Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 ottobre 2022, n. 31479 - Infortunio mortale  durante i lavori dell'appalto per il rifacimento del tetto del capannone. Responsabilità della proprietaria dell'immobile


 

 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CAVALLARO LUIGI
Data pubblicazione: 25/10/2022
 

Fatto


che, con sentenza depositata l'8.9.2016, la Corte d'appello di Venezia ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato LE. s.r.l. a rifondere all'INAIL il costo dell'infortunio mortale occorso al lavoratore G.P., già dipendente dell'impresa B.T. e deceduto il 7.8.2001 durante i lavori dell'appalto per il rifacimento del tetto del capannone di proprietà della medesima LE. s.r.l., escludendo inoltre il diritto di quest'ultima ad essere manlevata da UnipolSAI s.p.a.;
che avverso tale pronuncia LE. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo sei motivi di censura;
che l'INAIL ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria;
che B.T. e UnipolSAI s.p.a. (citata in questa sede come Fondiaria-SAI s.p.a.) sono rimasti intimati;
 

Diritto


che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7, d.lgs. n. 626/1994, 12 prel. c.c., 5, d.P.R. n. 547/1955, 4 e 20, L. n. 494/1996, per avere la Corte di merito ritenuto la sua responsabilità nella causazione dell'infortunio mortale, nonostante che, nell'affidamento dell'appalto, essa non avesse agito né come imprenditore committente né quale datore di lavoro, ma unicamente quale proprietaria dell'immobile su cui dovevano essere eseguiti i lavori, ed altresì per non aver considerato che non vi era alcun rischio specifico derivante dalle lavorazioni eseguite all'interno dell'azienda da dover preventivamente comunicare all'impresa appaltatrice, specie considerando che il lavoratore dipendente di quest'ultima era deceduto per essere rovinato al suolo a seguito del cedimento di un pannello di copertura del tetto del capannone;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 115, 116, 132, 2702, 2727 e 2729 c.c. per non avere la Corte territoriale considerato che la fattura prodotta in atti e relativa ai pregressi lavori eseguiti dalla medesima impresa sul lucernaio del medesimo capannone ben poteva far presumere che quest'ultima fosse pienamente consapevole dei rischi propri della copertura del tetto;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione dell'art. 112 c.p.c. nonché di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte di merito travisato le risultanze della prova documentale costituita dalla citata fattura e altresì per non aver considerato che la circostanza dell'avvenuta pregressa sostituzione dei pannelli di copertura del capannone non aveva formato di contestazione da parte avversa;
che, con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell'art. 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale pronunciato sul secondo motivo di appello concernente la pregressa conoscenza da parte dell'appaltatore dei rischi specifici della copertura del capannone;
che, con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112, ult. co., T.U. n. 1124/1965, per avere la Corte di merito ritenuto che il termine per l'esercizio dell'azione di regresso fosse di prescrizione e non di decadenza;
che, con il sesto motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1341, 1342, 1366, 1370 e 1371 c.c. per avere la Corte territoriale escluso la manleva dell'impresa assicuratrice nonostante che la clausola di esonero fosse stata aggiunta al modulo e risultasse in contrasto con altra presente nel formulario, ed altresì per non aver considerato che, trattandosi di clausola vessatoria, doveva essere specificamente sottoscritta a pena di inefficacia o comunque interpretata in modo da realizzare l'equo contemperamento degli interessi delle parti;

che, con riguardo al primo motivo, va premesso che, nel caso di appalto di lavori all'interno di un'azienda, il committente, nella cui disponibilità permanga l'ambiente di lavoro, è obbligato ex artt. 2087 c.c. e 7, d.lgs. n. 626/1994, ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell'impresa appaltatrice, e che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l'appaltatrice nell'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata (così, tra le più recenti, Cass. nn. 798 del 2017 e 5419 del 2019);
che, ai fini dell'applicazione dell'art. 7, d.lgs. 626/1994, il riferimento della norma cit. ai lavori da effettuarsi "all'interno dell'azienda" non può riguardare, secondo un criterio meramente topografico, solo l'opificio aziendale, ma ogni area che risulta nella disponibilità dell'impresa appaltante per la realizzazione dei suoi fini economici e che viene ad essere interessata dall'esecuzione dei lavori appaltati, rilevando a tal fine il rapporto di pertinenza tra siffatto ambiente lavorativo e la disponibilità che ne abbia l'impresa committente (così Cass. n. 11362 del 2009);
che, ciò posto, non può dubitarsi che l'appalto concernente lavori da eseguirsi sul tetto di un'azienda rientri a pieno titolo nell'ambito di applicazione dell'art. 7, d.lgs. n. 626/1994, nel testo vigente all'epoca dei fatti per cui è causa, trattandosi di parte necessaria dei locali adibiti all'esercizio dell'attività di impresa e la cui conformazione - specie nel caso di copertura di capannoni industriali - di norma è concepita anche in relazione al tipo di attività che si svolge all'interno del fabbricato;
che, sotto tale profilo, non può condividersi l'assunto di parte ricorrente, secondo cui la rilevanza della norma cit. andrebbe colta esclusivamente in relazione ai luoghi aziendali in cui il processo produttivo si compie ed è in atto, atteso che il riferimento del legislatore agli appalti "all'interno dell'azienda" è sicuramente previsto "al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva", come si legge nel comma 2, lett. b), ma - come pure si evince dall'impiego dell'avverbio "anche" prima della proposizione dianzi cit. - non certamente solo a tal fine, rilevando più ampiamente la finalità del legislatore di rendere edotti i lavoratori dell'appaltante dei "rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare", come si legge al precedente comma 1, lett. b), inclusi dunque quelli derivanti dalla particolare conformazione dell'edificio aziendale e della sua copertura;
che, pertanto, il primo motivo è infondato;
che il secondo, il terzo e il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell'intima connessione delle censure, tutte involgenti la questione se la ditta appaltatrice fosse o meno a conoscenza dei rischi specifici derivanti dalla natura del tetto aziendale e se la Corte abbia pronunciato (e cosa) sul punto;
che, al riguardo, la Corte territoriale ha affermato che "il precedente intervento" dell'impresa appaltatrice aveva interessato "la copertura in modo del tutto parziale e limitato (riguardando un lucernaio: si veda la fattura della Trolese, doc. 4 dell'appellante in I grado)" (così pag. 9 della sentenza impugnata), escludendo pertanto, anche in assenza di una specifica deduzione in tal senso, che l'impresa appaltatrice fosse a conoscenza dei rischi specifici della copertura;
che, tanto premesso, risulta evidente che i motivi in esame, al di là del riferimento a presunte violazioni di norme sostanziali e/o processuali, pretenderebbero di ottenere da questa Corte una rivalutazione del materiale probatorio sulla scorta del quale i giudici territoriali hanno escluso in capo alla ditta appaltatrice la specifica conoscenza dei rischi specifici inerenti la copertura aziendale;
che, pertanto, essi vanno dichiarati inammissibili, a tanto dovendo pervenirsi ogni qualvolta, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, si miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (così, da ult., Cass. S.U. n. 34476 del 2019);
che il quinto motivo è infondato, dovendo ribadirsi che il termine triennale per l'esercizio dell'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro, previsto dall'art. 112, T.U. n. 1124/1965, ha natura di termine prescrizionale e non di decadenza (così Cass. S.U. n. 5160 del 2015, già cit. dalla sentenza impugnata);
che il sesto motivo è radicalmente inammissibile, non essendo possibile veicolare la censura di violazione dell'art. 1341 c.c. in questa sede di legittimità quando abbia per presupposto un accertamento di fatto (come, nella specie, l'asserita contrarietà della clausola di esonero aggiunta al modulo con altra presente nel medesimo formulario) che non risulta effettuato e neppure sollecitato dinanzi ai giudici di merito (Cass. n. 319 del 1972) ed essendo lo stesso giudizio circa la vessatorietà della clausola contrattuale un giudizio di fatto che presuppone l'interpretazione di quella clausola nel contesto contrattuale complessivo, onde stabilirne la portata (così da ult. Cass. n. 10258 del 2022); che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
 

P. Q. M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 7.200,00, di cui € 7.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di / legge, in favore dell'INAIL. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale dell'8.6.2022.