Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 12 ottobre 2022, n. 29815 - Epicondilite bilaterale del carpentiere. Mancanza di prove sul rischio morbigeno legato alle mansioni svolte


 

 

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: PONTERIO CARLA Data pubblicazione: 12/10/2022
 

Rilevato che:
1. la Corte d'Appello di Perugia ha respinto l’appello di S.M. nei confronti dell’Inail, confermando la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto l’indennizzabilità, quale malattia professionale, della epicondilite bilaterale, escludendo l’origine professionale della patologia al rachide lombo sacrale.
2. La Corte territoriale, premesso che il S.M. svolgeva mansioni di carpentiere addetto alla lavorazione e all’assemblaggio di pezzi metallici anche di grandi dimensioni, ha ritenuto che non fosse stata fornita la prova, di cui il lavoratore era onerato (atteso che le patologie denunciate non erano tabellate), del rischio lavorativo e della derivazione causale da esso della patologia al rachide.
3. Avverso tale sentenza S.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. L’Inail ha resistito con controricorso;
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ.
 

Considerato che:
5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. 30.6.1965 n. 1124 derivante dalla sentenza della Corte Costituzionale 18.2.1988 n. 179, dei principi sul rapporto di causalità di cui agli art. 40 e 41 c.p. e dell’art. 2697 c.c.
6. Si sostiene che la Corte di merito abbia fatto erronea applicazione dei principi affermati in sede di legittimità, secondo cui il ruolo causale dell’attività lavorativa non è escluso da una preesistente condizione patologica del lavoratore la quale, anzi, può rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra l’attività lavorativa e l’infortunio o la malattia professionale, sicché un ruolo di concausa va attribuito anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia; che nella fattispecie oggetto di causa, il c.t.u. nominato in primo grado aveva riconosciuto la rilevanza quantomeno concausale dell’attività lavorativa svolta da S.M. come fattore produttivo rispetto alle spondilodiscopatie lombari (secondo il c.t.u. l’attività lavorativa poteva avere “in qualche modo influito sul decorso della patologia”).
7. Con il secondo motivo si censura la sentenza d’appello, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. 30.6.1965 n. 1124 derivante dalla sentenza della Corte Costituzionale 18.2.1988 n. 179, dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115, 116 e 437 c.p.c.
8. Si critica la decisione dei giudici di secondo grado di mancata ammissione dei documenti fotografici e dei video riproducenti le modalità di lavoro dell’attuale ricorrente e si sottolinea come tali documenti, sebbene realizzati in epoca successiva alla sentenza del Tribunale, descrivessero condizioni di lavoro identiche a quelle del periodo oggetto di causa. Si critica il mancato rinnovo della c.t.u., giudicata erroneamente esplorativa, che invece “può costituire una fonte oggettiva (e autonoma) di prova quando si risolve in un mezzo indispensabile per accertare fatti rilevabili solamente con il sussidio di cognizioni tecniche”. Si assume, inoltre, la violazione dell’art. 115 cit. per avere la Corte territoriale fatto ricorso ad una propria scienza privata, scrivendo a p. 4 che sarebbe “noto” che gli strumenti utilizzati per la lavorazione di carpenteria sono idonei a produrre vibrazioni dannose al sistema articolare mani e braccia (Hand Arm Vibration - HAV), mentre solo la conduzione di mezzi meccanici darebbe luogo a vibrazioni in tutto il corpo (Whole Body Vibration - WBV). Il fatto che le vibrazioni a tutto il corpo possano essere prodotte da macchine in senso stretto non esclude infatti che possano essere prodotte anche da un utilizzo protratto per tutte le ore di lavoro degli attrezzi di carpenteria, e l’accertamento di questo poteva essere compiuto solo tramite una consulenza medico-legale. Si sottolinea che, come allegato nel ricorso d’appello, il medico competente aveva accertato l’esposizione del S.M. a specifici rischi, fra cui quelli legati alla “movimentazione manuale carichi” ed a “posture incongrue”, direttamente rilevanti ai fini delle spondilodiscopatie lombari, e lo aveva giudicato idoneo, ma con la prescrizione di “limitare la movimentazione manuale dei carichi e le posture incongrue”. La Corte d’appello ha omesso qualsiasi riferimento al certificato del medico competente, così come anche al Documento di Valutazione dei Rischi (D.V.R.) prodotto dall’Inail fin dal primo grado, da cui risultavano una serie di elementi, costituenti piste probatorie che avrebbero dovuto condurre i giudici di appello ad ulteriori accertamenti tecnici, tramite c.t.u.
7. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 cod. proc. civ., nullità della sentenza ex art. 244 e 253 c.p.c. e ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sui motivi di ricorso in appello con cui si era denunciata la mancata assunzione della prova testimoniale su tutte le circostanze contenute nei capitoli di prova ritualmente ammessi (in particolare, sulla circostanza di cui al 2° capitolo di prova formulato a p. 3 del ricorso di primo grado, del seguente tenore: “Vero che il lavoro è svolto in piedi e prevede l’esposizione a vibrazioni sia corpo intero che del sistema mano braccio”) e con cui si era dedotta l’illegittima mancata ammissione del cap. 4 in quanto lo stesso conteneva fatti specifici e non “giudizi e valutazioni non demandabili al teste”, come erroneamente affermato dalla Corte di merito.
8. I motivi di ricorso sono inammissibili.
9. La Corte d’appello, in conformità al primo giudice e in base alla c.t.u. svolta in primo grado, ha ritenuto che le prove orali e documentali acquisite non dimostrassero l’esistenza, nello svolgimento delle mansioni del S.M., di un rischio causalmente riferibile alla patologia lombo sacrale, la cui origine risultava essere extralavorativa.
10. A tale accertamento fattuale, l’attuale ricorrente pretende di opporre una diversa ricostruzione delle modalità di svolgimento delle mansioni ed una diversa valutazione sull’esistenza del rischio morbigeno, invocando documenti che assume illegittimamente non ammessi (foto e video) o non adeguatamente valutati (certificato del medico competente e documento di valutazione dei rischi), nonché prove testimoniali non espletate su tutte le circostanze dedotte e limitate ad alcuni capitoli e definendo erronea la decisione di non rinnovare la consulenza tecnica.
11. Tutte queste argomentazioni, come appare evidente, investono l’accertamento compiuto dai giudici di merito, la selezione e valutazione dei mezzi di prova, e sollecitano nella sostanza una revisione del ragionamento decisorio non consentito in questa sede di legittimità. Le censure, in quanto denunciano plurime violazione di legge presupponendo una diversa ricostruzione in fatto, si collocano all’esterno del perimetro segnato dall’art. 360 n. 3 c.p.c. Le stesse non possono neppure trovare ingresso attraverso l’art. 360 n. 5 c.p.c., sia per la preclusione derivante dall’art. 348 ter, comma 5, c.p.c. (cd. doppia conforme) e sia perché non denunciano l’omesso esame di un fatto storico decisivo, Secondo i criteri ampiamente illustrati dalle S.U. di questa Corte (sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014).
12. In nessun modo è configurabile la violazione dell’art. 2697 cod. civ., atteso che la sentenza impugnata, in linea con la costante giurisprudenza di legittimità, ha attribuito al lavoratore, in materia di malattie non tabellate, l’onere di dimostrare l’esistenza del rischio morbigeno (v. Cass. n. 8773 del 2018; n. 17438 del 2012).
13. La ritenuta mancanza di prove sul rischio morbigeno legato alle mansioni svolte ha reso superfluo l’accertamento sul nesso causale o concausale.
14. Neppure vi è spazio per ravvisare la violazione dell’art. 115 c.p.c. atteso che gli argomenti sugli effetti delle vibrazioni a tutto il corpo sono stati usati dalla Corte di merito ad abundantiam, in aggiunta all’esito negativo delle prove testimoniali sulla esposizione a rischio e alle conclusioni del consulente tecnico nominato in primo grado.
15. Parimenti inammissibile è la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., perché il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di questioni processuali (v. Cass. n. 1876 del 2018; n. 22083 del 2013).
16. Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
17. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza.
18. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
 

P.Q.M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 26.5.2022