Categoria: Cassazione civile
Visite: 2047

 

Cassazione Civile, Sez. 4, 28 ottobre 2022, n. 32020 - Né mobbing nè straining il demansionamento dettato da ragioni legittime di riorganizzazione dell'ente comunale datore



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV SEZIONE CIVILE



 

sul ricorso iscritto al n. 26119/2017 R.G. proposto da MV , rappresentata e difesa dall'Avv. Giuliana Ricioppo ed elettivamente domiciliata in Roma, via Giulio Cesare 71;
- ricorrente -
contro Comune di X
- intimato -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro n. 511/2017 puoblicata il 5 maggio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 settembre 2022 dal Consigliere Dario Cavallari.
 

Fatto


VM , con ricorso depositato il 6 agosto 2008 presso il Tribunale di Paola, ha esposto che:
era dipendente del Comune di X
era stata destinataria di condotte persecutorie da parte datoriale;
aveva subito un demansionamento perché l'incarico di responsabile del settore 5/Bilancio, a lei in origine assegnato, era stato dato ad altro dipendente.

La ricorrente ha chiesto, quindi, la condanna del Comune di X a risarcire il danno patrimoniale a lei causato, consistente nell'indennità di posizione organizzativa della quale avrebbe dovuto godere fino a giugno 2007, originaria data di scadenza dell'incarico in esame, e quello non patrimoniale patito, da liquidarsi in via equitativa.

Il Tribunale di Paola, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 499 del 2014, ha rigettato il ricorso.

VM ha proposto appello che la Corte d'appello di Catanzaro, nel contraddittorio delle parti, ha respinto.
VM ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi.

Il Comune di X non ha svolto difese.

La ricorrente ha depositato memorie.




Diritto


1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta il difetto assoluto di motivazione della sentenza o la sua apparenza od incomprensibilità, nonché la falsa applicazione di norme di diritto e
dei CCNNLL in relazione all'illegittima revoca dell'incarico apicale.
La doglianza è infondata.
La corte territoriale ha motivato la sua decisione, chiarendo che il rigetto dell'appello si fondava sulle seguenti circostanze:

- la stessa ricorrente aveva ammesso che la revoca del suo incarico era conseguita ad una riorganizzazione dell'ente e dei relativi responsabili;
- la revoca in esame era legittima;
- la richiesta risarcitoria si fondava sulla prospettazione di una fattispecie riconducibile ad un'ipotesi di mobbing, ma non era stata né allegata né provata la sussistenza di un intento persecutorio nei suoi confronti;
- il danno alla salute, dignità e personalità della ricorrente non era stato né allegato né provato.

2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l'apparenza e l'incomprensibilità della motivazione in quanto la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che dalle stesse modalità con le quali era avvenuta la riorganizzazione si evinceva l'esistenza di un'ipotesi di mobbing e, comunque, avrebbe errato nell'affermare che la domanda relativa al mobbing si fondasse sull'illegittimità della revoca.
Ricorrerebbe, altresì, l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
In paricolare, la Corte d'appello di Catanzaro non avrebbe considerato che, in esito alla citata riorganizzazione interna, la responsabilità del settore I e II sarebbe rimasta ad un apicale interno, mentre lo stesso non sarebbe avvenuto quanto al settore V, divenuto settore III, al quale essa era preposta.
Inoltre, non sarebbero state esaminate le deposizioni dei testi
La Corte territoriale avrebbe ignorato che l'ente locale l'avrebbe sottoposta ad una lenta erosione del suo mansionario, con attribuzione di incarichi non equivalenti, e che le sarebbero stati rivolti epiteti ingiuriosi.
La prova degli elementi costitutivi del mobbing sarebbe stata ricavabile, quindi, oltre che dalle deposizioni dei testi, anche applicando il ragionamento presuntivo, dovendosi tenere conto, peraltro, che essa ricorrente, nel 2011, con il cambiamento della dirigenza politica del Comune di x , aveva riottenuto le funzioni in precedenza svolte.
La Corte territoriale, infine, avrebbe omesso di vagliare tutta una serie di circostanza da lei dedotte (cfr. pagine 19-21 del ricorso).
La doglianza va respinta.
In ordine al vizio motivazionale, si richiama quanto esposto con riferimento al primo motivo di ricorso.

Inoltre, per ciò che concerne il mancato utilizzo del ragionamento presuntivo, si osserva che, in tema di giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass., Sez. 6-1, n. 52v9 del 26 febbraio 2020).
Nella specie, invece, la ricorrente prospetta proprio siffatto "convincimento diverso", chiedendo, in pratica, a questa Suprema Corte una nuova valutazione di merito di circostanze di fatto che le è preclusa.

Si sottolinea, poi, che il contenuto delle deposizioni dei testi menzionati nel ricorso non è stato neppure riportato rendendo impossibile qualsiasi considerazione relativamente alla sua decisività.

Occorre pure tenere conto che, nel caso in questione, ricorre un'ipotesi di c.d. doppia conforme per stessa ammissione della ricorrente.
Peraltro, nell'ipotesi di c.d. doppia conforme, prevista dall'art. 348 ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell'art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d'appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione - per evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'art . 36 0, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall'art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) - deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sent enza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. 1, n. 26774 del 22 diGembre 2016).
Ne deriva che, nella presente controversia, non sono ammissibili tutte le contestazioni concernente il mancato esame di fatti asseriitamente decisivi da parte del giudice di appello.

3) Con il terzo motivo la ricorrente contesta la violazione di norme di diritto per quel che riguarda la pretesa dicotomia tra domanda di mobbing o demansionamento, in particolare degli artt. 2087 e 2103 c.c., nonché motivazione apparente ed omesso esame di fatti per mancato riconoscimento del danno da straining.
Infatti, la corte territoriale avrebbe dovuto comunque riconoscere, pur negando la ricorrenza di un'ipotesi di mobbing, la sussistenza di una condotta di sostanziale esautoramento di essa ricorrente dalle sue mansioni.

In pratica, sarebbe stato onere del giudice di appello, esclusa la presenza di un intento persecutorio, valutare se, in base agli elementi dedotti, altre circostanze consentissero di risalire in via presuntiva al fatto ignoto della presenza di un più tenue danno, come quello dipeso dallo straining.
Innanzitutto, si rileva che non possono trovare accoglimento, per le ragioni già esposte quanto ai primi due motivi di ricorso, le doglianze attinenti all'apparenza della motivazione ed all'omesso esame dei fatti.
Per ciò che concerne lo straining, indubbiamente, ai sensi dell'art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" (c.d. straining ) e, a tal fine, il giudice del merito, pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno (Cass., Sez. L, n. 3291 del 19 febbraio 2016).
Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ammette che il fenomeno dello straining, costituendo una forma attenuata di mobbing, cui difetta la continuità delle azioni vessatorie, possa essere prospettato solo in appello se, nel ricorso di primo grado, gli stessi fatti erano stati allegati e qualificati come mobbing, in quanto non vi è violazione dell'art. 112 c.p.c., costituendo entrambi comportamenti datoriali ostili, atti ad incidere sul diritto alla salute (Cass., Sez. L, n. 18164 del 10 luglio 2018).
Pertanto, in astratto la corte territoriale avrebbe potuto accertare il verificarsi dello straining in luogo del mobbing .
Nella specie, però, la ricorrente non considera che tale riqualificazione della domanda non sarebbe stata possibile perché la Corte d'appello di Catanzaro, a prescindere da ogni considerazione in ordine all'intento persecutorio, ha escluso anche l'illegittimità delle condotte che, secondo la prospettazione di VM avrebbero integrato l'elemento oggettivo dell'illecito contestato.
Inoltre, si evidenzia che, per la giurisprudenza di legittimità, il c.d. straining è ravvisabile quando il datore di lavoro adotti iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante condizioni lavorative 'stressogene" e non ove la situazione di amarezza, determinata ed inasprita dal cambio della posizione lavorativa, sia determinata dai processi di riorganizzazione e ristrutturazione che abbiano coinvolto l'intera azienda (Cass., Sez. L, n. 2676 del 4 febbraio 2021).
Infine, deve sottolinearsi che il giudice di secondo grado ha rigettato l'appello anche per difetto di allegazione e prova dei danni lamentati (alla salute, dignità e personalità) e tale statuizione inevitabilmente rendeva impossibile ed inutile la valutazione dell'esistenza di un caso di straining piuttosto che di mobbing.

4) Con il quarto motivo la ricorrente contesta l'apparenza e l'apoditticità della motivazione e l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio sotto il profilo dell'insussistenza della lesione all'immagine professionale, alla dignità personale e alla vita di relazione, nonché la violazione e falsa applicazione dell' art. 191 c.p.c.
In concreto, la corte territoriale avrebbe omesso di valutare nel loro complesso tutti gli elementi probatori forniti dalla ricorrente a proprio sostegno, così errando nell'escludere l'esistenza di un comportamento vessatorio dell'ente locale.
Inoltre, i fatti di causa sarebbero stati valutati singolarmente e non insieme e gli uni per mezzo degli altri.
Viene censurata, infine, anche la mancata ammissione di una CTU.
La doglianza va respinta.
In ordine alle questioni inerenti alla motivazione ed all'omesso esame di fatti decisivi, si richiamano le ragioni che hanno condotto al rigetto dei precedenti motivi, soprattutto quelle concernenti l'avvenuta esplicazione, ad opera della corte territoriale, dell' iter logico seguito per il rigetto dell'appello e la c.d. doppia conforme.
L'esame della contestazione che investe la valutazione non nel loro insieme dei fatti di causa finisce, poi, con il proporre una diversa valutazione di merito di tali fatti, è preclusa a questa Suprema Corte.
Infine, si sottolinea che non è contestabile, in sede di legittimità, la mancata ammissione, nei gradi precedenti, di una CTU.
Infatti, la consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario e potendo la motivazione dell'eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass., Sez. 6-1, n. 326 del 13 gennaio 2020).

5) In conclusione, il ricorso è rigettato.
Nessuna statuizione deve essere emessa sulle spese di lite, in ragione della condotta processuale di controparte.
Sussistono le condizioni richieste dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, per dichiarare l'obbligo della ricorrente di corrispondere un importo pari a quello del contributo unificato versato, se dovuto.

 

P.Q.M.
 



La Corte,
- rigetta il ricorso;
- dichiara che sussistono le condizioni richieste dall'art. 13, comma 1-quater , del d.P. R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, per affermare l'obbligo della ricorrente di corrispondere un importo pari a quello del contributo unificato versato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione