Presidente del Tribunale di Cosenza, capo dell'ufficio di appartenenza del ricorrente, versato in atti ed il cui contenuto viene riportato in ricorso;
con il secondo motivo, si denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma n. 5) c.p.c.) essendo stato del tutto trascurato il rilievo probatorio del rapporto/questionario a firma del capo dell'Ufficio che indicava in dettaglio le attività espletate dall'assicurato in ordine al quale l'INAIL aveva preso posizione, sostenendo che non potesse integrare il testo del ricorso di primo grado e che la stessa Corte d'appello aveva utilizzato per superare la questione di nullità;
con il terzo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 d.p.r. n. 1124 del 1965 e della tabella allegata al n. 4, avendo la Corte d'appello trascurato di considerare che la malattia denunciata è tabellata, qualora si dovesse ravvisare una autonoma ratio decidendi nella mera riproduzione della massima della sentenza n.21825 del 2014 della Corte di cassazione, presente nella motivazione della sentenza impugnata;
il ricorrente ha depositato memoria; il ricorso va rigettato;
quanto al primo motivo, va rilevato che esso è infondato, giacché emerge dal contenuto della sentenza e dallo stesso contenuto del ricorso per cassazione, che le allegazioni relative alle concrete modalità dell'attività di lavoro non erano contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, ma bensì nei documenti allo stesso allegati per cui in ordine a tali fatti non può predicarsi l'onere di specifica contestazione in capo all'Istituto ai sensi dell'art. 416 c.p.c. e 115 c.p.c. (Cass. n. 5708 del 2018) anche perché si tratta di fatti che non possono essere conosciuti dalla parte convenuta (Cass. n. 87 del 2019);
si è infatti chiarito che nel caso in cui manchino nel ricorso introduttivo del giudizio le allegazioni circa fatti costitutivi del diritto preteso non può ritenersi operativo il principio di non contestazione, il quale concerne i fatti che siano stati compiutamente allegati dalla parte attrice (cfr. da ult. Cass. n. 7784 del 2017), non anche i documenti asseritamente idonei a provarne la sussistenza, rispetto ai quali non c'è alcun onere di contestazione, ma eventualmente solo un onere di disconoscimento nei casi di cui all'art. 214 c.p.c. o di proposizione
- se del caso - di querela di falso ex art. 221 c.p.c., mentre la loro significatività o valenza probatoria può essere oggetto di discussione fra le parti in ogni momento, così come può essere autonomamente valutata dal giudice (così Cass. nn. 18046 del 2014, 6606 e 12099 del 2016);
quanto al secondo motivo, lo stesso è inammissibile non rientrando nel paradigma di cui al n. 5 dell'art. 360, primo comma. Il fatto decisivo cui si riferisce il numero 5 dell'art. 360 c.p.c. è un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico che avrebbe condotto a una decisione diversa secondo una prognosi di certezza, non di mera probabilità (Cass. n. 27096 del 2020);
in questo caso, peraltro, il ricorrente neanche critica la sentenza là dove la stessa ha affermato che non erano state allegate né provate le concrete modalità di espletamento dell'attività lavorativa;
quanto al terzo motivo, anche ammesso che astrattamente la malattia denunciata sia tabellata, come le relative lavorazioni, se queste ultime non sono provate, il sistema tabellare non può produrre gli effetti di presunzione probatoria che gli sono propri;
come chiarito da questa Corte in plurime occasioni (ex multis vd. Cass. 39751 del 2021) sin dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1919 del 09/03/1990, nel sistema dell'assicurazione contro le malattie professionali - quale risulta per effetto dell'ampliamento della protezione alle malattie professionali non tabellate operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 179 del 1988 - la distinzione tra le malattie comprese nelle tabelle e quelle ivi non comprese rileva sul piano della prova del nesso di causalità;
costituisce infatti principio consolidato quello secondo il quale l'inclusione nella tabella sia della lavorazione svolta che della malattia contratta (purché insorta entro il periodo massimo d'indennizzabilità eventualmente previsto) comporta l'applicazione della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato;
nel caso, qui non ricorrente per difetto di prova sull'attività lavorativa che si assume essere pure prevista in tabella, di doppia previsione tabellare, dunque, al lavoratore è sufficiente dimostrare lo svolgimento professionale della lavorazione indicata in tabella e di essere affetto dalla malattia ivi prevista, per essere esonerato dalla prova dell'esistenza del nesso di causalità tra l'uno e l'altra, avendo già l'ordinamento compiuto la correlazione causale tra i due termini (v. Cass. n. 3207 del 2019, Cass. n. 16248 del 2018, Cass. n. 13024 del 2017, Cass. n. 23653 del 2016);
invero, il sistema tabellare esonera il lavoratore dalla prova del nesso di causalità tra la lavorazione tabellata e la malattia, ma non dalla prova dell'adibizione professionale alla prima. Per far scattare la presunzione di nesso causale in concreto ed in relazione al caso specifico, la prova del lavoratore dovrà dunque avere ad oggetto (oltre alla contrazione della malattia tabellata) lo svolgimento di una lavorazione che rientri nel perimetro legale della correlazione causale presunta e dunque che sia ritenuta idonea, secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, a provocare la malattia. Solo in tal caso la fattispecie concreta potrà ritenersi aderente a quella astratta prevista dalla tabella e potrà scattare la presunzione di eziologia professionale con specifico riferimento a quel lavoratore;
peraltro, la presunzione legale in questione non è assoluta, rimanendo la possibilità per l'INAIL di fornire la prova contraria, ad esempio dimostrando che la malattia, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all'esposizione a rischio, in quanto quest'ultima sia cessata da lungo tempo, oppure che il lavoratore è stato concretamente esposto all'agente patogeno connesso alla lavorazione tabellata in misura non sufficiente nel caso concreto a cagionare la malattia, o che sussista un fattore extralavorativo che sia stato di per sé idoneo a determinarla (Cass. n. 19312 del 25/09/2004, Cass. n. 14023 del 26/07/2004);
in definitiva, il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.




P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell'8 giugno 2022.