Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 17 ottobre 2022, n. 39021 - Rischio incendio durante i lavori di saldatura sul tetto. Mancanza del documento di valutazione dei rischi interferenziali


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 28/09/2022
 

Fatto


1. Con sentenza emessa in data 28/9/2018 il Tribunale di Catanzaro, all'esito di giudizio ordinario, condannava G.A. e S.G., concesse loro le circostanze attenuanti generiche, alla pena condizionalmente sospesa di anni due di reclusione ciascuno in quanto riconosciutili colpevoli:
A) del reato di cui agi artt. 61 n. 3, 113, 583 co. 1 n. 1; 590 co. 1 e 3 c.p., perché con colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia in violazione delle norme che regolano la prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 26 e 27 del D.lgs. 81/08), in qualità, rispettivamente, G.A. di formale titolare dell'omonima azienda agricola (in forma di impresa individuale sita in Satriano (CZ) in località Votarelle committente e proprietario delle attrezzature e dei capannone, S.G. in qualità di datore di lavoro che aveva impartito gli ordini di lavoro all'infortunato;
- adibendo il lavoratore B.A. ad effettuare dei lavori di saldatura del tetto del capannone di cui all'azienda (senza dare al) predetto attrezzature idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al tipo di lavoro da svolgere (in particolare veniva concesso l'utilizzo di un trattore dotato di pala meccanica di proprietà dei G.A. per permettere all'operaio di salire sino all'altezza della struttura metallica del tetto al fine dì saldare le travi di rinforzo, mentre nel Piano Operativo di Sicurezza redatto dal Sig. S.G. era previsto l'uso di un trabattello che non è stato montato);
- omettendo di adottare opportuni interventi sui luoghi, quali ispezioni, sopralluoghi ecc. al fine di promuovere la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2 dell'art. 26 D. Lgs. N.81/08 e omettendo pertanto di elaborare un unico documento di valutazione dei rischi onde indicare in maniera corretta e completa le misure da adottare per eliminare o ridurre al minimo le interferenze (in particolare il G.A. ometteva di precisare nel documento precitato e verificare che all'interno della stalla esisteva un elevato rischio d'incendio mentre il S.G. ometteva di verificare l'elevato rischio di incendio in caso di caduta delle scintille di saldatura sul fieno presente sul pavimento e depositato lungo le pareti della stalla, omettendo pertanto di approntare alcuna misura preventiva per evirare l'innesco dell'incendio);
cagionavano al predetto dipendente lesioni personali gravissime, consistite in ustioni dermoepidermiche diffuse per il corpo di secondo e terzo grado dalle quali derivava una malattia nel corpo della durata superiore a giorni 40, allorché il B.A. trovandosi all'interno della benna della pala meccanica sopra citata, veniva investito dalle fiamme frattanto innescate dalla caduta delle scintille della saldatura sulla paglia presente nel capannone, senza alcuna possibilità di sfuggire immediatamente all'incendio così formatosi anche a causa della conformazione benna. Con le aggravanti di aver agito nonostante la previsione dell'evento e di aver cagionato al lavoratore una malattia del corpo di durata superiore a quaranta giorni. Commesso in Satriano in data 10/01/2012
 

G.A.
B) del reato p e p dall'art. 26 co 2 e 3 DL 81/2008, perché, nelle circostanze di cui al capo a) nella qualità di committente, non provvedeva a promuovere la cooperazione ed il coordinamento, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indicasse le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo i rischi da interferenze . Commesso in Satriano in data 10/01/2012
 

S.G.
C) del reato p. e p. dall'art. 71 del D.lgs. 81/2008. perché, nelle circostanze di cui al capo a), nella qualità di datore di lavoro di B.A., non metteva a disposizione del lavoratore attrezzature conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie, idonee, ai fini della salute, della sicurezza, adeguate al lavoro da svolgere o adattale a tali scopi. In particolare, veniva concesso l'uso del trattore dotato di benna e di proprietà del G.A., permettendo al B.A. di salire all'altezza della struttura metallica del tetto su cui eseguire l'intervento. Commesso in Satriano in data 10/01/2012
Il giudice di primo grado condannava gli imputati S.G. e G.A.- in solido al responsabile civile Società Cattolica di Assicurazione Coop a.r.l., al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata
Sull'appello degli imputati e del responsabile civile, la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, il 19/4/2021 dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati loro ascritti perché estinti per intervenuta prescrizione e confermava le statuizioni civili della sentenza impugnata, con esclusione di quelle emesse nei confronti del responsabile civile, di cui disponeva la revoca.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, G.A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo, richiamando i dicta di cui alle sentenze di questa Corte nn. 6766/2020, 33405/2018 e 21553/211 il ricorrente lamenta, congiuntamente, violazione dell'art. 111 Cost. e vizio motivazionale laddove la Corte territoriale non avrebbe risposto al motivo di appello con cui si denunciava la mancanza di motivazione della sentenza di primo grado.

Il principio che la motivazione debba affrontare tutti i motivi proposti con l'appello trova per il ricorrente legittimazione nel più alto livello della gerarchia delle fonti, ossia nell'articolo 111, co. 6, Cost. il cui rilievo essenziale trova - a sua volta - un ampio riconoscimento sovranazionale nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (di seguito Corte EDU), giacché l'obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è condizione imprescindibile per un ordinamento democratico essendo, questo, alla base della trasparenza del percorso argomentativo seguito dal decisore, e che consente "il controllo del suo prodotto a chi ne subisce gli effetti direttamente o indirettamente, agli organi ç1iudiziari competenti all'eventuale revisione, all'intera comunità nel cui nome la decisione è presa". La Corte EDU rammenta che, sebbene i giudici non possono essere tenuti a motivare il rigetto di ogni argomentazione addotta da una parte (Ruiz Torija e. Spagna, 9 dicembre 1994, § 29, serie A n. 303-A), essi non sono tuttavia dispensati dal dover esaminare debitamente i principali motivi di ricorso che quest'ultima deduce e dal rispondervi (si richiama, Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2) [GC], n. 19867/12, § 84, 11 luglio 2017).
Il concetto di processo equo -evidenzia il ricorrente- richiede che una giurisdizione che abbia dato solo una breve motivazione alla sua decisione, incorporando le motivazioni fornite da una giurisdizione di grado inferiore o in altro modo, abbia effettivamente esaminato le questioni essenziali che le sono state sottoposte (Helle e. Finlandia, 19 dicembre 1997, § 60, Recueil des arréts et décisions 1997 VIII, e Boldea e. Romania, n. 19997/02, § 30, 15 febbraio 2007) (in termini, sentenza 6 febbraio 2020 dalla Corte EDU, I sezione, nel caso Felloni c. Italia).
Pertanto, ed atteso che la motivazione non è un atto isoiato ed autoreferenziale quanto piuttosto l'epilogo di un dibattito improntato al principio del contraddittorio al quale le parti hanno il diritto di partecipare con pienezza, il ricorrente ritiene che la sentenza impugnata vada annullata.
Con un secondo motivo si chiede l'annullamento della sentenza ex art. 606 lett. e) in relazione all'art. 192 cod. proc. pen. e all'art. 26 D.lgs. 81/2008, lamentando una vera e propria apparenza motivazionale.
Il ricorrente ricorda che nell'atto di appello si era censurata la sentenza di primo grado sul rilievo che difettava agli atti il documento di valutazione dei rischi, onde indicare in maniera corretta alle costituite parti civili le misure da adottare per eliminare o ridurre al minimo i rischi oggetto della prestazione lavorativa: non essere in possesso cartaceo della valutazione dei rischi, implicava non poter valutare la corretta condotta dell'imputato riguardo l'adozione di misure idonee alla prevenzione.
Si rilevava peraltro, come il documento in questione fosse stato adeguata­ mente redatto dal G.A. - contrariamente a quanto dedotto in imputazione che ne contesta la omissione della redazione - ma mai allegato all'incarto processuale. E si rimarcava come tale carenza costasse l'impossibilità di stabilire quale fosse stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del ricorrente nell'eziologia dell'evento atteso che non era emersa prova alcuna - nemmanco presuntiva - del fatto che il lavoro nell'esecuzione del quale era occorso l'infortunio, fosse riferibile ad una richiesta aggiuntiva (o comunque alla società committente), in quanto mai emersa in dibattimento l'effettiva frequentazione del G.A. presso il cantiere né di conseguenza, se avesse avuto modo di percepire direttamente le pericolose modalità di esecuzione. La responsabilità del committente non è "in re ipsa", perchè arduo richiedere a quest'ultimo un controllo assiduo, capillare e pressante sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori.
Nell'atto di gravame nel merito -aggiunge il ricorrente- si evidenziava anche la contraddittorietà delle dichiarazioni delle parti civili, in specie, di Me.F., cha aveva riferito di una denuncia sporta, ma mai oggetto di procedimento, e di un narrato impreciso - poiché oggetto di numerose contestazioni difensive- e anche privo di qualsivoglia riscontro, intrinseco ed estrinseco.
Inoltre, si era lamentato come fosse stata trascurata la produzione documentale difensiva che attestava come il Me.F. fosse intervenuto nel processo solo dopo il licenziamento del datore di lavoro S.G., coimputato in questo processo. E si era rilevato come, sia il Me.F. che il B.A., da loro stessi ribadito essere fabbri esperti, accettarono il rischio che avrebbero assunto saldando il tetto di una stalla, svolgendo immediatamente ed imprevedibilmente tale prestazione. Si sottolineava anche la stravaganza della condotta degli operai poi­ ché, nonostante fabbri specializzati e nonostante forniti di mezzi ed attrezzature idonee siccome da loro confermato in dibattimento, avevano imprevedibilmente provveduto alla saldatura del tetto utilizzando una benna meccanica -senza autorizzazione alcuna- e non la strumentazione di cui pure erano muniti.
La rappresentazione dei fatti, dunque, per il ricorrente si mostrava lacunosa, soprattutto ove si rilevi che non sussiste una specifica norma che disciplini direttamente la condotta del committente.
Si doveva individuare -prosegue il ricorso- la specifica norma ritenuta violata, il che richiedeva una più meticolosa ricostruzione dei fatti, che non ci sarebbe stata, avendo offerto sul punto la Corte territoriale una motivazione meramente apparente.
Ci si duole, in particolare, che entrambi i giudici di merito abbiano disatteso le rimostranze difensive riguardo la mancanza negli atti del DVR compilato dal committente di cui, dunque, non è stato mai accertato il contenuto, e di conseguenza non è mais stata verificata l'attività di cooperazione e coordinamento.

Nel caso di specie - prosegue il ricorrente- andava valutato se la condotta tenuta dalla vittima fosse o meno prevedibile per i coimputati, sì da attribuire efficacia causale a loro eventuali omissioni.
La soluzione offerta dalla Corte di Catanzaro secondo il ricorrente non è sufficiente ed adeguata a sostenere una pronuncia di responsabilità degli imputati "al di là di ogni ragionevole dubbio", regola dì giudizio che consente di pronunciare sentenza di condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura" ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez.5, n. 1282/2019, Rv.275299; Sez.l, n.23813/2009, Rv.243801; Sez.l, n.31456/2008, Rv. 240763).
La Corte Catanzarese, nel pronunciare la condanna degli odierni imputati, non avrebbe fatto buon governo dei due enunciati principi di diritto (esclusione del nesso di causalità in caso condotta "abnorme" del lavoratore e necessità di una prova della responsabilità "al di là di ogni ragionevole dubbio").
La Corte territoriale, in base a tale materiale probatorio, ha escluso l'imprevedibilità del comportamento dei lavoratori autonomi, sottolineando la mancata predisposizione del documento dei rischi e dunque l'omissione dell'attività di coordinamento finalizzate all'adozione delle misure di prevenzione in concreto necessarie in relazione, alle condizioni del luogo di esecuzione dei lavori, nonché la mancata fornitura del trabattello. Tuttavia, mancherebbe la prova certa del contenuto del documento valutativo dei rischi e dell'ingerenza concreta del G.A., e non si potrebbe escludere un'iniziativa estemporanea dei lavoratori imprevedibile da parte datoriale.
Con un terzo motivo si deduce violazione dell'art. 113 cod. pen. e vizio di motivazione.
Il ricorrente allega la memoria difensiva con la quale aveva lamentato in appello che alcuna menzione fosse stata operata dal primo giudice riguardo all'elemento soggettivo del reato, ovvero la colpa in concorso ex art . 113 cod. pen. con il coimputato, laddove il principale tratto caratterizzante della cooperazione colposa è rappresentato dalla consapevolezza, da parte di ogni soggetto agente, di partecipare alla condotta altrui, pur non essendoci un accordo finalizzato alla concretizzazione dell'evento (il richiamo è a Sez. 4, n. 22214/2019).
Nel caso specifico, si sostiene che non ci sia prova di una comune gestione dell'impresa e nemmeno di alcun contratto formale tra le parti imputate relativo alla prestazione comune. E -si aggiunge- nemmeno provato è il contestuale coinvolgimento di entrambi gli imputati nell'esecuzione finanche parziale dei lavori, o un intervento congiunto nella realizzazione dell'opera. La tesi che si sostiene è che, seppure entrambi collaborassero per la realizzazione del lavoro, essi assumevano posizioni del tutto divergenti (datore di lavoro e committente) disancorate da qualsiasi obbligo contrattuale, e senza alcuna formale ripartizione di incarichi. Sul piano strutturale si ricorda in ricorso che la fattispecie oggettiva della cooperazione colposa, richiede una pluralità di soggetti (non necessariamente tutti imputabili o punibili), la realizzazione di un fatto reato consumato, un contributo causale fornito da ciascuna condotta rispetto alla realizzazione del delitto, la violazione di una regola a contenuto cautelare che imponga obblighi di diligenza, prudenza e perizia la cui osservazione renderebbe prevedibile ed evitabile l'evento dannoso .
In tale ambito, si rende necessario che ciascuno dei compartecipi tenga una condotta in contrasto con una regola siffatta. L'elemento psicologico si salda alla oggettività del rischio (concreto) in uno al comportamento omesso, in afferenza coniugante alla specifica prescrizione cautelare.
Ci si duole che nella sentenza impugnata non si faccia cenno alcuno in ordine alla concretizzazione della colpa.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. In data 30.6.2022 risulta depositata dal P.G. memoria ex art. 121 cod. proc. pen. con cui si chiede dichiararsi inammissibile il ricorso e alla data dell'udienza risultano pervenute in cancelleria via pec conclusioni scritte e nota spese del difensore della parte civile B.A..
 

Diritto

 

1. Il ricorso, ancorché in appello vi si stata sentenza di improcedibilità per prescrizione, è in astratto ammissibile, in quanto ben poteva chiedersi a questa Corte di legittimità se la sentenza di appello avesse compiuto, in tal caso, un esaustivo apprezzamento sulla responsabilità dell'imputato ai fini della conferma delle statuizioni civili, con rinvio al giudice civile competente per valore, ex art. 622 cod. proc. pen. (Sez . 5, n. 3869 del 7/10/2014 dep. 2015, Lazzari, Rv. 262175; conf . Sez. 6, n. 5888 del 21/01/2014, Rv. 258999; Sez. 6, n. 161S5 del 20/03/2013 - dep. 2013, Galati e altri, Rv. 255666).

2. In concreto, tuttavia, il ricorso è inammissibile in quanto le censure proposte dal ricorrente si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello (senza un adeguato confronto, nel ricorso, con le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello in merito alle dette doglianze) . Inoltre, i motivi appaiono formulati in modo non specifico e diretti ad ottenere una rivalutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione evidentemente preclusa dinanzi al giudice di legittimità.
Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Va anche evidenziato, per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, che la denuncia di violazione di norme costituzionali o di norme CEDU non integra un caso di ricorso per cassazione a norma dell'art.606 lett. b) cod. proc. pen., ma legittima la proposizione della questione di legittimità costituzionale (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261551). Il che non è avvenuto nel caso in esame.
Il principio che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduce la violazione di norme della Costituzione (nel caso del primo motivo di ricorso, l'art. 111) o della CEDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall'art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale è stato anche ribadito di recente (Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019 dep. 2020, Leone, Rv. 279059 che ha sottolineato, quanto alla censura riguardante la presunta violazione della CEDU, che le sue norme, per come interpretate dalla Corte EDU, rivestono il rango di fonti interposte integratrici del precetto di cui all'art. 117, comma 1, Cost. sempre che siano conformi alla Costituzione e compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti).

3. Ricordato che, secondo quanto chiarito da questa Corte di legittimità, un motivo di ricorso è generico non solo quando è intrinsecamente indeterminato, ma altresì quando difetti della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (cfr. ex multis Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), va evidenziato che il ricorrente non pare tenere in alcuna considerazione il percorso motivazionale adottato dalla Corte territoriale per la formazione della prova in ordine alla condotta ascritta all'imputato rispetto alla redazione del documento unico di valutazione dei rischi, documento la cui redazione non è contestata (da parte di G.A. in qualità di committente dei lavori), ma di cui sono censurate le carenze contenutistiche sulla base di un ragionamento logico con cui neppure il difensore si confronta criticamente.

Viene riproposta, invero, la doglianza in merito al mancato versamento in atti di tale documento, senza muovere alcuna argomentazione critica alla dimostrazione probatoria del suo contenuto, supportata con metodica logica e razionale dal confronto tra un teste (l'ispettore del lavoro Donati) che ha riportato di avere visionato il documento di valutazione del rischio predisposto da G.A., rilevandone l'omessa attività di cooperazione e coordinamento prevista dall'art. 25 D.lgs. 81/2008, e la ricostruzione dei fatti fornita dalle due persone offese, indicativa della mancata comunicazione da parte di G.A. al datore di lavoro S.G. dello stato dei luoghi e dell'elevato rischio di incendio, in modo da garantire la redazione da parte di quest'ultimo di un Piano Operativo della Sicurezza (POS) funzionale al tipo di attività da svolgere.
Con motivazione logica e congrua, inoltre, la sentenza impugnata, così come già quella di primo grado, si spende nell'indicare qual è stato il contributo causale dell'omissione attribuita a G.A. rispetto agli eventi lesivi per cui si procede, rimarcando come la mancata predisposizione del documento unico dei rischi abbia evitato il necessario coordinamento finalizzato all'adozione delle misure di prevenzione in relazione allo stato dei luoghi al fine di individuare una diversa tecnica di saldatura o, comunque, un intervento più adeguato per scongiurare l'incendio e prevedere, da parte dell'appaltatore, la fornitura di un trabattello.

4. Inammissibile è, infine, il motivo attinente alla pretesa omessa motivazione in relazione alla cooperazione colposa ex art. 113 cod. pen.
In primis, perché, come si evince, dall'atto di appello nell'interesse del G.A. proposto dall'Avv. Salvatore Staiano, in atti, tale motivo non è stato dedotto in appello, e la giurisprudenza di questa Corte Suprema è pacifica nel ritenere che non possano essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 4, n. 27110 del 15/9/2020, Rossi, Rv. 279958; Sez. 5, n. 25814 del 23/4/2013, Graziali Gauthier, Rv. 255577; conf. Sez. 2, n. 22362 del 19/4/2013, Di Domenica, Rv. 255940; Sez. 1, n. 2176 del 20/12/1993 dep. il 1994, Etzi e altro, Rv. 196414). E in altra pronuncia, condivisibilmente, è stato ritenuto inammissibile il motivo di impugnazione con cui venga dedotta una violazione di legge che non sia stata eccepita nemmeno con l'c1tto di appello, non avendo l'intervenuta trattazione della questione da parte del giudice di secondo grado efficacia sanante "ex post" (Sez. 3, n. 21920 del 16/5/2012, Hajmohamed, Rv. 252773).

Pacifico invero che il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall'art. 609 cod. proc. pen., comma 1, il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enuclearle dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi - contrassegnati dall'inderogabile "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" che sorreggono ogni atto d'impugnazione (art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), e art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) - sono funzionali alla delimitazione dell'oggetto della decisione impugnata ed all'indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.
La disposizione in esame deve poi essere letta in correlazione con quella dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 3 nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale. (cfr. sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, Rv. 256631).
Diversamente opinando, del resto, diverrebbe estremamente difficile se non impossibile, per la Corte di Cassazione, mancando un motivo di appello sul punto e, dunque, una doglianza ritualmente sollevata, procedere a verificare anzitutto i termini esatti della doglianza stessa e, conseguentemente, la congruenza della relativa risposta della Corte;
Inoltre, priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto appare la motivazione della Corte territoriale sulla reciproca consapevolezza da parte degli imputati sulla convergenza delle rispettive omissioni della disciplina antinfortunistica sul verificarsi dell'evento, estrinsecatasi nell'avere redatto G.A. un documento di valutazione del rischio che ha omesso ogni attività di cooperazione e di coordina­ mento in relazione ai lavori da svolgersi presso la propria azienda, omettendo di dare comunicazione sullo stato dei luoghi e sul rischio di incendi, e nell'avere trascurato ogni verifica al riguardo da parte di S.G., quale titolare della società tenuta all'esecuzione dei lavori, tanto da sottolinearsi come quest'ultimo "abbia accettato di fatto le modalità esecutive stabilite dal committente" in violazione delle norme precauzionali a tutela dei lavoratori.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determin·azione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Me.F.

Francesco, il cui difensore ha discusso all'odierna udienza pubblica, liquidate come in dispositivo.
Quanto alle spese con riferimento alla parte civile B.A., il cui difensore non è comparso all'odierna udienza, ma ha fatto pervenire via pec esclusiva­ mente conclusioni scritte e nota spese, ritiene il Collegio che le stesse vadano compensate, in quanto attraverso le mere conclusioni fatte, per venire via pec non pare essere stata svolta, nella loro stringatezza, un'attività utilmente diretta a contrastare l'avversa pretesa (cfr. ex multis Sez. 4, n. 36535 del 15/9/2021, A. Rv. 281923) .
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle am­ mende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Me.F. che liquida in euro 3000,00 , oltre accessori come per legge. Compensa le spese tra le parti con riferimento alla parte civile B.A. .
Così deciso in Roma il 28 settembre 2022