Cassazione Penale, Sez. 4, 19 ottobre 2022, n. 39480 - «Pulizia leggera» della macchina "Minipan" e trascinamento della mano all'interno dei rulli. La datrice di lavoro conosceva la prassi pericolosa?


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: VIGNALE LUCIA Data Udienza: 14/09/2022
 

Fatto




1. Con sentenza del 29 giugno 2021, la Corte di appello di Firenze, ha confermato l'affermazione della penale responsabilità di N.DC., legale rappresentante della «Nuova Terra s.r.l.», per il reato di cui all'art. 590 commi 2 e 3, cod. pen. in danno di C.M.C., dipendente della società, costituitosi parte civile in giudizio. La sentenza pronunciata dal Tribunale di Lucca il 27 febbraio 2020 è stata confermata, oltre che con riferimento all'affermazione della responsabilità penale, anche riguardo alle statuizioni civili ed è stata riformata solo in punto pena concedendo all'imputata le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata e condannandola alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi uno di reclusione.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il 24 gennaio 2014 presso lo stabilimento di Altopascio (LU) della ditta «Nuova Terra s.r.l.». Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, il giorno dell'infortunio C.M.C. lavorava a una macchina denominata "Minipan", aveva terminato una lavorazione e doveva iniziarne un'altra con un impasto diverso. A tal fine, seguendo istruzioni che una collega più anziana gli aveva impartito quando era stato assunto, si apprestò ad eseguire una "pulizia leggera" della macchina rimuovendo i residui di pasta. Per farlo, si collocò in una posizione che gli consentiva di raggiungere con la mano destra i rulli e con la mano sinistra i comandi. Da questa posizione egli faceva girare i rulli a vuoto e, con la mano destra, accompagnava la pasta residua per farla scendere. Durante questa operazione uno dei rulli afferrò un dito del guanto monouso (utilizzato per evitare «contaminazioni»). La mano fu quindi trascinata dai rulli e C.M.C. riportò la frattura di tutte le dita lunghe della mano destra fino alle falangi mediane. Da tali lesioni conseguì una malattia di durata superiore ai 40 giorni.
I giudici di merito hanno ritenuto che la responsabilità dell'infortunio possa essere attribuita a N.DC., quale legale rappresentante della «Nuova Terra s.r.l.» e datrice di lavoro dell'infortunato, perché ella consentì (o comunque non impedì) lo svolgimento della pericolosa operazione sopra indicata. Le sentenze di merito sottolineano, in particolare, che, secondo l'infortunato, un'operazione simile a quella che determinò l'infortunio veniva eseguita ogni volta che, terminata una lavorazione, se ne doveva iniziare un'altra cambiando l'impasto e, da quando era stato assunto, lui aveva eseguito quella operazione forse trenta volte. Indicazioni in tal senso, gli erano state fornite, quando aveva iniziato a lavorare, da una collega più anziana, M.L.C., la quale ha confermato tale circostanza, sostenendo di avere ricevuto a sua volta indicazioni analoghe da DB. (definito dalla teste quale «capo impastatore, responsabile dell'area impasti») e ha chiarito che tale operazione veniva compiuta quando si doveva cambiare l'impasto, mentre in altri casi, che richiedevano una pulizia più approfondita, si smontavano i rulli.
Un ulteriore profilo di colpa contestato all'imputata - consistente nell'aver consentito che la lavorazione si svolgesse ancorché nel selettore della macchina fosse presente una chiave spezzata che ne pregiudicava la sicurezza consentendone il funzionamento in assenza di protezioni - è stato ritenuto non sussistente già all'esito del giudizio di primo grado.

3. L'imputata ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza per mezzo del proprio difensore.
3.1. Col primo motivo la difesa reitera un identico motivo già proposto in grado di appello sostenendo la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con la quale esso è stato respinto. Rileva che la penale responsabilità dell'imputata è stata affermata senza «escludere la parte di addebito» relativa alla contestazione del profilo di colpa ritenuto insussistente e sostiene che questa precisazione sarebbe stata necessaria per evitare l'eventuale formarsi di un giudicato di condanna anche rispetto a un addebito del quale è stata riconosciuta l'infondatezza.
3.2. Col secondo motivo la ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione di legge penale in relazione ai requisiti necessari per affermare la responsabilità del datore di lavoro.
Osserva, in particolare:
- che, nell'affermare la penale responsabilità, i giudici di merito si sono basati sulle dichiarazioni dell'infortunato e su quelle M.L.C. dalle quali hanno desunto che esisteva nell'azienda una prassi illecita che l'imputata aveva l'obbligo di prevenire ed evitare;
- che, deponendo in giudizio, alcuni testimoni (in particolare i testi D., M. e T.) hanno smentito l'esistenza di questa prassi sostenendo che la pulizia dei rulli doveva essere eseguita, in conformità col libretto d'uso e manutenzione, utilizzando appositi "grattini" e solo dopo aver disalimentato la macchina;
- che, secondo i testimoni indicati, tutti i dipendenti erano stati formati in tal senso e questo trova conferma nella deposizione resa dall'ispettore della Asl Alessandro Ranieri, il quale ha dichiarato che C.M.C. conosceva la procedura di pulizia indicata nel manuale di uso e manutenzione della macchina;
- che le sentenze di merito non hanno preso in considerazione tali deposizioni e non hanno spiegato perché dovrebbero essere ritenute inattendibili;
- che nessuno chiese quel giorno al lavoratore di procedere alla pulizia dei rulli e di farlo in quel modo sicché il comportamento dell'infortunato sarebbe abnorme e avrebbe attivato un rischio eccentrico ed esorbitante rispetto alla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia;
- che (come risulta dalla visura camerale della società) l'industria alimentare gestita dalla ricorrente conta «oltre cento addetti e una pluralità di stabilimenti;
- che, pertanto, anche a voler ritenere provata l'esistenza di una prassi aziendale non conforme a regole di sicurezza, sarebbe stato necessario spiegare se tale prassi deviante fosse stata conosciuta o colpevolmente ignorata dall'imputata, ma la sentenza di primo grado non ha fornito indicazioni in proposito, né lo ha fatto la sentenza di appello ancorché il motivo di gravame fosse stato proposto in termini espliciti.

4. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Il difensore della parte civile ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.
Con memoria del 6 settembre 2022 il difensore dell'imputata ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
 

Diritto



1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Nel caso in cui venga escluso un profilo di colpa, infatti, non è necessaria una pronuncia assolutoria in relazione a questa parte di addebito perché la statuizione di condanna si riferisce al fatto lesivo e non ai singoli profili di colpa contestati nel capo di imputazione. Il tema sollevato dal ricorrente è speculare rispetto a quello della corrispondenza tra chiesto e giudicato nei procedimenti per reati colposi, più volte affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (fra le tante: Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, P.C. in proc. Di Landa, Rv. 273265; Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Miniscalco, Rv. 257902) .
Orbene, se tale principio opera nel caso in cui venga ritenuto sussistente un profilo di colpa non contestato, opera anche, inevitabilmente, quando un profilo di colpa contestato venga escluso. Ne consegue che l'assoluzione non può riguardare singoli profili di colpa, ma solo il fatto reato; che non diventa diverso se viene ritenuto sussistente un profilo di colpa aggiuntivo e - a maggior ragione - non diventa diverso se un profilo di colpa, ritualmente contestato, viene escluso.

2. Il secondo motivo di doglianza è inammissibile nella parte in cui chiede di rivalutare le emergenze probatorie al fine di una ricostruzione dei fatti in termini diversi rispetto a quelli fatti propri dai giudici di merito. Ed invero, in sede di controllo della motivazione, al giudice di legittimità è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale controllo, infatti, deve verificare che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (tra tante, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217).

3. Il ricorso è fondato, invece, nella parte in cui lamenta carenza di motivazione in ordine alla componente soggettiva della colpa. Dalle sentenze di merito, infatti, non emerge quale fosse l'organigramma della società e non si comprende se la N.DC. sapesse - o potesse essere informata - della prassi in uso nello stabilimento di Altopascio, in forza della quale, ad ogni cambio di impasto, in contrasto con le disposizioni contenute nel manuale di uso e manutenzione della macchina "Minipan", si procedeva ad una «pulizia leggera» senza disalimentare la macchina e usando le mani invece degli appositi strumenti presenti in ditta (presenza della quale le sentenze di merito danno atto). La motivazione della sentenza impugnata è carente sul punto ancorché la questione fosse stata sollevata nell'atto di gravame e non può essere integrata dalla motivazione della sentenza di primo grado dalla quale emerge solo che l'imputata non avrebbe conferito «deleghe specifiche». La sentenza di primo grado e la sentenza impugnata (che, sul punto, fa rinvio ad essa) attribuiscono però a DB. (definito dalla teste M.L.C. quale «capo impastatore, responsabile dell'area impasti») la qualifica di «preposto» e dubitano dell'attendibilità delle sue dichiarazioni (secondo le quali la pulizia del macchinario doveva avvenire solo in determinate situazioni e solo con le modalità indicate nel manuale di uso e manutenzione) ritenendola inficiata proprio «dal ruolo concorrente che egli avrebbe rispetto alla causazione dell'infortunio».
A ciò deve aggiungersi che, nella sentenza impugnata, non v'è alcun riferimento alle dimensioni dell'azienda e all'esistenza di più sedi operative (pure documentata dalla difesa) e che non risulta né da questa sentenza, né da quella di primo grado, con quale frequenza la N.DC. fosse presente nello stabilimento di Altopascio.

4. Poiché il ricorso è in parte fondato, deve essere rilevata e dichiarata ai sensi dell'art. 129 comma 1 cod. proc. pen. l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Il fatto per cui si procede è stato commesso il 24 gennaio 2014 e il termine massimo di prescrizione del reato di cui all'art. 590 commi 2 e 3 cod. pen. è pari ad anni sette e mesi sei. Il corso della prescrizione è stato sospeso per un totale di 120 giorni a causa di due rinvii per impedimento del difensore chiesti alle udienze del 22 settembre 2017 e 25 luglio 2019 e non risultano altre ragioni di sospensione. In particolare, la sentenza di primo grado è stata pronunciata alla pubblica udienza del 27 febbraio 2020 con motivazione contestuale e l'appello è stato proposto il 13 marzo 2020. Pertanto, durante il periodo dell'emergenza sanitaria, non sono corsi termini processuali e la sospensione prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020 n. 27 non opera (cfr. Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 280432). Ne consegue che il termine di prescrizione è spirato alla data del 21 novembre 2021.
Com'è evidente, a fronte di ben due pronunce di condanna, non sussistono le condizioni per applicare l'art. 129 comma 2 cod. proc. pen. Pertanto, l'annullamento deve avvenire senza rinvio quanto al versante penale, ma con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per quanto riguarda le statuizioni civili della sentenza.
Si ritiene infatti di dover aderire all'indirizzo giurisprudenziale prevalente - affermato anche in pronunce recenti (Sez. 5, n. 26217 del 13/07/2020, G., Rv. 279598; Sez. 1, n. 14822 del 20/02/2020, Milanesi, Rv. 278943; Sez. 4, n. 13869 del 05/03/2020, Sassi, Rv. 278761) - secondo il quale «il rilievo, in sede di legittimità, della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla responsabilità dell'imputato, comporta l'annullamento senza rinvio della stessa e, ove questa contenga anche la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, l'annullamento delle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello». Si tratta, invero, di un indirizzo che trova sostegno nel quadro delineato dalle Sezioni unite Sciortino (n. 40109 del 18/07/2013, Rv. 256087), Conti (n. 17179 del 27/02/2002, Rv. 221403) e, da ultimo, Cremonini (n. 22065 del 28/01/2021, Rv. 281228), secondo le quali la ratio dell'art. 622 cod. proc. pen. risiede nella volontà di escludere la perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale una volta che le statuizioni di carattere penale siano definitive. Questa disposizione, peraltro, lascia «fermi gli effetti penali della sentenza» tra i quali rientrano certamente gli effetti che scaturiscono da una declaratoria di estinzione del reato.
L'annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello fa si che allo stesso debba essere rimessa regolamentazione tra le parti delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.
 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza ai fini civili e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione delle spese fra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 14 settembre 2022