Cassazione Penale, Sez. 4, 24 ottobre 2022, n. 40065 - Infortunio mortale del manovale incaricato della movimentazione calcestruzzo a mezzo montacarichi


 

 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 18/05/2022
 

Fatto




1. DL.A., a mezzo del difensore, ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale cittadino, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dello stesso in ordine al capo b) della rubrica perché estinto per intervenuta prescrizione, rideterminando, in conseguenza, la pena con riguardo al capo a).

2. L'imputazione di cui al capo a) concerne il reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen. del quale il DL.A. è chiamato a rispondere perché, in qualità di responsabile del cantiere edile, allestito presso l'appartamento di R.A., per la realizzazione di un balcone pensile della misura di circa m. 8x 1, nonché datore di lavoro di C.A., manovale incaricato della movimentazione calcestruzzo a mezzo montacarichi, per colpa generica e per violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (d.lgs. 81/08: artt. 36 e 37. 71, comma 4, 115 comma 1), ne cagionava la morte. Mentre manovrava il predetto attrezzo da un attiguo balcone sito a m. 9 da terra, il C.A. veniva sbalzato dalla propria sede a causa di un divellimento del supporto di fissaggio del montacarichi, precipitando al suolo e riportando lesioni politraumatiche che ne determinavano il decesso (Napoli, 07/07/2011).

3. Il ricorso consta di tre motivi con cui si deducono:
3.1. Vizio di motivazione in relazione all'art. 192 cod. proc. pen. ovvero illogica ed errata motivazione in ordine alla mancata assoluzione ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. e/o in ordine alla ravvisata inammissibilità dei motivi per difetto di specificità. Si ricorda come la difesa avesse sostenuto l'assenza di un rapporto di lavoro tra l'imputato, quale datore di lavoro, e la persona offesa; la motivazione dell'impugnata sentenza si sarebbe limitata a recepire acriticamente le argomentazioni del primo Giudice. Vi sarebbe poi un evidente travisamento dei fatti laddove la Corte di appello si riferisce alle dichiarazioni rese dai genitori dell'imputato sull'infortunio, atteso che questi sono deceduti da anni. Parimenti scorretta sarebbe la valutazione operata dalla Corte territoriale sulle sommarie informazioni rese dall'altro lavoratore, DD.. Né potrebbe desumersi la sussistenza del contestato rapporto di lavoro tra l'imputato e la persona offesa dalla valutazione della posizione di R.A..
3.1. Violazione dell'art. 603 cod. proc. pen. per il mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dibattimentale. Questa è stata disattesa sulla base di una mera affermazione apodittica circa la genericità con cui era stata proposta.

3.2. Vizio di motivazione in riferimento agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anche questo giustificato in maniera apparente.

4. Il Procuratore Generale in sede ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
 

 

Diritto




1. Il ricorso è inammissibile poiché prospetta generiche critiche alla impugnata sentenza e ripropone questioni già affrontate e compiutamente risolte dalla Corte di appello.
1.2. Più volte infatti questa Corte ha statuito nel senso della inammissibilità del ricorso per cassazione i cui motivi non indichino precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio probatorio posto a fondamento della decisione di merito (ex multis, Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo e altro, Rv. 264441; Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704), ed ancora nel caso di motivi che si risolvano nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla Corte di merito, e, come tali, non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto del ricorso (così Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, PM in proc. Candita e altri, Rv. 244181).

2. Il ricorrente lamenta la non corretta valutazione delle prove da parte della Corte di merito: trattasi di doglianza manifestamente infondata, atteso che la sentenza impugnata argomenta in maniera esaustiva e non illogica sul contenuto degli elementi probatori acquisiti al processo, valorizzando in particolare le dichiarazioni dell'altro lavoratore, DD., dalle quali era emerso pacificamente che il C.A. era stato assunto "a nero" dal DL.A. per l'esecuzione dei lavori di carpenteria presso l'abitazione di R.A..
Anche il secondo motivo è meramente ripetitivo di identica doglianza già vagliata e disattesa dalla Corte territoriale, la quale, correttamente interpretando ed applicando la norma dell'art.603 cod. proc. pen., ha respinto la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale volta alla nuova escussione di tutti i testi "al fine di verificare o meno l'esistenza del rapporto di lavoro tra l'imputato con il C.A.". Dopo aver analizzato le tre ipotesi previste dall'art. 603 in discorso, ha quindi fatto corretto uso del principio di diritto secondo cui la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale si connota quale evenienza eccezionale in caso di riassunzione di prove già acquisite in primo grado o di prove nuove (concetto da riferirsi a prova nota alle parti e già suscettibile di introduzione nel giudizio di primo grado ma che, per eventualità di vario genere, non è stata acquisita), mentre in caso di assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, soggiace ai parametri generali di ammissibilità stabiliti dall'art.495 cod. proc. pen. Nulla aggiunge il ricorrente sul tema in discorso.
Manifestamente infondati sono altresì i motivi relativi alle circostanze attenuanti generiche ed alla misura della pena. Per giurisprudenza assolutamente pacifica, infatti, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. Ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di Cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro ed altro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142). Conseguentemente, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826).

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero.

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 maggio 2022