Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 ottobre 2022, n. 29769 - Infortunio durante il rifacimento di un tetto e nessun esonero di responsabilità del datore di lavoro. Azione di regresso


 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: SOLAINI LUCA
Data pubblicazione: 12/10/2022
 

Rilevato che:
Con sentenza del 6 maggio 2016 n. 19, la Corte d'appello di Trento - sezione distaccata di Bolzano - accoglieva l'appello dell'Inail avverso la sentenza del tribunale di Bolzano che aveva respinto la domanda di regresso proposta dal medesimo istituto assicuratore nei confronti della società Burgman Kandidus snc per l'infortunio occorso al suo operaio muratore P.H. il 13.4.2010, nel cantiere di San Candido dove la società stava realizzando il rifacimento del tetto di un edificio condominiale, domanda quantificata nell'importo di € 122.197,56, oltre accessori, erogato dall'Inail al lavoratore infortunato per indennità temporanea, indennizzo in capitale del danno biologico e prestazioni sanitarie. L'Istituto ha fatto valere, sulla base degli accertamenti svolti, la responsabilità della società datrice nella causazione dell'evento, ai sensi degli artt. 2087 e 2049 c.c., per violazione anche da parte di un preposto (che svolgeva attività di gruista) degli obblighi di vigilanza in materia di sicurezza per non aver impedito al lavoratore infortunato di recarsi sul tetto condominiale nel momento in cui il medesimo gruista ha chiesto al lavoratore infortunato di collegare al gancio della gru il telo che si trovava sul tetto dell'edificio adiacente.
Il tribunale rigettava la domanda di regresso, sul rilievo che la ricostruzione dei fatti operata dall'Inail non trovava riscontro nelle deposizioni testimoniali sulla cui base era emerso che il lavoratore infortunato aveva agito di propria iniziativa, per cui l'evento dannoso era attribuibile a un comportamento del tutto abnorme dell'infortunato.
Per parte sua, la Corte territoriale a sostegno dei propri assunti di accoglimento dell'appello, per quanto ancora d'interesse, ha ritenuto di aderire alla ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza penale di condanna emanata in primo grado benché riformata in appello per insufficienza di prove, perché la sentenza penale d'appello di assoluzione non era opponibile all'Inail che non era legittimato neppure a costituirsi parte civile.
Avverso la sentenza della Corte d'appello, la società Burgmann Kanditus snc, in persona del legale rappresentante, ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, mentre l'Inail resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
 

Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 115 e 251 c.p.c., in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., perché la Corte d'appello aveva erroneamente posto sullo stesso piano le testimonianze rese dai Sigg. M. e O. nel giudizio civile e le dichiarazioni rese dagli stessi imputati in sede penale.
Con il secondo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 654 e 652 c.p.p., in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché la Corte d'appello aveva qualificato illegittimamente in sede civile lo stesso fatto come reato per il quale, invece, il ricorrente era andato assolto in sede penale per insufficienza di prove, pur non avendo a disposizione elementi ulteriori o diversi rispetto alla Corte d'appello in sede penale, volti a definire i presupposti per l'azione di regresso, altrimenti preclusa dall'art. 10 del DPR n. 1124/65.
Con il terzo motivo di ricorso, la società ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, dell'art. 10 del DPR n. 1124/65 e dell'art. 14 delle preleggi al codice civile, in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché la Corte d'appello aveva erroneamente ritenuto che la permanenza dei dubbi sulla sussistenza del fatto reato dovevano risolversi a svantaggio del datore di lavoro convenuto su cui grava l'onere di fornire esaustiva prova liberatoria rispetto alla responsabilità dell'occorso infortunio del lavoratore.
Con il quarto motivo di ricorso, la società ricorrente lamenta sia il vizio di violazione di legge, in particolare degli artt. 115 e 251 c.p.c., in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., che il vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relativo alla testimonianza dell'ispettore del lavoro K. e per la manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione e conseguente nullità della sentenza, per violazione del precetto costituzionale di cui all'art. 111 cost., in relazione all'art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.; in particolare, dalla deposizione del predetto ispettore, non si ricaverebbe quella gerarchia di fatto nella squadra dei lavoratori che la Corte d'appello ha ipotizzato e sulla base della quale il lavoratore infortunato non avrebbe potuto rifiutarsi di eseguire le direttive del preposto del datore di lavoro che avevano portato all'evento infortunistico.
Il primo motivo è all'evidenza inammissibile, in quanto contesta l'efficacia probatoria che la Corte d'appello ha inteso attribuire alle dichiarazioni delle parti e dei testi indicati in rubrica, in sede penale rispetto alla presente sede civile, che è una questione di competenza esclusiva del giudice del merito, incensurabile nel giudizio di legittimità se congruamente motivata, come nella specie.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, ai fini del sorgere del credito dell'INAIL nei confronti della persona civilmente obbligata, è necessario che il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio, ma l'accertamento giudiziale, sempre che si renda necessario in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore o di bonario componimento della lite, può avvenire sia in sede penale che in sede civile" (Cass. n. 2138/15, 20724/13)."
Nella specie, la Corte d'appello ha accertato autonomamente e in via incidentale l'esistenza del fatto reato basandosi sulle risultanze del processo penale com'era in suo potere fare per la formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 5444/2011).
Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, "In caso di infortunio sul lavoro, la responsabilità ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale; grava pertanto sul datore di lavoro l'onere di fornire la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare l'evento dannoso e che questo è stato determinato da fattori imprevisti ed imprevedibili. La responsabilità del datore di lavoro può desumersi anche dalla sentenza penale ex art. 444 c.p.p. che costituisce un importante elemento di prova per il giudice, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di motivarne le ragioni" (Cass. n. 4804/2012).
Pertanto, ai fini dell'azione di regresso dell'istituto assicuratore, nei confronti del datore di lavoro per le somme erogate in favore del lavoratore infortunato, in dipendenza del predetto infortunio, la società datrice avrebbe dovuto dimostrare che il danno era dipeso da causa alla stessa non imputabile, per aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza; ma nella specie, la Corte d'appello, basandosi sulle dichiarazioni delle parti in sede penale, ha escluso l'esonero di responsabilità a favore del datore di lavoro, dichiarando il diritto dell'Inail a ripetere le somme erogate al predetto lavoratore infortunato.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile, perché contesta - in termini di mero dissenso volto a richiedere un nuovo esame dei fatti- gli accertamenti espressi dalla Corte di appello sulle direttive impartite al lavoratore infortunato che sono questioni di competenza esclusiva del giudice del merito ed incensurabili nel presente giudizio di legittimità, se congruamente motivate, come nella specie e che la Corte d'appello aveva risolto in senso sfavorevole alla società ricorrente.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
 

P.Q.M.
 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente a pagare all'Inail le spese di lite che quantifica nell'importo di € 7.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8.6.22.