Cassazione Penale, Sez. 1, 17 ottobre 2022, n. 39091 - Funivia del Mottarone: rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e omicidio colposo plurimo. Annullata l'ordinanza del riesame che aveva disposto i domiciliari


 

Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: CAPPUCCIO DANIELE
Data Udienza: 15/04/2022
 

 

Fatto




1. Con ordinanza del 29 settembre 2021 il Tribunale del riesame di Torino, in riforma di quella emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verbania il 29 maggio 2021, ha applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di L.N. ed E.P., indagati per il reato aggravato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e per omicidio colposo plurimo.

2. Il procedimento nell'ambito del quale è stata emesso il menzionato provvedimento è scaturito dai tragici fatti di domenica 23 maggio 2021, giorno in cui una delle cabine della funivia che collega Stresa al Mottarone, nel percorrere il segmento conclusivo dell'ascesa, invertì improvvisamente il senso di marcia e, procedendo a velocità via via più elevata, si diresse verso l'ultimo pilone della tratta, per poi sganciarsi dal cavo portante e precipitare verso valle e impattare violentemente con il terreno sottostante.
Dei quindici passeggeri che occupavano la cabina, tredici decedettero all'istante, mentre uno dei superstiti, entrambi minorenni, portato in ospedale con gravissime lesioni, spirò nella serata dello stesso giorno, a differenza dell'altro che, pur avendo riportato plurime fratture, venne sottoposto a intervento chirurgico e sopravvisse.
Dalle indagini subito promosse per accertare le cause del gravissimo incidente emerse che esso aveva trovato origine nella rottura del cavo traente e nell'omessa attivazione del freno di emergenza, posto sul carrello, che avrebbe dovuto arrestare la corsa, essendo la cabina rimasta agganciata al solo cavo portante.
Il sistema frenante, si appurò di lì a poco, non era entrato in funzione - come previsto nel caso di allentamento del cavo traente superiore a una determinata soglia - in ragione dell'inserimento di uno strumento, gergalmente indicato come "forchettone", che, se non rimosso, inibisce la chiusura delle ganasce e, quindi, l'entrata in funzione del freno e che, stando a elementari regole precauzionali, può essere utilizzato soltanto a cabina vuota, per corse di prova o di fine servizio o di manutenzione.

3. L'ipotesi investigativa sottesa al provvedimento del Tribunale del riesame muove dal postulato che G.T., dipendente della Ferrovie del Mottarone s.r.l., che gestisce l'impianto, con mansioni di capo servizio e coordinatore del personale, preso atto delle frequenti anomalie nel funzionamento di quella cabina e, in particolare, del sistema frenante, intensificatesi nel periodo più recente e manifestatesi anche la mattina del 23 maggio 2021, si sia determinato, in ossequio alla prassi invalsa nell'ultimo mese, nel senso di non rimuovere il "forchettone", sì da consentire l'apertura al pubblico dell'impianto.
Tanto, a dire di G.T., con l'esplicito avallo di L.N., socio unico e legale rappresentante della Ferrovie del Mottarone s.r.l., e dell'ing. E.P., direttore di esercizio dell'impianto e, al contempo, dipendente della Leitner s.p.a., che, tra il 2014 ed il 2016, aveva eseguito la ristrutturazione dell'impianto ed era contrattualmente incaricata della manutenzione, i quali avevano con lui condiviso la decisione di inserire i ceppi di blocco, con conseguente disattivazione del sistema frenante d'emergenza, e gli avevano, specificamente, rappresentato la necessità di non interrompere, con intuibili pregiudizi di natura economica, il funzionamento della funivia, ciò che sarebbe accaduto qualora fosse stato effettuato un più ampio e radicale intervento manutentivo.
Disposto, da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania, il fermo di G.T., L.N. e E.P., il Giudice per le indagini preliminari, in esito all'udienza di convalida, ha ritenuto la sussistenza del prescritto quadro di gravità indiziaria a carico del primo ma non anche degli altri e ha rigettato pertanto, quanto alla loro posizione, la richiesta di applicazione di misura cautelare.
In tale ottica, ha stimato l'inattendibilità della chiamata in correità di G.T., non confermata dalle dichiarazioni degli altri dipendenti, inquinata dall'interesse del capo servizio all'estensione della responsabilità ai coindagati e poco credibile già sul piano logico.

4. Il Tribunale del riesame, adito dalla pubblica accusa, ne ha mutuato le ragioni e ha applicato a L.N. e E.P., sul presupposto della ricorrenza di gravi indizi di colpevolezza, in ordine ai reati di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro aggravata e di omicidio colposo plurimo, e di esigenze cautelari di natura special preventiva, la misura cautelare degli arresti domiciliari.
Preliminarmente, ha disatteso l'eccezione d'inammissibilità dell'appello del pubblico ministero sul rilievo, connaturato alla natura e ai limiti dell'appello cautelare, dell'esistenza, nelle argomentazioni utilizzate a sostegno della impugnazione, di una censura in fatto e in diritto del provvedimento gravato, integrata, in primo luogo, da una opposta valutazione dell'attendibilità dell'apporto di G.T..

Subito dopo, ha confermato la ritualità della produzione documentale del pubblico ministero e ha ribadito le ragioni che lo hanno indotto, in sede di udienza camerale, a non acquisire la memoria esibita da L.N. e, in parte, quella allegata da E.P..
Quanto al merito, ha, innanzitutto, dato atto della normativa di settore, sì da delineare gli ambiti dei poteri e le connesse responsabilità del titolare dell'azienda esercente, del direttore di esercizio e del capo servizio, per poi analizzare, riportandone ampi stralci, il contributo reso, in più occasioni, da G.T., del quale ha positivamente apprezzato l'attitudine accusatoria nei confronti degli appellati, che, essendo stati informati delle persistenti anomalie al sistema frenante e della loro incidenza sul regolare espletamento del servizio, avrebbero concordemente manifestato, senza esorbitare dai rispettivi ruoli, la volontà di proseguire l'attività in costanza di disattivazione dell'impianto di emergenza.
Il Tribunale del riesame ha, sotto altro aspetto, ritenuto che le accuse di G.T. avessero trovato sufficienti riscontri esterni nelle dichiarazioni degli altri lavoratori escussi - R.S., B.S., T.P., C.F., O.M. e R.S. (quest'ultimo non più dipendente della società Ferrovie del Mottarone, perché andato in pensione nel settembre 2020) - complessivamente attestanti, da un canto, che la routine aziendale prevedeva
che G.T., verificata l'esistenza di un problema, ne portasse a conoscenza L.N. e E.P. e, dall'altro, che il proprietario e il direttore di esercizio, in passato e anche con specifico riferimento al più recente malfunzionamento del sistema frenante (in questo senso depongono, in particolare, le dichiarazioni rese da C.F. il 28 maggio 2021), avevano sollecitato G.T. a privilegiare la continuità nello svolgimento del servizio rispetto alle esigenze di sicurezza e a rinviare, dunque, il necessario intervento di manutenzione al periodo di chiusura stagionale o, per le riparazioni più rapide, ai giorni in cui le sfavorevoli condizioni metereologiche avrebbero attutito l'impatto economico del fermo.
I giudici hanno stimato - in disaccordo, quanto a quelle di C.F. e R.S., con il Giudice per le indagini preliminari - l'utilizzabilità delle dichiarazioni dei menzionati lavoratori i quali, all'atto della rispettiva assunzione a sommarie informazioni testimoniali, non erano raggiunti da indizi tali da mutarne la veste processuale.
Sul punto, hanno aggiunto che, qualora pure si muovesse dall'assunto della diretta e personale partecipazione dei lavoratori alla condotta illecita, la posizione subordinata da loro rivestita in ambito aziendale giustificava, comunque, l'applicazione della scriminante ex art. 51 cod. pen., pur al cospetto di un ordine illegittimo, dovendosi avere riguardo, precipuamente, alle superiori conoscenze, esperienze e responsabilità di G.T., che aveva impartito l'ordine.
La precedente considerazione è riferita sia alla materiale apposizione del "forchettone" che all'irregolare e incompleta tenuta dei registri nei quali, in vista dei controlli cui, per legge, è deputato l'USTIF (organo periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), ogni anomalia avrebbe dovuto essere fedelmente e tempestivamente annotata e descritta.
Il Tribunale del riesame ha indicato, quali ulteriori elementi di conferma della attendibilità di G.T., l'apporto di M.D., tecnico dell'impresa deputata, per conto della Leitner, a intervenire in caso di malfunzionamenti e, soprattutto, quello di G.S.C..
Costui, dipendente della Ferrovie del Mottarone s.r.l. da dicembre 2017 a luglio 2019, ha riferito, tra l'altro, che la cabina 3 (quella, cioè, la cui caduta cagionò la tragedia del 23 maggio 2021) già nel 2019 era stata interessata da reiterati malfunzionamenti, che lo avevano indotto a segnalare, senza successo, a G.T., L.N. e E.P. l'assenza delle condizioni minime di sicurezza.
Il Tribunale ha tratto argomento anche dalle registrazioni consegnate da G.S.C., relative a colloqui degli indagati con G.S.C. e G.T. tra gli altri, attestanti l'atteggiamento degli stessi indagati i quali, a fronte delle sue reiterate e vibranti rimostranze, avevano assunto una posizione di minimizzazione dei problemi e di totale chiusura nei confronti del lavoratore che, spalleggiato da altri colleghi, rappresentava la necessità di immediati interventi volti a porre rimedio a condizioni altamente pericolose, determinate, anche in quel caso, dall'inserimento dei ceppi di disabilitazione del sistema frenante.
Per quanto concerne le obiezioni mosse da E.P. in ordine alla qualificazione giuridica della condotta ascrittagli al capo A), il Tribunale del riesame ha ravvisato nella condotta degli indagati la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi, sul piano sia materiale che psicologico, del delitto sanzionato dall'art. 437 cod. pen., aggravato dalla verificazione di un disastro, oltre che di quello di omicidio colposo plurimo.
In questa prospettiva, ha reputato che E.P., G.T. e L.N., tutti titolari di posizione di garanzia originaria, avessero arrecato contributi sussumibili nell'ambito applicativo dell'art. 113 cod. pen., indugiando in comportamenti influenzati dall'obiettivo di massimizzare il profitto, comune sia alla società Ferrovie del Mottarone, interessata ad evitare la chiusura della funivia al pubblico, che alla società Leitner, doppiamente coinvolta in quanto creditrice della società gestita da L.N. e parte di un contratto di manutenzione che, contemplando un canone à forfait, cioè indipendente dal numero e dalla frequenza degli interventi, ne rendeva più conveniente la rarefazione.

I giudici dell'appello cautelare hanno, poi, ritenuto la sussistenza, nei confronti di entrambi gli indagati, di pregnanti esigenze di tutela sociale.
A tal, fine, hanno messo in evidenza:
- l'assoluta gravità dei comportamenti illeciti, perpetrati con modalità specifiche e reiterate, atti a mettere in pericolo l'incolumità pubblica e tali da determinare un disastro che ha cagionato la tragica perdita di vite umane;
- l'emersione di una gestione della sicurezza, in quel determinato ambito aziendale, la cui disinvoltura aveva attinto vari episodi e incombenti, come attestato, tra l'altro, dalla inaffidabile tenuta dei registri e dal fatto che, dopo i due ultimi interventi dell'impresa incaricata della manutenzione, E.P. non aveva reputato necessario portarsi in loco per verificare di persona lo stato dell'impianto;
- la peculiarità della posizione di E.P., il quale cumulava i ruoli, in potenziale reciproco conflitto di interessi, di direttore di esercizio e dipendente della Leitner s.p.a., annotata, nell'ordinanza, come dato «sintomatico di particolare inaffidabilità che riflette una disponibilità dello stesso ad operare in una situazione di deliberata promiscuità»;
- l'atteggiamento processuale di E.P., privo di scrupoli nel negare la reale portata astratta e concreta dei propri doveri e mostratosi, dunque, incapace di percepire il disvalore delle proprie condotte, ivi compresa l'irregolare compilazione dei registri.

In questo contesto, il Tribunale del riesame ha reputato l'irrilevanza della sospensione nei confronti di E.P., in via cautelativa e fino a nuova comunicazione, del patentino di idoneità, avvenuta in forza di provvedimento amministrativo, in ipotesi revocabile, peraltro non impeditivo dello svolgimento, presso la società Leitner, di altra attività né preclusivo, sotto il concorrente aspetto dell'inquinamento probatorio, della sua eventuale interferenza sul personale dell'USTIF, che, con ogni probabilità, potrebbe essere chiamato a rendere dichiarazioni di interesse processuale sulla vicenda.
Con specifico riferimento alla posizione di L.N., il Tribunale del riesame ha osservato che il suo coinvolgimento, anche tramite il figlio, in altre realtà imprenditoriali e la spregiudicatezza e superficialità dimostrate nell'accostarsi al tema della sicurezza, che ha posposto al profitto, ne comprovano la propensione a delinquere, da arginare mediante l'adozione di idonea misura di contenimento.
A quest'ultimo proposito, e con riferimento a entrambi gli indagati, ha rilevato che, a dispetto della loro formale incensuratezza, il rischio di recidiva è talmente intenso da imporre l'adozione della misura degli arresti domiciliari, assistita dal divieto di contatti con persone diverse da quelle conviventi, dovendosi presumere che, in caso di sottoposizione a misura non detentiva, L.N. e E.P. approfitterebbero della residua libertà di movimento per occuparsi, ancorché mediatamente, dei loro affari con le stesse modalità, reiterando illeciti della medesima natura.

5. L.N. propone, con l'assistenza dell'avv. Pasquale Pantano, ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, che saranno enunciati, secondo quanto previsto dall'art. 173, comma 1, cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
5.1. Con il primo motivo, denuncia violazione della legge processuale e vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame indebitamente disatteso la richiesta di acquisizione della memoria esibita all'udienza, ex art. 310 cod. proc. pen., del 28 settembre 2021.
Rileva, al riguardo, di avere avuto cognizione del deposito, eseguito dal pubblico ministero il 24 settembre 2021, degli esiti di copiosa attività integrativa di indagine solo nella tarda mattinata di sabato 25 settembre 2021, soltanto tre giorni prima dell'udienza camerale del 28 settembre 2021, con conseguente impossibilità di rispettare il termine di cinque giorni stabilito dall'art. 127, comma 2, cod. proc. pen..
Aggiunge che, tra gli atti di cui la pubblica accusa aveva indicato il deposito, vi era un CD, contenente la registrazione consegnata da G.S.C., che era, in realtà, mancante e che è stato, di fatto, allegato solo all'udienza del 28 settembre 2021.
Eccepisce che, dopo avere fruito del differimento, ad horas e, quindi, al giorno successivo, richiesto allo scopo di esaminare le più recenti produzioni e controdedurre, ha predisposto una memoria che il Tribunale del riesame ha, nondimeno, stimato tardiva in forza di un'errata interpretazione della normativa vigente.
Ciò, tanto più in ragione del fatto che il collegio ha inteso stigmatizzare, con il rigetto della richiesta di acquisizione del documento, l'omessa suddivisione in paragrafi o capitoli che consentissero di individuare con sufficiente precisione la parte dedicata alle acquisizioni investigative sopravvenute rispetto alla proposizione dell'appello, e ha rinunciato a garantire il pieno contraddittorio attraverso il differimento dell'udienza in termini tali da assicurare il decorso del termine di cinque giorni previsto dall'art. 127, comma 2, cod. proc. pen., ovvero, alternativamente, l'acquisizione e la valutazione dell'atto difensivo.
5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge per averlo il Tribunale del riesame qualificato come titolare di posizione di garanzia originaria rispetto alla sicurezza nell'esercizio del trasporto pubblico effettuato dalla società Funivie del Mottarone in violazione della normativa di settore - in specie: del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753; del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 18 febbraio 2011; dell'allegato tecnico al decreto dirigenziale dell'11 maggio 2017 - che, in termini generali, assegna al datore di lavoro l'onere di verificare che il personale dipendente rispetti le leggi vigenti ma che, con precipuo riferimento a quelle in materia di sicurezza di trasporti, gli impone soltanto di garantire la presenza di un direttore di esercizio e di mettere a sua disposizione i mezzi economici e gli spazi necessari al mantenimento in sicurezza dell'impianto.
Sottolinea, tra l'altro, che egli, per espressa volontà del legislatore - preoccupato di evitare conflitti tra l'interesse alla profittevole conduzione dell'impresa e quello alla sicurezza dei trasporti e del lavoro - non aveva voce in capitolo rispetto alle decisioni autonomamente assunte dal capo servizio e dal direttore di esercizio, titolari di poteri decisionali autonomi ed esclusivi, e non era, quindi, gravato dall'obbligo di impedire l'evento.
Aggiunge di avere, piuttosto, compiuto tutte le attività, di sua competenza, funzionali alla sicura ed efficiente gestione dell'impianto, che non comprendevano, però, le questioni attinenti alla manutenzione, rimesse alle figure tecniche che il legislatore individua quali unici soggetti preposti a garantire la sicurezza.
5.3. Con il terzo motivo, L.N. eccepisce vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame ritenuto la sussistenza, a suo carico, di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati oggetto di addebito provvisorio sulla base di un percorso argomentativo manifestamente illogico e contraddittorio, imperniato, oltre che sulla fallace attribuzione di una inesistente posizione di garanzia, su presupposti non correttamente delineati, relativi, rispettivamente, al movente economico che avrebbe guidato i suoi comportamenti e all'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese da G.T..
In ordine al primo aspetto, ascrive, tra l'altro, ai giudici del riesame di essersi adagiati - stante la carenza di precise informazioni sull'entità del malfunzionamento e su tempi e modalità dell'intervento necessario a porvi rimedio - su mere illazioni senza considerare che egli, ove fosse stato effettivamente messo al corrente del problema tecnico, avrebbe avuto agio a provocare l'intervento della società Leitner, con la quale aveva sottoscritto un contratto che prevedeva la corresponsione di un compenso à forfait e, quindi, indipendente dal numero e dall'entità degli interventi, né che, essendosi manifestato il problema in periodo di chiusura o di bassa stagione, il fermo dell'impianto avrebbe provocato minime ricadute sul piano economico.
In ordine alla chiamata in correità di G.T., il ricorrente si duole della parziale e incompleta valutazione operata dai giudici della cautela, che hanno omesso di considerare l'incostanza e l'imprecisione del narrato del coindagato, compiutamente apprezzabile grazie alla lettura della trascrizione integrale dei verbali e all'esame della stessa documentazione esibita, alla vigilia dell'udienza tenuta ex art. 310 cod. proc. pen., dal Pubblico ministero (in specie, del colloquio, intercorso il 28 maggio 2019 tra G.T. e G.S.C., in occasione del quale il primo avrebbe asserito a chiare lettere di avere il potere di fermare l'impianto in caso di assenza delle prescritte condizioni di sicurezza).
Deduce, altresì, che la chiamata di G.T. non ha trovato riscontro, diversamente da quanto esposto dal Tribunale del riesame, nelle dichiarazioni degli altri dipendenti, a tal fine non potendosi valorizzare oltremodo il contributo del teste C.F., incostante e frutto di personali supposizioni.
5.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge, anche sub specie di assenza di motivazione, per avere il Tribunale del riesame qualificato il fatto ai sensi dell'art. 437 cod. pen. sul postulato, apoditticamente rappresentato, che il sistema frenante della cabina costituisca presidio strumentale a garantire la sicurezza dei lavoratori della società Ferrovie del Mottarone.
Nota, in proposito, che l'astratta configurabilità del reato è esclusa già dal fatto che la presenza dei lavoratori a bordo delle cabine facenti parte dell'impianto non era obbligatoria, onde è del tutto improprio assimilare la cura della funzionalità del sistema frenante a una cautela antinfortunistica ex art. 437 cod. pen..
5.5. Con il quinto motivo, L.N. lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame rinvenuto la sussistenza di esigenze cautelari tanto pregnanti da imporre l'applicazione della misura degli arresti domiciliari senza profondere il dovuto impegno motivatorio, specie in ordine alla concretezza e all'attualità del pericolo di recidiva, né tenere conto, oltre che della pregressa condizione di incensuratezza, delle sue sopravvenute dimissioni dalla carica di amministratore della società che gestisce altro impianto aperto al pubblico.

6. E.P. propone, con l'assistenza dell'avv. Andrea Da Prato, ricorso per cassazione affidato a nove motivi, che saranno enunciati, secondo quanto previsto dall'art. 173, comma 1, cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
6.1. Con il primo motivo, denuncia violazione della legge processuale per avere il Tribunale del riesame disatteso la formulata eccezione di inammissibilità dell'appello del Pubblico ministero per genericità dei motivi, in spregio, da un canto, del diritto al contraddittorio e trascurando, dall'altro, l'evidenziata carenza di specificità dell'impugnazione proposta dalla pubblica accusa che, nell'avallare una ricostruzione opposta, in fatto e diritto, rispetto a quella prospettata dal Giudice per le indagini preliminari, avrebbe, nondimeno, omesso di indicare i profili critici della decisione impugnata.
6.2. Con il secondo motivo, eccepisce violazione della legge processuale per avere il Tribunale del riesame ritenuto l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese, senza le garanzie di legge, da soggetti che erano, in quel momento, raggiunti da indizi di colpevolezza in ordine ai reati ipotizzati e nei cui confronti non avrebbe potuto essere riconosciuta la causa di giustificazione dell'adempimento del dovere.
Al riguardo, rileva, in primis:
- che G.T. ha reso, alle ore 14,30 del 25 maggio 2021, dichiarazioni che, per il tangibile contenuto autoindiziante, avrebbero imposto, in ragione delle pregresse acquisizioni investigative, l'immediata interruzione dell'escussione a sommarie informazioni testimoniali, che è invece proseguita, sì da rendere inutilizzabile l'intero portato dichiarativo;
- che il successivo interrogatorio reso dallo stesso G.T., stavolta alla presenza del difensore, alle ore 20,45 dello stesso giorno, è parimenti inficiato dal vizio sopra indicato, essendo state in quella sede riversate, con la tecnica del copia-incolla, le dichiarazioni illegittimamente acquisite poche ore prima;
- che analoghi rilievi attengono agli apporti di T.P., R.S. e C.F., tutti latori di dichiarazioni che, rilasciate nel corso di sommarie informazioni testimoniali, ne avevano messo in luce, sulla scorta di quanto, in quei frangenti, già emerso, il potenziale coinvolgimento nelle adombrate fattispecie criminose, ciò che avrebbe dovuto indurre l'interruzione delle rispettive audizioni, con conseguente riconoscimento di tutte le garanzie difensive.
Aggiunge, con precipuo riferimento alla posizione di G.T., che l'acquisizione del suo contributo è avvenuta in violazione delle prerogative difensive, come attestato dall'anomala protrazione dell'incombente; dall'assenza di fono o video registrazione; dalla partecipazione del difensore di ufficio, anziché di quello di fiducia che, dopo essere stato nominato, aveva rinunziato all'incarico. Dopo avere denunziato - in termini di inopportunità, se non addirittura di illegittimità - la scelta del Tribunale del riesame di rispondere alle obiezioni sollevate con la memoria depositata all'udienza nella motivazione del provvedimento ex art. 310 cod. proc. pen., invece che con ordinanza resa a verbale prima di raccogliere le conclusioni delle parti sul merito dell'impugnazione proposta dal Pubblico ministero, il ricorrente taccia di manifesta illogicità la distinta affermazione del Tribunale del riesame, secondo cui le condotte dei lavoratori, posti in posizione subordinata rispetto a G.T., sarebbero, comunque, coperte - a dispetto del diritto/dovere di ciascuno di loro di sottoporre a controllo la conformità dell'istruzione ricevuta ai parametri normativi e, se del caso, di rifiutarne l'esecuzione - dalla scriminante prevista dall'art. 51 cod. pen., in quanto tenute in esecuzione di un ordine, sia pure illegittimo.
6.3. Con il terzo motivo, E.P. lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per essere il Tribunale del riesame incorso in plurime violazioni del diritto di difesa, conseguenti, tra l'altro, all'introduzione, da parte del Pubblico ministero appellante, degli esiti di ulteriori acquisizioni investigative, cui non ha fatto pendant il pieno dispiegamento del diritto al contraddittorio.
Il ricorrente ripercorre l'intero sviluppo del procedimento, segnato da un fermo, a suo modo di vedere disposto in assenza delle condizioni di legge, cui hanno fatto seguito il rigetto della richiesta di applicazione di misura cautelare e, quindi, l'appello del Pubblico ministero, con una cadenza che ha determinato, soprattutto in conseguenza della produzione, a ridosso dell'udienza, di importanti nova istruttori, per lo più formati mesi prima, un significativo vulnus alle prerogative difensive.
L'analitico excursus sviluppato con il terzo motivo fornisce al ricorrente il destro per eccepire, con il quarto, la violazione di legge e il vizio di motivazione sottesi alla scelta del Tribunale del riesame di dichiarare l'inammissibilità, per tardività, della memoria esibita all'udienza del 28 settembre 2022, e quindi, il giorno seguente, di acquisire la sola parte vertente sulla produzione integrativa effettuata dal Pubblico ministero con riferimento alla quale, peraltro, è stata sollevata un'eccezione di inammissibilità che ha trovato risposta solo con l'ordinanza di accoglimento dell'appello del Pubblico ministero.
6.4. Con il quinto motivo, E.P. deduce violazione della legge processuale per avere il Tribunale del riesame verbalizzato l'attività di udienza in forma riassuntiva e senza disporre servizio di fonoregistrazione, in tal modo provocando franco pregiudizio all'esercizio del diritto di difesa.
6.5. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame ritenuto la sussistenza, a suo carico, di gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto sanzionato dall'art. 437 cod. pen. attribuendo decisiva rilevanza alla sua qualifica di direttore di esercizio e alla connessa, supposta posizione di garanzia e, dunque, costruendo il reato come omissivo proprio anziché comune, e mancando di considerare che la norma incriminatrice evocata è posta, specificamente, a tutela dei lavoratori e non degli utenti del servizio.
Per tale via, sottolinea, la valutazione del compendio indiziario è stata operata senza la previa, necessaria delimitazione del tema di indagine e dell'essenza della contestazione cautelare, ovvero in termini di palese e insuperabile astrattezza.
La medesima obiezione si impone, nota il ricorrente, in relazione all'addebito colposo, che trae linfa esclusivamente dall'ipotetico e indimostrato avallo che egli avrebbe offerto alla scellerata iniziativa di G.T..
6.6. Il settimo motivo di ricorso - articolato ancora in termini di violazione di legge - concerne l'esegesi della normativa di settore che, rettamente interpretata, è chiara nell'assegnare al direttore di esercizio la facoltà di sospendere il servizio nelle sole ipotesi in cui capo servizio, dopo avere effettuato la pertinente segnalazione, non vi abbia provveduto.
Resta così acclarato il mendacio di G.T. nella parte in cui gli addebita una responsabilità di posizione in merito a iniziative che, invece, rientrano nell'esclusiva competenza del personale operativo.
6.7. Con l'ottavo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame formulato, sul piano cautelare, una prognosi di recidiva che si impernia sui rapporti tra la società che gestisce l'impianto del Mottarone e la società Leitner, titolare del contratto di manutenzione, adombrandosi un conflitto di interessi non più attuale e l'interferenza, del tutto ipotetica, con le autorità pubbliche deputate ai controlli, nonché ponendo attenzione alle modalità di tenuta dei registri, dalle quali possono discendere, al più, illeciti di natura amministrativa.
6.8. Con il nono e ultimo motivo, il ricorrente lamenta, in chiave di violazione della legge processuale e vizio di motivazione, che la prova del pericolo di reiterazione del reato sia stata affidata ad argomenti evanescenti e privi di concretezza e che, in quest'ottica, sia stato, invece, trascurato il suo contegno di immediata e totale disponibilità alla collaborazione con gli investigatori e la pertinenza e completezza delle dichiarazioni da lui rese al Giudice per le indagini preliminari in occasione dell'interrogatorio seguito al fermo di indiziato di delitto, di tal fatta giungendosi all'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari senza un'adeguata verifica critica, eseguita alla luce dei criteri di concretezza, attualità e proporzionalità che governano la materia.

7. L'l 1 aprile 2022 L.N. ha deposito la trascrizione dei verbali di interrogatorio resi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania nel febbraio 2022 dallo stesso L.N. e da F.S..
 

 

Diritto



1. L'ordinanza impugnata va annullata, nei confronti di L.N., in ragione della sussistenza del vizio integrato dall'omessa acquisizione della memoria esibita all'udienza camerale ex art. 310 cod. proc. pen., che assorbe ogni altra contestazione in punto di gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari, nonché, in relazione alla posizione di E.P., limitatamente alla scelta della misura cautelare, essendo, invece, passibili di rigetto tutte le residue doglianze.

2. Partendo dall'esame del ricorso di L.N., va dichiarata, in primo luogo, l'inammissibilità della produzione effettuata a ridosso dell'odierna udienza, avente a oggetto atti di indagine formati dopo la proposizione del ricorso per cassazione, secondo quanto da tempo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ferma nel sancire che, «in tema di impugnazioni cautelari, eventuali elementi sopravvenuti al momento della chiusura della discussione dinanzi al tribunale del riesame non assumono alcun rilievo nel successivo giudizio di legittimità, potendo essere fatti valere soltanto con una nuova richiesta di revoca o di modifica della misura cautelare al giudice competente» (Sez. 3, n. 23151 del 24/01/2019, Zamparini, Rv. 275982; Sez. 2, n. 8460 del 14/02/2013, Di Puorto, Rv. 255308; Sez. 6, n. 39871 del 12/07/2013, Notarianni, Rv. 256445).

3. L'esame della questione processuale sopra indicata e posta a fondamento del primo motivo di ricorso richiede un preliminare cenno alla successione degli accadimenti processuali.
Con atto dell'8 giugno 2021, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania ha impugnato, ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen., l'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari il 29 maggio 2021.
Fissata l'udienza camerale, innanzi al Tribunale del riesame di Torino, per il 28 settembre 2021, il Pubblico ministero ha depositato, il 24 settembre 2021, documentazione relativa ad attività istruttoria svolta nel periodo successivo all'adozione del provvedimento impugnato, costituita dai verbali relativi alle sommarie informazioni testimoniali rese da C.F., O.M. e T.P. il 23 settembre 2021, e da G.S.C. il 7 giugno 2021; dalle conversazioni, con relativa trascrizione, registrate da G.S.C. nel 2019; dalle copie del registro giornale e delle prove giornaliere, settimanali e mensili della Ferrovie del Mottarone s.r.l., riferite al maggio 2019 e al periodo ottobre 2020-maggio 2021.

Detta produzione va ritenuta senz'altro ammissibile, in ossequio alla lezione ermeneutica delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che, con sentenza n. 18339 del 31/03/2004, Donelli, Rv. 227357, hanno affermato che, «nel procedimento conseguente all'appello proposto dal P.M. contro l'ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare personale, è legittima la produzione di documentazione relativa ad elementi probatori "nuovi", preesistenti o sopravvenuti, sempre che, nell'ambito dei confini segnati dal "devolutum", quelli prodotti dal P.M. riguardino lo stesso fatto contestato con l'originaria richiesta cautelare e in ordine ad essi sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti, anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa, e quelli prodotti dall'indagato, acquisiti anche all'esito di investigazioni difensive, siano idonei a contrastare i motivi di gravame del P.M. ovvero a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta».
Il richiamato principio è stato, peraltro, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, attenta nel sottolineare, tra l'altro, l'imprescindibilità del pieno dispiegamento, nel procedimento camerale, del contraddittorio, la cui violazione è sanzionata, in via generale, dall'art. 178, comma 1, cod. proc. pen. (in questo senso, è utile citare, tra le altre, Sez. 5, n. 17970 del 07/02/2020, Giacobbi, Rv. 279398; Sez. 2, n. 30313 del 11/05/2017, Amicone, Rv. 270700; Sez. 5, n. 42847 del 10/06/2014, Ambrus, Rv. 261244).
Nel caso in esame, gli indagati, venuti a conoscenza del deposito dei nova istruttori il 25 settembre 2021, cioè a immediato ridosso dell'udienza camerale, fissata a distanza di soli tre giorni, hanno esercitato il diritto al contraddittorio mediante la confezione di memorie, delle quali hanno chiesto l'acquisizione.
Il Tribunale del riesame, muovendo dal dato sancito dall'art. 127, comma 2, cod. proc. pen. - che, pacificamente, regola il deposito di memorie nel procedimento camerale ex art. 310 cod. proc. pen. che, a pena di inammissibilità, deve avvenire entro il termine di cinque giorni prima dell'udienza
- ha stigmatizzato la violazione, da parte degli appellati, del termine di legge dal quale, tuttavia, ha ritenuto potersi prescindere con esclusivo riferimento alle deduzioni direttamente riferite alle più recenti acquisizioni istruttorie.
Ha, pertanto, disposto l'acquisizione della parte della memoria depositata nell'interesse di E.P. afferente alle più recenti iniziative investigative, in quanto facilmente enucleabile nel complessivo contesto dello scritto, e rifiutato, invece, di considerare quella predisposta dalla difesa di L.N. perché non articolata in singoli paragrafi.
Questo il pertinente brano della motivazione del provvedimento impugnato:

«Quanto alla presentazione delle memorie difensive, in difetto del rispetto del termine dei cinque giorni, le stesse devono ritenersi inammissibili ad eccezione delle parti relative, appunto, ai nova, in ossequio al principio del contraddittorio. Il fatto poi che la difesa di E.P. abbia distinto per paragrafi le osservazioni ivi contenute, con indicazione specifica di quelle che attengono ai motivi d'appello rispetto a quelle concernenti l'attività integrativa, consente al Tribunale di considerare la memoria relativamente ai predetti nova, diversamente dalla difesa di L.N. che ha affermato di non aver distinto tali osservazioni chiedendo al Tribunale tale inesigibile operazione che non può che appartenere alla parte. Del resto, la difesa di L.N. ha riservato ampia parte della propria discussione proprio alla confutazione delle produzioni integrative del P.M. con la conseguenza che la produzione di una memoria in udienza, che non contiene e non indica tale distinzione, non può diventare un modo di elusione del predetto termine di produzione delle memorie, posto proprio a presidio del contraddittorio scritto».
Ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato sia affetto, per questa parte, da un duplice profilo di illegittimità.
Da un canto, appare illogica e arbitraria la scissione, dal punto di vista logico e fattuale, tra i rilievi dedicati agli originari motivi di appello e quelli che si appuntano, specificamente, sulle più recenti acquisizioni istruttorie.
Il Pubblico ministero ha inteso sottoporre a revisione critica la decisione del Giudice per le indagini preliminari offrendo, dapprima, una diversa valutazione delle emergenze investigative - e, innanzitutto, delle dichiarazioni accusatorie rese da G.T. nei confronti degli odierni ricorrenti - e arricchendo, successivamente, le contestazioni già formulate attraverso nuovi elementi, incidenti sul medesimo tema devoluto con la presentazione dell'atto di impugnazione.
Le nuove dichiarazioni di C.F., O.M. e T.P., l'apporto di G.S.C., i dialoghi da quest'ultimo intrattenuti, le copie dei registri non possono, pertanto, essere lecitamente separati dalle questioni che attengono, più in generale, alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di L.N. e E.P., tema che, introdotto con l'atto di appello, è stato rivisitato grazie agli elementi sopravvenuti.
Una volta, allora, riconosciuto, come il Tribunale del riesame non manca di fare, che la peculiare tempistica non ha consentito il rispetto del termine stabilito l,, dall'art. 127, comma 2, cod. proc. pen., non vi era plausibile ragione per circoscrivere l'acquisizione alla porzione degli atti difensivi direttamente attinente
ai dati istruttori sopravvenuti la cui rilevanza, si ribadisce, si riverberava, per necessità, sul complesso delle evidenze disponibili.
D'altro canto, e ulteriormente, ha errato il Tribunale del riesame nel negare ingresso alla memoria di L.N. perché redatta in modo tale da rendere indistinguibili le considerazioni afferenti, rispettivamente, agli elementi già considerati con l'atto di appello e a quelli di più recente formazione.
La produzione, da parte del Pubblico ministero, di rilevantissima documentazione (anche di quella relativa ad attività compiute oltre tre mesi prima) a quattro giorni di distanza dall'udienza camerale ex art. 310 cod. proc. pen ., frutto di legittima e insindacabile strategia processuale, ha, infatti, posto gli indagati e le loro difese nella condizione di dovere interloquire ad horas o, comunque, a strettissimo giro, ciò che, ragionevolmente, ha inciso sulle modalità di redazione della memoria.
In questo, del tutto peculiare, contesto, l'indicazione, da parte del Tribunale del riesame, dell'inesigibilità di un'operazione di selezione, a opera dell'organo giudicante, del contenuto dell'atto difensivo si è risolta in una scelta che ha finito con l'incidere, pregiudicandolo, sul diritto al contraddittorio, obiettivamente messo a repentaglio dal consistente e improvviso arricchimento del materiale addotto dalla pubblica accusa a sostegno delle proprie ragioni.
Né, va opportunamente aggiunto, la decisione impugnata si è imposta per la radicale impraticabilità di diverse, e meglio calibrate, soluzioni, quali quelle che, ad esempio, sarebbero discese dalla più ampia modulazione, nell'ambito di un procedimento che non è scandito da termini perentori (sì da consentire il differimento, anche solo di pochi giorni, dell'udienza camerale), degli spazi per il dispiegamento del contraddittorio, ovvero, in alternativa, dal puntuale apprezzamento, in sede di decisione, delle sole parti della memoria effettivamente acquisibili e valutabili.
Ricusando l'acquisizione della memoria di L.N. e, in parte, di quella di E.P., il Tribunale del riesame è, dunque, incorso in una nullità di ordine generale, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., secondo quanto riconosciuto, in passato, dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 31245 del 07/07/2009, Pascali, Rv. 244321), perché ha impedito all'imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-reato, così determinando la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell'imputato stesso e la violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie.
L'ipotesi, che qui viene in rilievo, d'illegittima omessa acquisizione di atto difensivo deve essere distinta da quella della sua omessa valutazione (che presuppone, ovviamente, l'avvenuta acquisizione), che, lungi dal determinare, di per sé, un vulnus alle prerogative difensive, può, piuttosto, influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (così, Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, Mazzaferro, Rv. 271600; Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, Mascara, Rv. 272739).
Nel caso in esame si è, quindi, verificata una nullità concernente l'intervento e l'assistenza dell'indagato che, non rientrando nel catalogo, previsto dall'art. 179 cod. proc. pen., di quelle insanabili, deve intendersi sanata se non eccepita nei termini indicati dall'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., ovvero prima del compimento dell'atto o, se ciò non è possibile, immediatamente dopo.
Dall'esame del verbale di udienza del 29 settembre 2021, consentito al Collegio in virtù della natura processuale del vizio dedotto (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304), emerge che, nell'occasione, il Tribunale del riesame pronunziò, all'esordio dell'udienza, ordinanza con la quale dichiarò l'inammissibilità della memoria difensiva, espressamente riferendosi a quella di E.P., ma con statuizione che investiva certamente anche quella di L.N., come univocamente dimostrato dal fatto che, a fronte delle obiezioni mosse dalla difesa di L.N., il Tribunale si riportò «all'ordinanza già pronunciata».
Subito dopo la lettura del provvedimento, la difesa di L.N. ne eccepì formalmente e reiteratamente la portata lesiva del diritto di difesa, in tal modo deducendone, nella sostanza, la nullità ed evitando il prodursi dell'effetto sanante che, al contrario, deve intendersi verificato con riferimento alla posizione di E.P., rimasto silente sul punto, peraltro a fronte di una decisione che, nei suoi riguardi, aveva disposto la parziale acquisizione dell'atto difensivo.
Il vizio accertato travolge, per le conseguenze che ha provocato sulle prerogative processuali della parte, il provvedimento impugnato, che - assorbite ma non precluse le questioni attinenti a gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari - va , pertanto, annullato con rinvio al Tribunale del riesame di Torino per un nuovo giudizio, libero nell'esito ma emendato dalla ravvisata nullità.

4. Transitando all'esame dei motivi di ricorso articolati da E.P., va, innanzitutto, disattesa l'eccezione d'inammissibilità dell'appello del Pubblico ministero per difetto di specificità.
Se è vero, infatti, che, per giurisprudenza consolidata, «in tema di misure cautelari, i motivi di appello predisposti dal pubblico ministero avverso le decisioni di rigetto non possono limitarsi al semplice richiamo del contenuto della richiesta cautelare ma, per soddisfare i requisiti di specificità previsti a pena di inammissibilità, devono indicare i punti del provvedimento impugnato oggetto di doglianza e gli argomenti di fatto e di diritto addotti a fondamento delle censure» (Sez. 6, n. 46025 del 24/09/2013, Ciciliano, Rv. 257448), non è men vero, per converso, che, nella fattispecie, il Pubblico ministero, come già indicato dal Tribunale del riesame, ha sviluppato, con l'atto di impugnazione, allegato in copia dal ricorrente, ampie considerazioni critiche che, nel proporre una valutazione delle risultanze istruttorie opposta rispetto a quella operata dal Giudice per le indagini preliminari, in primis in ordine al cruciale profilo dell'attendibilità di G.T., ha direttamente rivolto le doglianze ai singoli passaggi dell'ordinanza censurata, che ha riportato e sottoposto a stringente revisione, come è dato apprezzarsi, tra l'altro, dalla lettura dei fogli 14-18, 20, 22, che attesta la manifesta infondatezza della proposta eccezione di inammissibilità.

5. Per quanto attiene alla contestata utilizzabilità delle dichiarazioni rese, in qualità di persone sentite a sommarie informazioni testimoniali, da G.T., R.S., T.P. e C.F., dipendenti della società Ferrovie del Mottarone che, a giudizio del ricorrente, avrebbero dovuto essere, invece, escussi con le garanzie difensive, perché raggiunti da indizi in ordine al coinvolgimento nei reati oggetto di provvisoria contestazione, occorre muovere dal principio, consacrato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243417, per cui «la sanzione di inutilizzabilità "erga omnes" delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall'inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell'interessato siano già acquisiti, prima dell'escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall'autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell'interrogante».
In proposito, il Tribunale del riesame ha rilevato:
- che G.T. ha reso sommarie informazioni testimoniali alle ore 14,30 del 25 maggio 2021, cioè prima che venissero raccolte le dichiarazioni dei dipendenti che, quel giorno, prestavano servizio presso l'impianto e, comunque, le ha confermate, per relationem, nell'interrogatorio reso a seguito dell'interruzione dell'audizione, originata proprio dall'emersione di indizi a suo carico, e dell'immediata iscrizione nel registro degli indagati;
- che C.F. (l'inutilizzabilità delle cui dichiarazioni era stata dichiarata dal Giudice per le indagini preliminari) ha reso dichiarazioni prive, in concreto, di portata autoindiziante;
- che la veste processuale di C.F. non è mutata in conseguenza delle dichiarazioni di R.S. (peraltro formulate in via ipotetica e contraddette da quelle, cronologicamente, precedenti, di G.T.) in merito al concorso di C.F. nella rimozione dei ceppi.
Il ricorrente ha, per contro, obiettato che l'individuazione, nella tarda mattinata del 25 maggio 2021, della installazione, sulla cabina 3, del "forchettone" che inibiva l'entrata in funzione del freno di emergenza, ha orientato il successivo sviluppo delle investigazioni in vista dell'accertamento delle attività svolte dai dipendenti in servizio nella giornata segnata dal tragico evento.
Il rilievo è corretto ma, a ben vedere, non sorregge la formulata eccezione d'inutilizzabilità.
In disparte le infondate doglianze che si appuntano sulle modalità di verbalizzazione delle dichiarazioni di G.T. e degli altri dipendenti - di cui il ricorrente pretende di sindacare l'opportunità, incontestata restando la conformità dell'operato degli investigatori alle vigenti previsioni normative ineccepibile appare la prosecuzione dell'audizione di G.T., iniziata alle ore 14,30, fino a quando, emersi indizi di colpevolezza a suo carico, l'atto istruttorio è stato interrotto per procedere agli adempimenti di legge e lasciare spazio all'interrogatorio, avviato alle ore 20,45 e segnato, oltre che dalla presenza del difensore, dalla reiterazione, per relationem, delle dichiarazioni rese nel corso delle sommarie informazioni testimoniali.
Quanto alla posizione di T.P., va osservato, in replica agli argomenti del ricorrente, che l'audizione dell'agente di vettura, sostanzialmente contestuale a quella di G.T., è avvenuta in un momento in cui nulla, per quanto consta, era specificamente emerso a suo carico, e che le dichiarazioni da lui rese non valgono a fondare «indizi non equivoci di reità», tali da imporre la trasformazione della sua veste processuale.
Analoghe le considerazioni da svolgersi con riferimento al macchinista R.S., pure escusso nel primo pomeriggio del 25 maggio 2021.
Per quanto concerne, poi, C.F. - estraneo al pari dei colleghi, per quanto emerso dalle audizioni del 25 maggio 2021 (ivi compresa quella di R.S., che il Tribunale del riesame vaglia, sotto questo specifico profilo, in modo lineare e coerente), all'apposizione dei "forchettoni", che deve essere, piuttosto, ascritta all'azione di G.T. - deve rilevarsi come egli sia stato autore, nella mattinata del 23 maggio, di attività conforme, per quanto è dato apprezzarsi dagli elementi a quel tempo disponibili (che, va per completezza aggiunto, non risultano essere stati contraddetti nel successivo sviluppo delle indagini), alle mansioni affidategli e non rientrante nella serie causale che provocò lo sganciamento della cabina dal cavo portante.
Prive di qualsivoglia riscontro sono rimaste, vieppiù, le illazioni del ricorrente (cfr. pag. 23-25 dell'atto introduttivo del giudizio di legittimità) in ordine alla riconducibilità dell'assegnazione ai dipendenti della Ferrovie del Mottarone s.r.l. della veste di testimoni anziché di indagati a una precisa strategia dell'organo di accusa che si sarebbe tradotta, in ultimo, nella lesione dei «più elementari diritti di difesa», tanto più grave perché compiuta nell'ambito di un'iniziativa processuale intesa alla privazione della libertà personale.
Né, va aggiunto, può lecitamente discorrersi, con riferimento all'interrogatorio di G.T., di «violazione del diritto costituzionale alla effettiva difesa», che, nella prospettiva difensiva, discenderebbe da circostanze - quali la complessiva durata dell'audizione di G.T., l'assenza di fono o video registrazione, l'intervento di un difensore di ufficio, seguito alla rinunzia di quello nominato da G.T. - in alcun modo evocative di deviazione dall'ortodossia processuale e, tantomeno, di pretermissione delle garanzie dell'indagato, sicché di tangibile gratuità si palesa l'affermazione difensiva (cfr. pag. 26 del ricorso) stando alla quale le prescelte tecniche di indagine avrebbero chiaramente oltrepassato il limite delle procedure, regole e principi codificati.
Del tutto eccentrica è, del pari, la concorrente obiezione rivolta al Tribunale del riesame e riferita all'essere stata l'eccezione di inutilizzabilità disattesa - in forza di una opzione insindacabile e senz'altro legittima - con la decisione con cui è stato definito l'appello e non, come preteso dal ricorrente, con autonoma ordinanza resa, nel contraddittorio camerale, in un frangente anteriore rispetto alla formulazione delle conclusioni delle parti.
Ribadito che, per quanto consta dagli atti disponibili, le audizioni di G.T., R.S., T.P. e C.F. sono state condotte senza alcuna violazione delle regole procedurali, superflua si rivela, infine, la disamina delle considerazioni critiche che il ricorrente articola in relazione all'eventuale applicazione, in favore dei lavoratori subordinati adibiti a funzioni non direttive, della causa di giustificazione prevista dall'art. 51 cod. pen..

6. Il terzo motivo, che impegna le pagg. 31-46 del ricorso, si risolve nell'analitica esposizione dei principali snodi del procedimento, che E.P. rilegge alla luce del filo conduttore costituito dalla enucleazione dell'ambito di cognizione effettivamente riservato al Tribunale del riesame - operazione da compiersi tenendo presente, a suo modo di vedere, il carattere unidirezionale delle indagini e la reiterata restrizione degli spazi destinati all'esercizio delle prerogative difensive - senza, tuttavia, riuscire a far emergere specifici profili di illegittimità del provvedimento impugnato.

7. In merito al quarto motivo, vertente sulla declaratoria d'inammissibilità della memoria difensiva esibita all'udienza ex art. 310 cod. proc. pen., può rinviarsi a quanto sopra esposto in ordine, specificamente, alla ritualità della produzione, da parte del Pubblico ministero appellante, di documentazione inerente ad attività integrativa d'indagine, nonché al riscontro della dedotta nullità generale a regime intermedio, sanata perché non dedotta da E.P. subito dopo la pronunzia dell'ordinanza resa dal collegio torinese all'avvio dell'udienza del 29 settembre 2021.

8. Palesemente generico è il quinto motivo, con il quale E.P. si duole della scelta del Tribunale del riesame di procedere a verbalizzazione riassuntiva, la cui legittimità viene contestata sulla scorta della rappresentazione di circostanze di fatto («le plurime distonie e non lievi differenze, tra quanto effettivamente discusso nel confronto camerale e quanto risultante dai detti verbali, nonché la contraddittorietà delle attività svolte dalle parti, del loro ordine cronologico e logico, della loro maggiore precisione, per come risultanti dal confronto tra l'ordinanza, i verbali e le stesse memorie») meramente enunciate e non supportate da concreti riscontri.

9. Parimenti inammissibile è il sesto motivo.
Erra il ricorrente nel sostenere (cfr. pag. 51) di essere destinatario di una contestazione consistente nell'avere egli, quale direttore di servizio, «materialmente concorso alla rimozione [ ...] del sistema di sicurezza che per comodità indicheremo come forchettone», ovvero nell'avere posto in essere un'attività commissiva, prescindente dalla qualifica soggettiva, ben diversa da quella omissiva che, ai sensi dell'art. 437, primo comma, cod. pen., vede quali destinatari della posizione di garanzia i soli soggetti cui la legislazione antiinfortunistica attribuisce obblighi di prevenzione.
In fatto, è evidente, da un lato, che agli indagati si ascrive di avere dolosamente omesso la rimozione dei "forchettoni", id est di avere compiuto un'attività - naturalisticamente omissiva - cui G.T., L.N. e, per quello che qui più direttamente rileva, E.P., erano tenuti in dipendenza del ruolo svolto in ambito aziendale e della connessa assunzione di posizione di garanzia rispetto agli obblighi antinfortunistici, sicché va confermata, ai fini della provvisoria contestazione cautelare, la qualificazione del reato come proprio, in quanto commesso da soggetti titolari di speciali obblighi di protezione nei confronti del bene tutelato dalla norma incriminatrice.
Conforme ai canoni di chiarezza e precisione a più riprese evocati dal ricorrente - il cui apprezzamento, comunque, risente necessariamente dello stadio embrionale del provvedimento e della fluidità delle emergenze istruttorie - è, allora, la costruzione di un'imputazione che si regge sul postulato secondo cui l'ing. E.P., trovandosi in posizione sovraordinata nella scala gerarchica aziendale e avendo il potere, quale direttore di esercizio, di fornire al personale dipendente indicazioni sugli adempimenti da espletare per garantire la sicurezza dei lavoratori, avrebbe istigato, per ragioni di convenienza economica (in attuazione, cioè, di una nitida strategia aziendale, nella cui cornice si iscrive anche l'omessa annotazione sui registri delle frequenti e reiterate défaiillances nel funzionamento dell'impianto), G.T. a disattivare il sistema frenante d'emergenza e, precipuamente, a omettere la rimozione del ceppo nell'orario di apertura della funivia al pubblico.
Priva di pregio è, del pari, l'obiezione che fa leva sulla destinazione della cautela omessa a preservare l'integrità fisica degli utenti del servizio e non anche dei lavoratori addetti.
Al riguardo, occorre notare che la giurisprudenza di legittimità, chiamata a enucleare le condizioni al cui cospetto è possibile configurare il delitto de quo agitur, ha affermato che, «ai fini della configurabilità dell'ipotesi delittuosa descritta dall'art. 437 cod. pen., è necessario che l'omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l'inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l'attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l'integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all'ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo» (Sez. 1, n. 4890 del 23/01/2018, dep. 2019, Prunas, Rv. 276164; Sez. 1, n. 18168 del 20/01/2016, Antonini, Rv. 266881; Sez. 1, n. 6393 del 02/12/2005, dep. 2006, Strazzarino, Rv. 233826).
Tale indirizzo, che assegna centrale rilevanza al carattere di diffusività del pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro, deve essere preferito a quello, che pure ha trovato eco, ancora in tempi non remoti, presso la Corte di cassazione, che riconosce penale rilevanza anche alle condotte che, attraverso la violazione della normativa prevenzionale, abbiano messo a repentaglio l'incolumità di un singolo lavoratore (Sez. 4, n. 57673 del 24/11/2017, Fenotti, Rv. 271693; Sez. 1, n. 12464 del 21/02/2007, L'Episcopo, Rv. 236431).
Tanto, in ragione, tra l'altro, della dichiarata finalità cautelare e della collocazione sistematica della disposizione, la cui interpretazione deve essere parametrata all'astratta attitudine della condotta illecita a provocare l'esposizione a pericolo della pubblica incolumità e ad amplificare, per tale via, il rischio, non più circoscritto ad uno o più soggetti e diretto, invero, nei confronti di un'intera, ancorché, se del caso, numericamente contenuta, comunità di lavoratori.
L'indagine demandata all'ermeneuta deve essere, dunque, svolta sul piano della potenziale offensività del comportamento irrispettoso della normativa prevenzionale - in chiave, essenzialmente, di sua attitudine ad attingere tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con quell'ambiente lavorativo - , piuttosto che su quello della individuazione della platea dei soggetti materialmente coinvolti.
Con riferimento al caso di specie, è univocamente emerso che la cabina veniva regolarmente utilizzata, oltre che da turisti e viaggiatori, dai dipendenti della Ferrovie del Mottarone s.r.l. - per i giri di prova, le verifiche di funzionalità, gli spostamenti dall'una all'altra postazione - e delle ditte incaricate della manutenzione, onde è dato senz'altro apprezzarsi la sussistenza del carattere di diffusività del pericolo creato mediante la volontaria, e illecita, omissione delle cautele prescritte, dalla quale è scaturito, sul piano causale, il disastro.
Palese appare, dunque, l'infondatezza della doglianza che, per di più, trascura come il tema della qualificazione giuridica della condotta non incida, allo stato, sull'applicabilità della misura cautelare.
Sul punto, merita condivisione il rilievo del Tribunale del riesame, che ha osservato come il comportamento ascritto, tra gli altri, a E.P. sarebbe stato collegato - ove non ricondotto alla fattispecie antinfortunistica - alla previsione dell'art. 432 cod. pen., che, sotto la rubrica «Attentati alla sicurezza dei trasporti», incrimina condotte lesive della pubblica incolumità, cui corrisponde un trattamento sanzionatorio pressoché analogo (e, anzi, deteriore, quanto al minimo edittale della fattispecie non aggravata) a quello indicato all'art. 437 cod. pen ..
Si è, quindi, al cospetto di una situazione che - in linea con quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 10941 del 15/02/2017, Leccata, Rv. 269783; Sez. 6, n. 41003 del 07/10/2015, Mazzariello, Rv. 264762; Sez. 6, n. 48488 del 11/12/2008, Manzi, Rv. 242429) - elide, in concreto, l'interesse dell'indagato a che, in questa sede, sia operata la chiesta riqualificazione.
Di totale genericità è, infine, la contestazione mossa in relazione al capo B), essendo chiaro, ad onta di quanto eccepito da E.P., quale sia il profilo di colpa che gli viene addebitato, rappresentato dall'avere egli indicato a G.T. di non rimuovere i ceppi e avere così consentito, con contegno di sicura efficienza causale, che la cabina viaggiasse senza freno di emergenza, nell'imprudente speranza di potere, in ogni caso, contare sulla resistenza del cavo traente.

10. Il settimo motivo del ricorso di E.P. tocca il tema, centrale nell'economia della decisione, della descrizione dei poteri e dei doveri spettanti,sulla base della normativa vigente, al direttore di esercizio, che il Tribunale del riesame ha trattato in modo ampio e coerente, riportando in dettaglio, alle pagg. 25-30 dell'ordinanza impugnata, le pertinenti previsioni, che assegnano all'odierno ricorrente una chiara posizione di garanzia e, precipuamente, il potere di disporre ogni iniziativa finalizzata a prevenire e risolvere eventuali situazioni di pericolo per la sicurezza, ivi compreso, ove necessario, il fermo temporaneo dell'impianto, e di fornire, di conseguenza, le pertinenti istruzioni al personale dipendente e, in primis, al capo servizio.
I giudici della cautela hanno, successivamente, spiegato, in termini ancora una volta esenti da fratture logiche e perfettamente armonici con i riferimenti normativi, che la narrazione di G.T. trova conferma, oltre che nelle dichiarazioni degli altri lavoratori escussi, nel descritto quadro legislativo, apprezzandosi la piena coincidenza tra i comportamenti adottati dai soggetti coinvolti, da un canto, e le prerogative e gli obblighi connessi alle rispettive mansioni, dall'altro.
La responsabilità concorsuale di E.P. discende, in conclusione, stando alla prospettazione accusatoria, avallata dal Tribunale del riesame, dal fatto che egli, conscio delle conseguenze che un intervento di manutenzione avrebbe prodotto sulla continuità del servizio, ha indicato a G.T. di non rimuovere i "forchettoni", invece di promuovere, una volta preso atto dell'insuccesso degli interventi sino a quel momento operati, una verifica più approfondita e, sperabilmente, risolutiva degli inconvenienti riscontrati, contemplante il fermo, in piena stagione, dell'impianto.
Così facendo, egli ha istigato il capo servizio a omettere un presidio antinfortunistico, ciò che rileva in funzione del reato, doloso, di cui al capo A) e di quello, colposo, ascrittogli al successivo capo B).
A fronte di un'esposizione esente da profili di manifesta illogicità e contraddittorietà e coerente con il quadro normativo, il ricorrente oppone rilievi di portata essenzialmente confutativa in relazione, rispettivamente, all'esegesi del dato normativo e alla sua incidenza sull'apprezzamento dell'attendibilità del narrato di G.T., volti, in buona sostanza, a circoscrivere, in forza di argomentazioni tutt'altro che convincenti, il ruolo del direttore di esercizio a quello di passivo recettore delle autonome determinazioni del capo servizio.
La censura articolata da E.P. non tiene conto, in particolare, dei pregnanti compiti affidati al direttore di esercizio dal d.m. 18 febbraio 2011 e dal d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753, in vista della salvaguardia della sicurezza dell'impianto, che si estendono alla facoltà di disporre, all'occorrenza, la sospensione del servizio.

Essa non si confronta, per di più, con la mole di convergenti emergenze istruttorie che attestano, per un verso, che E.P., pienamente consapevole, al pari di L.N., del problema manifestatosi e della necessità che, in assenza di un radicale intervento di manutenzione, l'impianto funzionasse con il freno di emergenza disinserito, ha espressamente avallato questo incauto modus procedendi e, per l'altro, che i tragici fatti del 23 maggio 2021 hanno interessato una realtà aziendale che aveva già fatto i conti, in passato, con il conflitto tra le esigenze della sicurezza e quelle di natura economica.

11. L'ottavo e il nono motivo, che possono essere trattati congiuntamente, attengono alla sussistenza e all'entità delle esigenze cautelari.
In proposito, va, in via preliminare, notato che, in quest'ottica, scarsamente significativo appare l'accenno, alla pag. 77 del provvedimento impugnato, al timore - espresso in termini ipotetici e affidati, in sostanza a una mera illazione - che E.P., se non adeguatamente contenuto, tenti di condizionare le dichiarazioni di imprecisati suoi referenti presso l'USTIF, le cui dichiarazioni, scrive il Tribunale del riesame, «presentano particolare rilevanza per ciò che attiene ai contenuti e all'effettività dei loro contatti con E.P.».
Ben più solida è, invece, la motivazione che il Tribunale del riesame dedica al pericolo di recidiva, ritenuto sulla scorta di argomentazioni che, per la massima parte, si sottraggono alle censure del ricorrente.
In tal senso, conformi a elementari canoni logici e alle previsioni codicistiche in materia si rivelano le considerazioni che i giudici piemonesi hanno espresso in ordine alla non episodicità del comportamento illecito, che si inserisce in un contesto gestionale segnato dalla disinvolta omissione di adempimenti, quali quelli afferenti alla tenuta dei registri, funzionali a una condizione dell'impresa sicura, oltre che efficiente e produttiva di profitto.
Scevro da vizi di legittimità appare, ugualmente, il rilievo dell'incidenza, su concretezza e attualità del pericolo di reiterazione della condotta criminosa, della sovrapposizione, nella persona dell'ing. E.P., di ruoli, interni, rispettivamente, alla Ferrovie del Mottarone s.r.l. e alla Leitner s.p.a., che, stante la commistione dei rapporti tra tali imprese, lo colloca in una posizione di potenziale conflitto di interessi suscettibile di favorire e assecondare ulteriori violazioni della normativa in tema di sicurezza del lavoro.
Si comprende, per questa via, come il Tribunale abbia stimato che la sospensione della licenza rilasciata all'indagato, misura adottata dall'autorità amministrativa, eventualmente revocabile e, comunque, non incidente sulla relazione lavorativa con la società Leitner, non valga a preservare la collettività da nuove manifestazioni criminose.

L'ordinanza impugnata appare, invece, gravemente carente nella parte in cui assume che la misura degli arresti domiciliari, assistita dal divieto di contatti con persone diverse da quelle conviventi, sia adeguata e proporzionata alla tutela delle ravvisate esigenze cautelari e, specularmente, che «qualunque altra misura meno afflittiva non sia idonea in concreto alla tutela delle esigenze come sopra indicate perché consentendo libertà di movimento e di contatto gli indagati potrebbero continuare ad occuparsi, ancorché mediatamente, dei loro affari con le stesse modalità reiterando illeciti della medesima natura».
La peculiare natura degli illeciti contestati, il ruolo svolto da E.P., strettamente correlato alla sua attività professionale, e le stesse argomentazioni spese dal Tribunale del riesame a riprova della sussistenza di esigenze di natura special preventiva concorrono, al riguardo, nell'accreditare l'assunto secondo cui il pericolo di recidiva trova concretezza nell'esercizio dell'attività professionale, la cui inibizione potrebbe, in ipotesi, produrre un efficace effetto inibitorio.
Trattasi di profilo che il Tribunale del riesame non ha esaminato e che involge, precipuamente, il vaglio dell'idoneità, in vista della tutela delle persistenti esigenze cautelari, di misure di tipo interdittivo, quale quella prevista dall'art. 290 cod. proc. pen. (divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali) che, peraltro, a seguito della novella operata con la legge 16 aprile 2015, n. 47, è connotata da un orizzonte temporale meno angusto di quello in precedenza stabilito.
Limitatamente a tale aspetto, va, in conclusione, disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale del riesame per un nuovo giudizio sul punto, emendato dal vizio riscontrato.

 

P.Q.M.
 



Annulla l'ordinanza impugnata nei confronti di L.N. e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Torino competente ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen..
Annulla l'ordinanza impugnata nei confronti di E.P. limitatamente alla scelta della misura e rinvia per nuovo giudizio al riguardo al Tribunale di Torino competente come sopra.
Rigetta nel resto il ricorso di E.P.. Così deciso il 15.4.2022