Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 1, 25 ottobre 2022, n. 40187 - Apposizione di magneti per impedire il corretto funzionamento del disco cronotachigrafo di bordo. Prescrizione


 

Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: CALASELICE BARBARA
Data Udienza: 16/06/2022
 

 

Fatto




1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Milano ha riformato la condanna, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede, in data 21 dicembre 2017, nei confronti di G.P.V., in relazione al reato di cui all'art. 437, primo comma, 81 secondo comma, cod. pen., concedendo all'imputato le circostanze attenuanti generiche, con rideterminazione della pena irrogata in quella di anni uno, mesi uno e giorni venti di reclusione e la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento degli importi indicati in dispositivo, entro tre mesi dall'irrevocabilità della sentenza, nonché pronunciando, in accoglimento dell'appello delle parti civili, la condanna risarcitoria.
1.1. Il giudice di primo grado aveva irrogato, all'esito di rito abbreviato, la pena di anni uno, mesi otto di reclusione rigettando le richieste delle parti civili.
1.2. Il procedimento ha ad oggetto l'imputazione di cui all'art. 437 cod. pen., commessa dall'anno 2010 al 2013, consistita nella condotta dell'imputato, quale datore di lavoro, esercitata rispetto all'adozione di cautele antinfortunistiche atte a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, con riferimento a 14 autisti.
In particolare, si ascrive al ricorrente, nella qualità di titolare di più società di cui era amministratore, di aver utilizzato specifici accorgimenti (magneti) per impedire il corretto funzionamento del disco cronotachigrafo di bordo, così impedendo la registrazione della velocità dei veicoli, dei tempi di guida e sosta, in sostanza consentendo ai dipendenti la guida degli articolati per un numero di ore superiore a quello di legge, determinando, peraltro, un'incidenza della condotta sui periodi di riposo dei conducenti dei veicoli e, quindi, secondo i giudici di merito, determinando maggior rischio di causare incidenti, a danno della propria incolumità e della sicurezza pubblica.
Le indagini, di cui rendono conto i provvedimenti di merito, avviate sulla base di denunce degli stessi dipendenti, hanno consentito di accertare, attraverso l'apposizione del sistema di GPS sui veicoli, nonché le dichiarazioni delle parti civili e soggetti terzi, rese anche in un procedimento separato svolto dal Tribunale di Milano, nonché in base agli esiti della perquisizione svolta il 13 ottobre 2013, l'avvenuta installazione sul parabrezza dei veicoli, di calamite di forma circolare, che G.P.V. chiedeva ai propri dipendenti di installare a bordo dei mezzi, secondo l'impostazione accusatoria anche a seguito di minacce di licenziamento, fatto per il quale si procede separatamente (fatto di cui all'art. 611 cod. pen., riqualificato in appello. ai sensi dell'art. 610 cod. pen, sentenza di secondo grado annullata dalla Corte di Cassazione con pronuncia della Sez. 5 n. 34999 del 29 novembre 2020).


2. Avverso la descritta sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, avv. Marco Emanuele Coda, denunciando sette vizi di seguito riassunti, nei limiti necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 437 cod. pen. e 179 Codice della Strada, nonché vizio di motivazione sul motivo di cui a pag. 15 e 16 dell'atto di appello.
Si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 5, 47, terzo comma, 437 primo comma, cod. pen. e 179 Codice della Strada, non avendo la Corte d'appello, come devoluto con il motivo indicato a pag. 15 e 16 dell'atto di appello, ritenuto imprevedibile, alla data dei fatti, il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione soltanto nel 2016.
Era stato dedotto, in sede di gravame, che vi era un orientamento pacifico della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, alla data dei fatti, nel senso dell'esclusione dell'illiceità penale del comportamento, ai sensi dell'art. 437 cod. pen., quanto alla manomissione del cronotachigrafo, punita esclusivamente ex art. 179 cit.
Ciò, fino alla pronuncia della sentenza della sezione Prima penale di questa Corte n. 47211 del 2016.
Dunque, a parere della difesa, come dedotto con l'atto di appello, vi era difetto dell'elemento soggettivo del reato, perché: alla data dei fatti (fino al 2013), non poteva essere nemmeno prevedibile la qualificazione del fatto, ai sensi dell'art. 437 cod. pen., come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità.
Si richiama la sentenza delle Sezioni unite di questa Corte (n. 1235 del 2012, dep. 2011) che esplicita che il principio di legalità si collega proprio ai valori dell'accessibilità della norma violata e della prevedibilità della sanzione, nonché la giurisprudenza comunitaria secondo la quale è riconosciuta la violazione del principio di legalità in caso di mutamento sfavorevole non prevedibile e di sua applicazione retroattiva contra reum (cfr. pag. 13 del ricorso).
Si riportano casi esaminati dalla Corte di giustizia, in cui vi erano orientamenti contrastanti, conclusi nel senso di reputare irretroattivo il cambio di giurisprudenza, ove l'interpretazione giurisprudenziale giunga ad un risultato non ragionevolmente prevedibile al momento dell'infrazione commessa (cfr. pag. 14). Nel caso di specie, si sottolinea, poi, che non vi era nemmeno contrasto interpretativo rispetto al principio di specialità tra l'art. 437 cod. pen. e l'art. 179 Codice della Strada e che, in sostanza, vi è stata la vera e propria creazione giurisprudenziale di una figura, quella dell'alterazione dolosa del cronotachigrafo, che viene indebitamente applicata retroattivamente dai giudici di merito, perché l'indirizzo giurisprudenziale in tal senso si è consolidato soltanto dal 2016 in poi.
Si deduce, quindi, omessa motivazione da parte della Corte territoriale, nonché violazione dell'art. 7 CEDU perché si applica retroattivamente un principio di diritto contra reum, enunciato per la prima volta nel 2016, senza valutare se, alla stregua dei principi di accessibilità della norma violata e della prevedibilità della sanzione, poteva essere prevedibile e riconoscibile al momento del fatto, l'interpretazione data, con conseguente esclusione della colpevolezza.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (artt. 81, 157 e 158 cod. pen., 437, primo comma, cod. pen.) nonché vizio di motivazione circa la natura permanente omissiva del reato, in riferimento anche all'accertamento dei reati rispetto alle singole parti civili, come dedotto nel giudizio di appello, con motivi nuovi.
Si sostiene che la condotta contestata sarebbe quella di cui alla seconda parte dell'art. 437 primo comma, cod. pen., ove si punisce il datore di lavoro che danneggi apparecchi destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro.
Di qui la contraddizione insita nella contestazione contenuta nel capo di imputazione che descrive come omissiva una condotta che sarebbe, invece, di natura commissiva in quanto attuata attraverso l'imposizione, anche attraverso minacce, dell'installazione dei magneti.
In ogni caso, la difesa deduce che i singoli reati in esame coincidono con il singolo viaggio, quindi con l'applicazione e disinnesto del magnete, istante in cui si interromperebbe l'esposizione al pericolo del lavoratore, incidendo, peraltro, soltanto sulla sfera del singolo autista rispetto al quale è contestato al G.P.V. di aver imposto di guidare con l'apparecchio manomesso.
Dunque, errerebbe la Corte d'appello nel ritenere che la condotta sia permanente, sino alla data finale della contestazione (maggio 2013).
Si riportano precedenti di legittimità che distinguono, all'interno dello stesso reato di cui all'art. 437 cod. pen., tra la condotta solo omissiva e quella di rimozione delle cautele contro infortuni sul lavoro.
In tale ultimo caso, la consumazione del reato, quando si tratta di attività che frusta il funzionamento del dispositivo o apparecchio, coincide con l'esecuzione dell'attività che compromette la funzione di prevenzione del pericolo del cronotachigrafo.
Si tratta, a parere del ricorrente, di reato istantaneo con effetti permanenti. Nel procedimento parallelo, infatti, la Corte di cassazione ha ordinato alla
Corte d'appello di individuare le singole condotte e collegarle alle diverse persone offese, nell'ambito del periodo temporale in contestazione, anche per la valutazione dell'eventuale prescrizione dei reati.
In definitiva errerebbe la Corte territoriale, nel ritenere la condotta unitaria permanente sino al maggio 2013.
2.3. Con il terzo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 81, secondo comma, 157 e 158 cod. pen. e vizio di motivazione, con riferimento al tempus commissi delicti, questione sollevata con i motivi aggiunti.
Si è rilevato con l'appello che sarebbe stato necessario l'accertamento dei singoli fatti consistiti nella apposizione dei magneti così permettendo l'elusione della corretta registrazione dei dati sui cronotachigrafi digitali.
Tanto che risultano acquisiti i verbali di contestazione della violazione dell'art. 179 Codice della Strada che si riportano analiticamente, a pag. 28 del ricorso, escludendo che per quattro persone offese, costituite parti civili (Omissis), sarebbe mai stato elevato a tale titolo alcun verbale.
Si sostiene che l'interruzione dell'esposizione al pericolo viene fatta coincidere dalla Corte territoriale con la cessazione del rapporto di lavoro, mentre questa cessa con la disinstallazione del magnete.
Quanto all'entità del danno, dunque, per i lavoratori che non avevano mai ricevuto contravvenzione per aver guidato con la calamita installata a bordo, questa non sarà produttiva nemmeno del danno morale perché non sussiste alcuna esposizione al pericolo.
Di qui la necessità di precisare nei confronti di quali persone offese sia stata accertata l'installazione dei magneti.
In definitiva la Corte territoriale avrebbe confuso gli effetti permanenti del reato, con la sua stessa natura.
Si precisano, pur tenendo conto delle sospensioni, le singole prescrizioni in relazione ai diversi lavoratori che sono stati fermati con a bordo i magneti (cfr. pag. 32 e ss. del ricorso).
2.4. Con il quarto motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 40, 437 comma primo cod. pen. e 192 cod. proc. pen.
La Corte territoriale ha stigmatizzato la condotta del ricorrente nella parte in cui non ha disincentivato adeguatamente, adottando specifiche misure ad hoc, l'uso dei magneti su iniziativa degli stessi autisti come avvenuto in alcuni episodi accertati nel giudizio di merito.
Sul punto si osserva che,. per le contravvenzioni al codice della strada elevate in tali occasioni, il datore di lavoro aveva provveduto ad addebitarne il costo all'autista, nonché aveva adottato appositi provvedimenti disciplinari e aveva sostituito gli strumenti con apparecchi di ultima generazione che impediscono l'alterazione del flusso dei dati di viaggio.
Si tratta di circostanze documentate anche nel corso del giudizio di appello. Dunque, la motivazione offerta dalla Corte territoriale sarebbe affetta da illogicità e contraddittorietà.
2.5. Con il quinto motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione di legge penale quanto alla qualificazione del cronotachigrafo digitale.
Il cronotachigrafo, secondo la difesa, svolge la stessa funzione dei dischi cartacei cronotachigrafici, diretti al mero controllo del veicolo e del conducente, con funzioni assimilabili alla "scatola nera".
Non si tratterebbe, quindi, di strumento di cautela adottata contro gli infortuni sul lavoro.
Al pari di qualsiasi registro, come per i dischi cartacei, invece, esso assolve ad una funzione non preordinata alla sicurezza, non attivando alcuna precauzione. Ciò era stato dedotto con l'atto di appello, nell'invocare l'assoluzione perché il fatto non sussiste e, invece, la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sul punto.
2.6.Con il sesto motivo si denuncia violazione di norme previste a pena di nullità, in relazione all'art. 179,comma 1,cod. proc. pen. e 584 cod. proc. pen. per omessa citazione dell'imputato in appello a seguito di impugnazione proposta dalla parte civile, mai notificata.
Si eccepisce che l'atto di appello delle parti civili non è stato notificato all'imputato e che di detta impugnazione il G.P.V. non ha potuto avere conoscenza nemmeno dal decreto di citazione (oltre che nella sentenza di secondo grado) che indica, come parte appellante, il solo imputato.
Si sottolinea che il procedimento è stato svolto a trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23 del d.l. n. 149 del 2020, e si insite per l'annullamento delle statuizioni civili.
2.7.Con il settimo motivo si denunciano vizi di cui all'art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 cod proc. pen., 40, 185, 437 cod. pen.
La Corte d'appello nel riformare la sentenza di primo grado, quanto alla domanda risarcitoria delle parti civili, fa riferimento ad alcune cause già azionate dai lavoratori nei confronti di G.P.V., circostanza non vera secondo il ricorrente, tenuto conto che, alla data del ricorso, nessun lavoratore aveva azionato alcun procedimento per danni collegati alla condotta sub iudice.
Unici procedimenti che esistono, nei confronti della s.r.l. Autotrasporti G.P.V., ma non nei confronti di G.P.V. in proprio, riguardano spettanze retributive ma non l'accertamento dei danni derivanti dalla condotta di cui all'art. 437 cod. pen. Peraltro, si rileva che alcune delle parti civili non hanno mai guidato con il magnate (Omissis) quindi, per queste, non si potrà mai accedere alla domanda risarcitoria fondata sul danno morale derivante dal reato per il quale si procede.

3. La difesa dell'imputato ha fatto pervenire a mezzo p.e.c., tempestiva richiesta di trattazione orale, in data 20 maggio 2022, all'esito della quale, all'odierna udienza, le parti hanno concluso nel senso indicato in epigrafe.
3.1. Risulta depositata, in data 20 maggio 2022, memoria difensiva con la quale il ricorrente ulteriormente articola le censure prospettate con il ricorso e
allega documentazione relativa alle contravvenzioni ex art 179 Codice della Strada elevate agli autisti dipendenti di G.P.V.

 

Diritto




Il ricorso non è manifestamente infondato e, dunque, deve essere rilevata l'intervenuta prescrizione del reato ascritto all'imputato.
l. Per ragioni di ordine sistematico deve essere preliminarmente rilevata la manifesta infondatezza del sesto motivo di ricorso.
1.1. La difesa sostiene che l'atto di appello della parte civile non è mai stato
notificato all'imputato e che, dunque, le statuizioni civili andrebbero annullate perché affette da nullità in relazione all'art. 179, comma 1, cod. proc. pen.
In proposito deve osservarsi che un'isolata pronuncia di questa Corte sostenne che, poiché l'art. 584 cod. proc. pen. dispone che il gravame proposto da una parte deve essere, senza ritardo, comunicato al Pubblico ministero e notificato alle parti private, e poiché trattasi di disposizione volta a garantire alla parte che non abbia proposto impugnazione la possibilità di avvalersi dell'altrui gravame per contrastare le pretese avanzate nei suoi confronti dall'impugnante principale, la mancata notificazione all'imputato della impugnazione (in quel caso del procuratore generale) e dei relativi motivi gli impedisce di esercitare, a sua volta, il diritto di impugnazione ed impedisce inoltre la costituzione di un valido rapporto processuale (Sez. 5, n. 11017 del 17/06/1999, Carlei, Rv. 214485).
Per contro, la costante giurisprudenza di legittimità,cui il Collegio intende dare continuità, è dell'avviso che l'inosservanza dell'obbligo di notificare alle parti private l'impugnazione, prescritto dall'art. 584 cod. proc. pen., non produce né l'inammissibilità dell'impugnazione, non essendo prevista tra i casi di cui all'art. 591 cod. proc. pen., né la nullità del processo del grado successivo, non rientrando tra le nullità di cui all'art. 178 cod. proc. pen.; c:an l'unico effetto dell'omissione è quello di non fare decorrere il termine per l'impugnazione incidentale della parte privata, ove consentita (tra le altre sez. 4, n. 20810 del 2.10.2018, dep. 2019, Sejdaras Rigert, Rv. 275802; Sez. 2, n. 47412 del 05/11/2013, Albizzati, Rv. 257482; Sez. 3, n. 3266 del 10/12/2009, dep. 2010, Esposito, Rv. 245859; Sez. 1, n. 48900 del 24/10/2003, Baiocchi, Rv. 227008).
Anche le Sezioni Unite di questa Corte, seppure incidentalmente, hanno ribadito che l'omissione della notifica dell'avvenuta impugnazione alle altre parti, prevista dall'art . 584 cod. proc. pen., senza comminatoria di sanzione in caso di violazione dell'obbligo, comporta unicamente la mancata decorrenza del termine per la proposizione, da parte del soggetto interessato, dell'eventuale appello incidentale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248868, in motivazione).
È quindi escluso che nel caso che occupa non si sia regolarmente costituito il rapporto processuale o che si siano verificate nullità del processo di appello rilevabili in questa sede.
1.2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
I giudici di merito, nel descrivere la condotta accertata, la indicano, in sostanza, come composita, perché in parte commissiva, perpetrata attraverso l'imposizione, rivolta ai lavoratori, di installare i magneti atti ad alterare il sistema di rilevamento dei dati sui cronotachigrafi sui mezzi e, in parte, omissiva, consistita nel descritto generalizzato fenomeno di omesso controllo sul funzionamento corretto dei cronotachigrafi, acclarato attraverso il reperimento dei magneti a bordo dei mezzi, anche a seguito della perquisizione nei locali aziendali, individuando in questi strumenti apparecchi diretti a prevenire infortuni sul lavoro. Risulta, dunque, non aderente perfettamente al caso di specie il pur corretto ragionamento, in astratto svolto, rispetto alla imprevedibilità, alla data delle condotte accertate almeno fino al maggio 2013, del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nel 20161 che la difesa indica come indebitamente applicato, retroattivamente, a fronte di consolidato indirizzo interpretativo di segno contrario, vigente al momento della condotta.
Si richiama , infatti, il dedotto difetto di elemento soggettivo, perché la condotta si consuma, per il ricorrente, in momento precedente alla pronuncia della sentenza della sezione Prima penale di questa Corte n. 47211 del 2016, indicando I come principio pacifico fino a quel momento affermato dalla giurisprudenza, quello che riteneva punibile soltanto ai sensi dell'art. 179 C.d.S. la manomissione del cronotachigrafo (cfr. pag. 9 del ricorso), indicando pronunce in tal senso.
Sotto il profilo prospettato, invero, non si ravvisano precedenti di legittimità anteriori rispetto a quello del 2016 che abbiano affermato il principio della insussistenza di rapporto di specialità tra l'art. 179 C.d.S. e art. 437 cod. pen. quando, come nel caso di specie, la collocazione; sui mezzi, di strumenti atti ad eludere la corretta registrazione dei dati sui cronotachigrafi digitali installati sugli automezzi erano stati apposti non dai singoli lavoratori, ma dal datore di lavoro per loro tramite, attraverso condotte intimidatorie.
Non ignora il Collegio il contenuto della motivazione di questa Corte, espresso dalle Sezioni Unite nella pronuncia citata dal ricorrente, secondo cui il principio di legalità trova fondamento anche nell'art. 7 della Convenzione EDU oltre che nell'art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e nell'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza, oggi espressamente richiamata nel corpus comunitario attraverso l'art. 6, par. 1, del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007.
Nella giurisprudenza della Corte EDU al suddetto principio si collegano i valori della accessibilità (accessibility) della norma violata e della prevedibilità (foreseeability) della sanzione, accessibilità e prevedibilità che si riferiscono non alla semplice astratta previsione della legge, ma alla norma "vivente" quale risulta dall'applicazione e dalla interpretazione dei giudici.
Le Sezioni Unite, infatti, hanno fatto riferimento alla giurisprudenza e al ruolo dl\questa svolto nella precisazione del contenuto e dell'ambito applicativo del precetto penale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano,Rv. 248864).
Il dato decisivo da cui dedurre il rispetto del principio di legalità, sempre secondo la Corte EDU, è, dunque, la prevedibilità del risultato interpretativo cui perviene l'elaborazione giurisprudenziale, tenendo conto del contenuto della struttura normativa, prevedibilità che si articola nei due sotto principi di precisione e di stretta interpretazione (Corte EDU 02/11/2006, rie. Milazzo c. Italia; Grande Camera 17/02/2004, rie. Maestri contro Italia; 17/02/2005, rie. K.A. ET A.D. contro Belgio).
Orbene, ai fini che interessano, assume rilievo proprio l'assenza di un indirizzo interpretativo di legittimità precedente a quello indicato come affermatosi dal 2016 in poi nella giurisprudenza di questa Corte.
Sul punto, l'interpretazione di legittimità si è espressa nel senso di sottolineare la valenza retroattiva dell'interpretazione resa dalle Sezioni Unite, statuendo che il criterio fissato, ove conducente ad esiti di maggior favore per il reo, si applica anche per i fatti commessi anteriormente alla pronuncia, purché sui medesimi fatti non si sia formato il giudicato (Sez. 4, n. 1817 del 03/10/2014, dep. 2015, Merdita, Rv. 261767; Sez. 4, n. 46764 del 19/11/2013, Nourdin, Rv. 258564).
Deve rilevarsi che,secondo i parametri interpretativi fissati anche dalla Corte Costituzionale (Corte Cast. n. 230/2012), prendendo spunto dalle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), con particolare riferimento al principio di legalità penale di cui all'art. 7, come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria, si è riscontrato che l'art. 7 CEDU, pur enunciando formalmente il solo principio di irretroattività, delinea, nell'ambito del sistema europeo di tutela dei diritti dell'uomo, i due fondamentali principi penalistici nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege.
La richiamata norma presenta, in realtà, secondo il Giudice delle leggi, contenuti particolarmente qualificanti, resi progressivamente espliciti dalla giurisprudenza della Corte europea, che ne ha esteso la portata, includendovi il principio di determinatezza delle norme penali, il divieto di analogia e, più recentemente, il principio implicito della retroattività della legge meno severa (sentenza Grande Camera 17/9/2009, caso Scoppola c/ Italia), enucleando dal sistema della Convenzione il concetto di "legalità materiale".
La Corte di Strasburgo, inglobando nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di produzione giurisprudenziale, risulta, in tempi recenti, aver accolto un concetto di legalità "sostanziale" che impone di applicare anche all'attività interpretativa dell'organo di nomofilachia valori quali l'accessibilità della norma penale e la ragionevole prevedibilità delle sue conseguenze (Sentenza 10/7/2003, caso Grava c/ Italia; sentenza 2/7/2009, caso Iordan Iordanov c/ Bulgaria).
Si è, dunque, attribuito rilievo al cd. diritto giurisprudenziale, evocato anche dalla sentenza 8/2/2007 della Corte di giustizia (caso Groupe Danone c/ Commissione delle Comunità europee), che delinea una dimensione innovativa dello stesso principio di irretroattività, ritenendolo applicabile anche alla nuova interpretazione in senso sfavorevole di una norma, non ragionevolmente prevedibile nel momento della commissione dell'infrazione, conseguentemente imponendo l'applicazione retroattiva di un mutamento giurisprudenziale in senso favorevole al reo.
Tale impostazione data all'interpretazione del diritto convenzionale trova, peraltro, piena corrispondenza negli enunciati della Corte Costituzionale che, a partire dal 1974, ha elaborato la teoria del cd. diritto vivente, secondo la quale il portato di una norma si desume dall'interpretazione che ne viene data, in un determinato tempo ed in un preciso contesto, dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Secondo le pronunce della Consulta è sufficiente anche una sola decisione della Corte di legittimità in presenza di interpretazioni contrastanti, per determinare il vincolo del diritto vivente, specie se pronunciata a Sezioni Unite, posto che queste risolvono questioni di diritto di speciale importanza, dirimono contrasti insorti o anche potenziali tra le decisioni delle singole sezioni, a superamento del pluralismo ermeneutico e nella prospettiva costituzionalmente orientata all'affermazione dei principi di legalità ed uguaglianza (cfr. Corte Cost. n. 317/2009, n. 260/1992, n. 292/1985, n. 34/1977).
Con una meno risalente decisione, infine, la Consulta ha ribadito, pur specificando che il vincolo derivante da un mutamento giurisprudenziale non è equiparabile ad una modifica normativa, che l'applicazione retroattiva del mutamento interpretativo in senso più favorevole al reo di una norma penale costituisce espressione del principio di eguaglianza, ferma restando l'intangibilità del giudicato (Corte Cost. n. 230/2012).
Sulla base di queste considerazioni, ciò che risulta carente, rispetto al ragionamento svolto dalla difesa,è, dunque, l'esistenza di un precedente indirizzo giurisprudenziale di legittimità, espressosi in senso contrario a quello prospettato con la pronuncia del 2016, da questa Corte di cassazione.
1.3. Il secondo motivo e terzo motivo sono infondati. Il secondo motivo è infondato.
La condotta contestata nel capo di imputazione, ritenuta acclarata dai giudici di merito, attiene sia all'omessa attività di allocazione sui mezzi di impianti diretti a prevenire infortuni sul lavoro regolarmente funzionanti (attraverso l'allocazione di dispositivi atti ad eludere la corretta registrazione dei dati sul cronotachigrafo
di ciascun mezzo) sia alla condotta positiva di imposizione, ai danni dei singoli conducenti degli automezzi, di utilizzare accorgimenti o specifici dispositivi, diretti proprio ad alterare il regolare flusso dei dati del tachigrafo digitale.
Nel caso in esame, infatti, la fattispecie oggetto di giudizio è rappresentata dal danneggiamento dell'impianto cronotachigrafo installato sui mezzi della società di autotrasporti di G.P.V., realizzato mediante il posizionamento di magneti sul sensore di movimento che trasmette i dati dell'apparecchiatura analogica inibendo in tal modo la trasmissione di dati veritieri al tachigrafo, apparecchio per sua natura destinato alla prevenzione di infortuni sul lavoro.
La fattispecie sotto il profilo della violazione della norma incriminatrice di cui all'art. 437 cod. pen., è stata puntualmente accertata nella sua sussistenza concreta all'esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, sia in relazione al fatto in sé dell'alterazione o danneggiamento del cronotachigrafo imposte ai dipendenti, sia a quello dell'omesso controllo circa il regolare funzionamento di impianti diretti a prevenire infortuni sul lavoro.
Deve, infine, essere ribadito, come statuito da questa sezione Prima penale, nelle sentenze n. 47211 del 25/05/2016, Rv. 268892, n. 34107 del 29/03/2017 (quest'ultima non massimata), n. 10494 del 15/05/2019, Rv. 278496 che non sussiste rapporto di specialità tra la disposizione di cui all'art. 179 (secondo comma) C.d.S. e quella di cui all'art. 437 cod. pen., stante la diversità non solo (e non tanto) dei beni giuridici tutelati - rispettivamente costituiti dalla sicurezza della circolazione stradale (comprensiva di quella degli utenti terzi, diversi da colui che circoli alla guida del veicolo col cronotachigrafo manomesso) e dalla sicurezza dei lavoratori (e dunque dello stesso autore della violazione, se conducente del veicolo) - quanto soprattutto della natura strutturale delle due fattispecie sotto l'aspetto oggettivo e soggettivo.
1.4. Quanto dedotto con il terzo motivo (inosservanza ed erronea applicazione dell'art: 81, secondo comma, 157 e 158 cod. pen. e vizio di motivazione, con riferimento al tempus commissi delicti) non tiene conto, rivelandosi la relativa denuncia inammissibile perché non puntualmente tarata rispetto al complesso della motivazione, della condotta composita che viene ascritta all'imputato, anche alla stregua della contestazione.
Dunque, non appare dirimente l'approfondimento suggerito dalla difesa per la quale sarebbe stato necessario l'accertamento dei singoli episodi, consistiti nell'apposizione dei magneti così permettendo l'elusione della corretta registrazione dei dati sui cronotachigrafi digitali, sulla base dell'esame dei verbali delle contestazioni amministrative di cui all'art. 179 C.d.S.
Infatti, come esposto al § 1.1. la condotta contestata all'odierno ricorrente non si limita a quella commissiva, di natura istantanea, consumata attraverso l'imposizione, rivolta a singoli lavoratori, di installare i magneti atti ad alterare il sistema di rilevamento dei dati sui cronotachigrafi sui mezzi, come acclarato anche attraverso i verbali con i quale è stata elevata la contestazione amministrativa.
Questa, invero, è stata riconosciuta anche nella sua connotazione omissiva, consistita nell'omesso controllo assicurato da G.P.V. sul corretto funzionamento dei cronotachigrafi, strumenti a tutela dei lavoratori, acclarato, nello specifico caso di specie, a seguito di reperimento dei magneti a bordo dei mezzi della sua società di autotrasporti, anche in epoca successiva alle condotte denunciate e contestate (sino al 31 maggio 2013). Del resto, in tale caso, il datore di lavoro che imponga l'alterazione di un apparecchio avente finalità di prevenzione degli infortuni, risponde del reato di cui all'art. 437 cod. pen., atteso che tale condotta rientra nella previsione tipica della "rimozione" come si è ritenuto in più arresti (Sez. 1, n. 18221 del 09/04/2019, Sassonia, Rv. 275466; Sez. 1, n. 2200 del 12/09/2017, dep. 2018, cit., in motivazione) 1 perché per rimozione può intendersi anche l'attività diretta a frustrare il funzionamento dell'apparecchio.
Sicché la punibilità ex art. 437 cod. pen. deriva dalla semplice attività di rimozione e prescinde, per stare al caso in esame, dal fatto che il soggetto agente circoli o meno su strada con il mezzo di trasporto. In ogni caso, si rileva che anche alla stregua delle considerazioni svolte dalla difesa a pag. 32 e ss. del ricorso, circa la data di consumazione delle singole condotte accertate in sede amministrativa, si osserva che le indicate date di prescrizione per ciascun lavoratore sono individuate, comunque, come spirate in epoca successiva alla sentenza di primo grado.
1.5. Con il quarto motivo si devolve una censura inammissibile in questa sede, posto che si prospetta, formalmente un vizio ammissibile, ma in sostanza, si sollecita il riesame di atti e documenti, prodotti anche nel corso del giudizio di appello, onde apprezzare la contraddittorietà e manifesta illogicità denunciate, non consentito a questa Corte.
1.6. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Sulla natura di strumento di cautela adottata contro gli infortuni del cronotachigrafo si sono espresse diverse sentenze di questa Corte (Sez. 1, n. 10494 del 15/05/2019, dep. 2020, Conversano , Rv. 278496, in motivazione; Sez. 1, n. 2200 del 12/09/2017, dep. 2018, Gallini, Rv. 272364, in motivazione). Dunque, conforme a tale costante indirizzo interpretativo risulta la motivazione dei giudici di secondo grado.
1.7. Con il settimo motivo si denuncia un vizio inammissibile in sede di legittimità.
Si osserva che, quanto alla domanda risarcitoria, all'esistenza di cause azionate dai lavoratori in altra sede, nei confronti della s.r.l. Autotrasporti G.P.V., e non di G.P.V. in proprio, riguardanti spettanze retributive e non danni connessi alla condotta di cui all'art. 437 cod. pen.. le censure non sono ammissibili in sede di legittimità.
Si rileva che, rispetto all'entità del danno provocato dalla condotta delittuosa e all'ammontare della liquidazione di provvisionale. è inibito in questa sede ogni esame, dovendosi pacificamente ritenere che la determinazione di dette somme è riservata insindacabilmente al giudice di merito (che, peraltro, non ha l'obbligo di espressa motivazione quando, per la sua non particolare rilevanza, l'importo rientri nell'ambito del danno prevedibile Sez. 4, n. 20318 del 10/01/2017, Mazzella, Rv. 269882 in relazione alla liquidazione della provvisionale).

3. A fronte di ricorso non inammissibile deve essere rilevata l'intervenuta prescrizione del reato continuato ascritto all'imputato (nel senso che soltanto l'inammissibilità dei motivi di ricorso preclude il rilievo dell'eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata: Sez. U, n. 32 del 11/11/2000, De Luca, Rv. 217266).
Tenuto conto, ai fini dell'individuazione del tempus commissi delicti, dell'ultima condotta accertata (13 ottobre 2013, quando si era acclarata, nel corso della perquisizione ordinata dal PM in epoca successiva alle denunce dei lavoratori e della stessa data della contestazione, presso i locali della s.r.l. di cui G.P.V. era titolare, l'allocazione dei magneti che impedivano il regolare funzionamento dei cronotachigrafi) successiva alla data di cui al capo di imputazione, il Collegio rileva che deve, dunque farsi riferimento a quella contestata (31 maggio 2013).
Quindi, tenuto conto, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 157 e 160 cod. pen., della pena massima edittale per il reato per il quale si procede, nonché dell'esistenza di plurime cause interruttive del corso della prescrizione (sentenza di primo grado del 21 dicembre 2017), il reato ascritto a G.P.V. è prescritto alla data del 30 novembre 2020, data alla quale deve essere aggiunto il periodo di sospensione del corso della prescrizione di mesi 4 e giorni 30 (per rinvio dell'udienza del 5 maggio 2017 al 28 settembre 2017, mesi quattro e giorni ventisei, per astensione degli avvocati dalla partecipazione alle udienze, nonché giorni quattro per sospensione, ex art. 83 d.l. n. 18 del 2020, dal 27 maggio 2020 al 31 maggio 2020).
Sicché, il termine massimo è spirato in data 29 aprile 2021.

4. Deriva da quanto sin qui esposto l'annullamento senza rinvio, agli effetti penali, della sentenza impugnata, posto che il reato continuato ascritto all'imputato è estinto per intervenuta prescrizione.
Le restanti statuizioni, agli effetti civili, devono essere rigettate.
4.1. Consegue, altresì, la condanna alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalle parti civili indicate in dispositivo, ad esclusione di M.M. e A.P. che hanno rinunciato, in sede conciliativa, alla costituzione nel presente giudizio, come documentato dalla difesa.
 


P.Q.M.
 



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili OMISSIS che liquida in complessivi euro 4.500,00 oltre accessori di legge.
così deciso il 16 giugno 2022