Cassazione Penale, Sez. 4, 24 ottobre 2022, n. 40069 - Lavoratrice folgorata dalla stiratrice vetusta ed artigianale, priva di requisiti di sicurezza. Responsabilità del datore di lavoro e del datore di lavoro di fatto


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 28/09/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Brescia, in data 5 maggio 2021, ha parzialmente riformato - dichiarando estinti per prescrizione i reati contravvenzionali di cui ai capi B, C e D e rideterminando la pena quanto al capo A - la sentenza, nel resto confermata, con la quale il Tribunale di Mantova, il 24 aprile 2019, aveva condannato L.Y. e W.L. alla pena ritenuta di giustizia e alle connesse statuizioni civili in relazione ai reati loro contestati e, in specie, al delitto di omicidio colposo di cui al capo A in danno di K.J., contestato come commesso in Casaloldo, in data 30 settembre 2014, con violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
1.1. Brevemente sintetizzando la vicenda per cui é processo, é contestato ai due imputati - alla L.Y., quale datrice di lavoro di fatto in quanto esercente poteri direttivi, decisionali e gestori nella predetta impresa; al W.L., quale legale rappresentante della Confezione Gloria e datore di lavoro della K.J. - di avere consegnato e messo a disposizione, presso il domicilio della predetta lavorante, una stiratrice vetusta ed artigianale, non conforme ai requisiti CE e priva dei dispositivi di sicurezza nella parte elettrica, oltreché in stato di conservazione pessimo e pericoloso, come tale inidonea a proteggere la lavoratrice dal rischio di contatti elettrici diretti o indiretti con parti attive sotto tensione; nonché di avere omesso di eseguire i controlli, le manutenzioni e le verifiche necessarie a mantenere la stiratrice in condizioni di sicurezza. Accadeva che, nell'impiegare il macchinario, la K.J. entrava in contatto con le parti metalliche dello stesso e rimaneva folgorata, decedendo in conseguenza di tale infortunio.
1.2. Nell'assunto accusatorio recepito nel giudizio di primo grado, e confermato dalla Corte di merito, il decesso della K.J. era stato cagionato dalle condizioni di incuria e di pericolosità, al di fuori di ogni regola di sicurezza, in cui la vittima era stata costretta ad operare nell'impiego della stiratrice. La Corte bresciana ha respinto le lagnanze dei due imputati, sia sotto il profilo della prova delle rispettive responsabilità (e delle rispettive posizioni di garanzia), sia sotto il profilo del trattamento sanzionatorio.

2. Avverso la prefata sentenza ricorrono L.Y. e W.L., con atti separati sottoscritti dai rispettivi difensori.

3. Il ricorso di L.Y. consta di tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, la deducente lamenta violazione del principio devolutivo di cui all'art. 597, comma 1, cod. proc. pen.: la Corte di merito, secondo l'esponente, non poteva esondare dal perimetro decisionale alla stessa devoluto con l'appello, riferito unicamente all'elemento soggettivo del reato di concorso in omicidio, e non anche all'elemento materiale, sul quale invece la Corte bresciana ha argomentato e che risulta essere questione autonoma, e non indissolubilmente connessa, rispetto a quella oggetto di doglianza in appello. Pertanto, la questione afferente all'elemento materiale del reato restava preclusa al giudice di secondo grado.
3.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla posizione di garanzia dell'imputata: contesta in particolare la deducente che il convincimento della Corte circa la posizione di garanzia di L.Y. si sia formato esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dei familiari della vittima e del Maresciallo Di Marzo; oltretutto, denuncia l'esponente, i giudici di merito hanno indebitamente attribuito alla L.Y. la proprietà della stiratrice incriminata, sol perché il macchinario sarebbe stato consegnato alla K.J. dall'imputata nei dieci anni precedenti, sebbene esso fosse passato di proprietà ad altri soggetti, come pure dichiarato dalle persone offese e dal teste B..
3.3. Con il terzo motivo, la deducente lamenta vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, a fronte del comportamento collaborativo tenuto dalla L.Y..

4. Il ricorso di W.L. consta di un unico motivo, teso a denunciare vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente: in specie si lamenta che in primo grado non era stato preso in considerazione il verbale della denuncia sporta dal W.L. nei confronti di L.Y. perché privo di timbri di ricezione da parte della Procura competente, sebbene proprio a seguito di quella denuncia fosse iniziato un procedimento penale: in essa in sostanza il W.L. lamentava di essere stato usato come "testa di legno" della ditta, deducendo che la L.Y. aveva sempre esercitato, di fatto, i poteri decisionali. Tale circostanza era stata portata a conoscenza anche della Corte di merito, la quale ha ritenuto di non dare seguito alla sollecitazione, senza al riguardo prendere posizione, pur dando atto dell'effettiva posizione di datore di lavoro di fatto della L.Y..

5. Nella sua requisitoria scritta, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.

 

Diritto



1. I ricorsi sono ambedue inammissibili, perché manifestamente infondati e volti, in buona parte, a sollecitare una valutazione alternativa del materiale probatorio, compito esclusivo del giudice di merito e precluso alla Corte di legittimità, a fronte di un percorso argomentativo - come quello della sentenza impugnata - che si appalesa adeguato e rispondente a canoni di logica e coerenza (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 -, Petrella, Rv. 226074; più di recente Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
2. Quanto al ricorso di L.Y., é agevole osservare, in primo luogo, che la cognizione del giudice di appello nel procedimento incidentale sulla libertà, di cui all'art. 310 cod. proc. pen., é limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame (e a quelli con essi strettamente connessi e da essi dipendenti), ma non é condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste dal giudice della decisione impugnata a sostegno del proprio assunto (giurisprudenza pacifica a partire da Sez. U, Sentenza n. 8 del 25/06/1997, Gibilras, Rv. 208313). Ora, sebbene la ricorrente sostenga che le sue lagnanze in appello riguardassero il solo elemento soggettivo del reato e non anche il concorso (recte, la cooperazione) nel delitto di omicidio colposo, risulta nondimeno evidente che la stessa confutava in allora (e confuta ancor oggi, col secondo motivo di doglianza) anche la sua posizione di garanzia quale datrice di lavoro di fatto, che é strettamente attinente all'elemento oggettivo del reato, in quanto collegata al paradigma causale nel reato omissivo improprio (ossia al non impedimento dell'evento che si aveva l'obbligo giuridico di impedire); e su tale ordine di questioni la Corte di merito, per nulla esondando dai propri poteri, ha puntualmente risposto, con argomentare logico ed esente da contraddizioni, come tale non sindacabile in questa sede, nel quale si enunciano le circostanze di fatto dalle quali é stato tratto il convincimento dell'esercizio di fatto, da parte della L.Y., delle funzioni datoriali: ciò che é espressamente considerato, dalla normativa prevenzionistica, come idoneo a conferire la posizione di garanzia corrispondente alle funzioni in concreto esercitate (cfr. art. 299 D.Lgs. 81/2008; per tutte vds. Sez. 4, Sentenza n. 31863 del 10/04/2019, Agazzi, Rv. 276586; Sez. 4, Sentenza n. 50037 del 10/10/2017, Buzzegoli, Rv. 271327). E' chiaro che l'assunzione, in via di fatto, delle prerogative datoriali implicava, in capo alla L.Y., anche l'assunzione dei relativi obblighi prevenzionistici, ivi compresi quelli di mettere a disposizione del lavoratore attrezzature conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, nonché idonee ai fini della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi, come testualmente previsto dagli articoli 70 e 71 del D.Lgs. 81/2008, oggetto di contestazione: disposizioni la cui violazione integra perciò, nel caso di specie - e in relazione alla posizione di garanzia assunta di fatto dalla L.Y. -, un'ipotesi di colpa specifica, evidentemente inscindibile dalle notazioni circa l'oggetto dell'impugnazione devoluto al giudice dell'appello.
2.1. Anche le deduzioni di cui al secondo motivo del ricorso L.Y. sono prive di pregio: in disparte ogni considerazione sulla natura meramente fattuale delle censure alla valutazione delle prove da parte della Corte di merito (censure chiaramente debordanti rispetto a quanto può formare oggetto del sindacato di legittimità, per le ragioni dianzi richiamate), é appena il caso di osservare che, ai fini della configurabilità dell'esercizio di fatto di funzioni datoriali, occorre che l'agente assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento concludente consistente nella effettiva presa in carico del bene protetto (Sez. 4, Sentenza n. 39261 del 18/04/2019, Cairo, Rv. 277193; Sez. 4, Sentenza n. 38624 del 19/06/2019, B., Rv. 277190). Nella specie, emerge dalla motivazione della sentenza impugnata che la L.Y., per un arco temporale assai protratto, si era fatta carico di mettere a disposizione della K.J. il macchinario incriminato, consegnandoglielo a domicilio; ed era peraltro la stessa L.Y. ad essersi occupata della riparazione e della (carente) manutenzione dell'apparecchio, a pagare lo stipendio alla K.J. e ad essere destinataria delle sue rimostranze circa le condizioni e il funzionamento della stiratrice.
2.2. Infine, quanto al terzo motivo, riguardante il diniego delle attenuanti generiche, va ricordato che il giudice del merito esprime al riguardo un giudizio di fatto, la cui motivazione é insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (si veda ex multis Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 3, Sentenza n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899); va in particolare sottolineato, con riferimento al caso di specie, che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008,
n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non é più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, Sentenza n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).

3. E' inammissibile anche il ricorso del W.L.. L'irrilevanza del verbale di denuncia nei confronti della L.Y., che il ricorrente aveva prodotto per giustificare il suo ruolo di mera "testa di legno" priva di poteri reali, si spiega agevolmente con il fatto che il W.L., sotto il profilo della formale titolarità dei poteri datoriali, era altresì tenuto ad osservare gli obblighi previsti per la sua posizione di garanzia (di cui ai già cennati articoli 70 e 71, D.Lgs. 81/2008) indipendentemente dalla circostanza che altri esercitasse i corrispondenti poteri in via di fatto, essendo pacifico che la responsabilità del datore di lavoro non é esclusa dal comportamento di altri destinatari degli obblighi di prevenzione che abbiano a loro volta dato occasione all'evento, quando quest'ultimo risulti comunque riconducibile alla mancanza od insufficienza delle predette misure e si accerti che le stesse, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio del verificarsi di quell'evento (Sez. 4, Sentenza n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245527).

4. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», i ricorrenti vanno condannati al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 3000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Gli stessi vanno altresì condannati alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Omissis per questo giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo nei limiti del petitum.



P.Q.M.
 



dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili omissis per questo giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 28 settembre 2022.