Cassazione Penale, Sez. 4,  08 novembre 2022, n. 42034 - Infortunio mortale del marinaio durante l'operazione di recupero delle reti a strascico: responsabilità del comandante e dell'armatore dell'imbarcazione


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 13/10/2022
 

Fatto




1. La Corte di Appello di Bari, con la pronuncia indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Foggia nei confronti di P.R. e G.C.W. in relazione al reato previsto dall'art.589 cod. pen., aggravato dalla violazione degli artt.71, comma 1, d. lgs. 9 aprile 2008, n.81 e 6 d. lgs. 27 luglio 1999, n.271 (P.R.) e degli artt.6 e 7 d. lgs. n.217/99 (G.C.W.) per avere cagionato per colpa il decesso di G.L. in Monte Sant'Angelo, loc. Varcaro, il 9 settembre 2010.

2. Agli imputati G.C.W., in qualità di comandante, e P.R., in qualità di armatore dell'imbarcazione «Andromeda» e datore di lavoro, è stata attribuita la colpa di aver cagionato la morte del marinaio G.L. che, mentre eseguiva l'operazione di recupero delle reti a strascico, era scivolato sulla campana del verricello ed era rimasto impigliato nel sistema di avvolgimento della rete; in particolare, per non aver dotato il lavoratore del necessario dispositivo di protezione individuale (caschetto), per aver omesso di attuare misure tecniche e organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'impiego delle attrezzature di lavoro, per aver omesso di formare ed informare il lavoratore dei rischi specifici connessi all'attività svolta.

3. I giudici di merito, con pronunce conformi, hanno ricostruito il fatto come segue:
Il motopeschereccio «Andromeda» iscritto presso il Compartimento marittimo di Manfredonia con il numero di matricola MS 2918, avente come armatore la Coop . San Pio a r.l. di Manfredonia, il cui presidente e legale rappresentante all'epoca dei fatti era P.R., al momento dell'infortunio si trovava al largo del porto di Manfredonia impiegato nell'operazione di pesca a strascico con a bordo il comandante, G.C.W., e il marittimo, G.L., regolarmente imbarcato come marinaio sul motopeschereccio; il natante era in regola con le prescrizioni, come da certificato rilasciato il 23 aprile 2010 dal RINA - Registro Italiano Navale - ed era adatto alla navigazione entro le sei miglia dalla costa per il servizio di pesca costiera locale; il mare era forza 3SW, il vento SW3, la visibilità era buona, la temperatura era di 25° e il tempo nuvoloso; nelle fasi di recupero della rete il comandante si era posizionato a poppa mentre G.L. si era posizionato a prora nei pressi del verricello (che è un'attrezzatura installata al centro della coperta dell'imbarcazione per la movimentazione in verticale e in orizzontale della rete a strascico) per comandarne l'utilizzo; la coperta del peschereccio era scivolosa perché erano state fatte delle calate della rete con recupero e vi era deposito del materiale pescato, c.d. «lippo» in termini dialettali; l'imbarcazione, con motore a folle, era sottoposta all'azione del mare mosso, con fenomeni di beccheggio e rollio; nel compiere le operazioni di avvolgimento della corda di recupero della rete da pesca a verricello attivo in rotazione, il marinaio era rimasto impigliato ed era stato trascinato e schiacciato dal sistema di avvolgimento verricello­ tamburi la cui forza di avvolgimento aveva provocato un trauma multiplo, soprattutto a carico del torace e della testa, staccata dal resto del corpo. In particolare, il marinaio, a causa del mare mosso e della coperta scivolosa, aveva perso l'equilibrio ed era caduto con il corpo verso la campana destra del verricello che, anche quando il verricello era fermo, era in continua rotazione perché il meccanismo di funzionamento era stato bloccato con un «chiodo» che ne impediva l'arresto. La parte sinistra della testa del G.L. si era incastrata nello spazio intercorrente tra la campana e il carter mentre, a causa della rotazione della campana, il suo corpo era stato roteato provocando il distacco della parte sinistra della testa dal resto del corpo.

4. G.C.W. e P.R. ricorrono per cassazione, con unico atto/ censurando la sentenza impugnata con motivi non separatamente articolati, deducendo:
a) violazione di legge ed erronea interpretazione della legge, in particolare di quanto disposto dall'art.192 cod. proc. pen. in tema di valutazione della prova;
b) violazione ed erronea interpretazione della legge per quanto attiene alla denunciata già in primo grado nullità del decreto di citazione a giudizio in quanto indeterminato nella sua formulazione e quindi in violazione degli artt.178 e 558 lett.c) cod. proc. pen.;
c) erronea interpretazione e violazione di legge per quanto attiene all'interpretazione delle norme di sicurezza con riferimento alle condotte e ai ruoli degli imputati, nonché alle prove acquisite dalla difesa;
d) omessa motivazione in merito alla determinazione della somma dovuta alle parti civili a titolo di risarcimento del danno, in merito alla revoca della provvisionale e della subordinazione della sospensione condizionale della pena all'avvenuto pagamento.

5. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina dettata dall'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020,n. 176, in virtù del disposto dell'art.16, comma 1, d.l. 30/12/2021 n. 228, sono comparsi il Procuratore generale e il difensore del ricorrente, che hanno concluso come indicato nell'intestazione.


 

Diritto




1. Esaminando la seconda censura, in quanto preliminare rispetto alle altre ragioni di doglianza, occorre ricordare che l'art. 552, comma 1 lett.c), cod. proc. pen. prevede che il decreto di citazione a giudizio contenga l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa; se ne desume che la omessa enunciazione del fatto, da intendersi in termini di condotta tipica del reato, integra la inosservanza delle disposizioni concernenti l'iniziativa del Pubblico Ministero nell'esercizio dell'azione penale e comporta la nullità assoluta dell'atto a norma dell'art.179 cod. proc. pen. (Sez. 6, n.9659 del 03/02/2015, Sarno, Rv. 262500 - 01; Sez. 1, n.19928 del Ò9/04/2014, Sussarellu, Rv. 259793 - 01).
1.1. La difesa ripropone la doglianza secondo la quale all'imputato P.R. è stata contestata la violazione dell'art.71, comma 1, d. lgs. 9 aprile 2008, n.81 e dell'art. 6 d. lgs. 27 luglio 1999, n.271, senza specificare le relative condotte, e all'imputato G.C.W. la violazione degli artt.6 e 7 d. lgs. n.217/99, senza alcun riferimento al d. lgs. n.81/2008, senza specificarne la ragione; le azioni omissive, si assume, sarebbero state riportate in modo generico e la Corte territoriale non avrebbe risposto in maniera precisa all'eccezione sollevata dalla difesa.
1.2. Secondo l'accusa, vale la pena sottolineare, P.R. era indicato come responsabile, nella qualifica di armatore e datore di lavoro, della violazione della norma che impone di mettere a disposizione dei lavoratori un'attrezzatura conforme ai requisiti previsti dal d. lgs. n.81/2008 e adeguata al lavoro da svolgere, oltre che dell'omessa dotazione del lavoratore del necessario dispositivo di protezione individuale, nonché dell'omessa formazione e informazione del lavoratore sui rischi specifici connessi all'attività svolta; G.C.W. era indicato come responsabile, nella qualità di comandante dell'imbarcazione, dell'omessa dotazione del marinaio del necessario dispositivo di protezione individuale, dell'omessa adozione delle misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'impiego delle attrezzature di lavoro, dell'omessa segnalazione all'armatore di deficienze e anomalie che avrebbero potuto compromettere la sicurezza del lavoratore, dell'omessa informazione del lavoratore sui fattori di rischio, dell'omesso addestramento del marinaio al corretto utilizzo delle attrezzature.
1.3. Osserva il Collegio che la censura, oltre che palesemente dissonante, dalla chiara enunciazione della condotta tipica del reato di omicidio colposo con violazione delle norme antinfortunistiche formulata dalla pubblica accusa, è aspecifica in quanto omette ogni confronto con la ragione determinante per la quale il giudice di appello ha rigettato l'eccezione difensiva, ossia la tardività di essa e la conseguente sanatoria dell'eventuale vizio. Su tale profilo decisorio, fondato sul rilievo che l'enunciazione insufficiente del fatto contestato possa determinare una nullità relativa, il ricorso è totalmente silente e il motivo di impugnazione che ometta di confrontarsi con le ragioni della decisione nella loro integralità non può considerarsi ammissibile.
1.4. La Corte di appello ha, dunque, rigettato l'eccezione di nullità del capo di imputazione ritenendola tardiva in quanto non sollevata entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1, cod. proc. pen., dunque sanata; i giudici hanno, inoltre, correttamente, esaminato nel merito l'eccezione ritenendo che il capo di imputazione avesse puntualmente indicato il fatto addebitato a ciascuno degli imputati, in modo tale da consentire alla difesa di cogliere gli aspetti essenziali dell'accusa.

2. Trattando ora delle altre censure, che risultano di ardua enucleazione dal contesto dell'atto in quanto commiste a deduzioni in fatto e non distintamente rubricate, si osserva quanto segue .
2.1. Gli argomenti difensivi asseritamente trascurati dal giudice di appello riguardano, si legge nel ricorso, la certificazione rilasciata il 23 aprile 2010 dal Registro Italiano Navale, la circostanza che tutti i natanti della marineria di Manfredonia fossero dotati del medesimo tipo di verricello, cosicché chi lavorava a bordo era a conoscenza della situazione di grave rischio, l'esperienza della vittima maturata su altre imbarcazioni, dunque la sua formazione, il fatto che l'omessa fornitura di dispositivi di protezione individuale sia stata desunta presuntivamente dall'assenza del verbale di consegna obbligatoria. La difesa ha anche lamentato la scelta dei giudici di merito di fondare la loro decisione sulla sola consulenza tecnica del pubblico ministero, sulla cui scorta si è ritenuto che l'assenza del casco sia stata fondamentale nella fase dinamica dell'evento infortunistico, trascurando la perizia autoptica che si era discostata dalle conclusioni del consulente. Con riguardo alla nullità del decreto di citazione, tale da indurre a ritenere che le contestazioni contravvenzionali facessero parte di altrettanti capi di imputazione, essa è stata rigettata non tenendo conto della impossibilità di stabilire in che misura le condotte ascritte agli imputati abbiano inciso rispetto alla causa concorsuale del mare mosso e della presenza di «lippa».
2.2. I ricorrenti indugiano nel contestare la ricostruzione del fatto, ritenendo che la Corte territoriale abbia trascurato di replicare alle argomentazioni difensive inerenti alla posizione del marinaio, al suo abbigliamento, alle condizioni delle attrezzature di lavoro, all'utilità del caschetto ad evitare l'evento.
2.3. La difesa censura l'omesso esame delle argomentazioni secondo le quali il RINA aveva accertato la regolarità delle attrezzature presenti sul natante, come anche la redazione del piano di sicurezza, corrispondente al DVR, elaborato da Ismar Cnr di Ancona per 1a flotta marchigiana, simile a quella pugliese, non contenente il rischio verificatosi nel caso specifico. La Corte avrebbe omesso di rispondere alle eccezioni inerenti al fatto che l'armatore avesse sempre ottenuto dal RINA l'attestato che le sistemazioni di bordo fossero a norma, ivi incluso il verricello; l'armatore era a conoscenza del fatto che la Capitaneria di porto di Manfredonia, solo cinque mesi prima dell'evento mortale, aveva certificato la conformità del motopeschereccio «Andromeda» alle disposizioni di legge, cosicché sia l'armatore che il comandante non avrebbero potuto immaginare che, nonostante tutti i controlli, il verricello potesse essere causa di qualche incidente.
2.4. Il marinaio G.L. era imbarcato dal 2 settembre 2008 ed era dunque avvezzo all'ambiente di lavoro, nè corrisponde al vero che non fosse stato informato sui rischi connessi all'attività lavorativa, in quanto tra i documenti posti sotto sequestro vi erano due manuali di gestione per la sicurezza dell'ambiente di lavoro a bordo delle navi da pesca. Non corrispondente al vero è anche l'assenza del medico, che aveva invece visitato G.L. il 25 agosto 2008, ritenendolo idoneo alle mansioni svolte. Mancherebbe la prova che l'evento non sia dipeso da un imprevisto o da un movimento azzardato dello stesso lavoratore.
2.5. Nel ricorso si contesta la valutazione del risarcimento dovuto in favore delle costituite parti civili, considerato che le eccezioni svolte sul punto dalla difesa non sono state esaminate dalla Corte.
2.6. Risultano ignorate anche le memorie aggiuntive depositate dalla difesa, riguardanti la normativa applicabile in materia di sicurezza e di salute per il lavoro a bordo delle navi da pesca. Sulla base di tale normativa, si assume, si sarebbe dovuto acquisire lo statuto anche per verificare le responsabilità di ciascuno, ivi compreso il mozzo. Le eventuali modifiche al verricello non potevano essere effettuate dall'armatore o pensate dal comandante responsabile della sicurezza, in quanto rispettose della ordinarietà della conduzione. Nessuna analisi delle condotte è stata effettuata dagli organi accertatori e dal perito.

3. Il Collegio osserva che, nella sentenza di primo grado, era stata illustrata in dettaglio la situazione di fatto accertata nel corso dell'istruttoria dibattimentale. La prova testimoniale e documentale aveva condotto il giudice di merito a ritenere accertato che il gruppo del verricello occupava quasi tutta l'area di superficie di lavoro in coperta, lasciando liberi, ai due lati delle campane che lo fiancheggiavano, circa 35-38 centimetri; al momento dell'infortunio, la campana del verricello era scoperta, non aveva alcun elemento protettivo e tra il verricello e la campana vi era uno spazio non protetto. Il sistema di azionamento del verricello era bloccato da un chiodo, che ne consentiva il continuo funzionamento; solo la rimozione del chiodo avrebbe arrestato il meccanismo. Successivi sopralluoghi avevano consentito di verificare che, dopo l'infortunio, erano state apportate alcune modifiche; in particolare, era stata apposta una leva a pedale per azionare il verricello solo su comando dell'operatore ed era stata apposta una struttura metallica a copertura della campana.
3.1. Il lavoratore non era provvisto di elmetto e tale dispositivo individuale avrebbe avuto, si legge nella sentenza sulla base di un'argomentazione non manifestamente illogica, un'importante funzione di salvaguardia della testa del lavoratore, rimasta invece incastrata nel verricello fra la campana in movimento e i tamburi.
3.2. Lo stato dei luoghi presentava il rischio che le campane, in continuo movimento e prive di protezione, intrappolassero parti del corpo del lavoratore, che, per andare dalla prora alla poppa, non avrebbe potuto fare altro che passare nel ristretto spazio di 35-38 centimetri esistente tra ognuna delle due campane, in permanente rotazione, e la fiancata.
3.3. Sia la dotazione del dispositivo di protezione individuale, sia la dotazione di carter di protezione sugli organi meccanici in movimento, sia la dotazione di un idoneo sistema di azionamento del verricello solamente quando il lavoratore fosse stato lontano dagli organi in movimento, avrebbero evitato l'evento mortale.

4. Con riguardo alla valutazione delle prove, ritenute dalla difesa non dimostrative della violazione di cautele antinfortunistiche a fronte della ascrivibilità dell'evento mortale al mare grosso e al pavimento scivoloso del motopeschereccio, i giudici di appello hanno, in merito alla condotta, ritenuto provato che vi sia stata una grave omissione di misure tecniche e organizzative idonee a ridurre i rischi connessi all'impiego delle attrezzature di lavoro, oltre che l'omissione di informazione e formazione della vittima e di fornitura di dispositivi antinfortunistici individuali.
4.1. La descrizione dell'attrezzatura di lavoro emergente dalla prova testimoniale ha consentito ai giudici di ritenere non contestabile l'accertamento della prassi che le campane laterali del verricello montate sul motopeschereccio fossero in continua rotazione in quanto il meccanismo era bloccato per mezzo di un chiodo, la cui rimozione avrebbe consentito al meccanismo di arrestarsi; le medesime campane esterne erano prive di protezione e in pessimo stato di manutenzione; tra le campane laterali esterne e il carter di protezione dei tamburi esterni non vi era protezione tale da impedire l'intrappolamento nello spazio esistente fra campane e carter.
4.2. Sulla base di tali acquisizioni fattuali, anche i giudici di appello hanno ritenuto che tanto l'armatore quanto il comandante dell'imbarcazione, nell'ambito delle rispettive competenze, avessero violato:
- l'art.6, comma 5 lett. q), d. lgs. n.271/99, che prescrive ad entrambi di «attuare misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'impiego delle attrezzature di lavoro presenti a bordo ed impedire che queste vengano utilizzate per operazioni o in condizioni per le quali non sono adatte», specificando che tali misure si sarebbero sostanziate nell'installazione di sistemi di protezione di tutti gli spazi del verricello che potessero costituire pericolo, come ad esempio quello esistente tra le campane e il tamburo, così come nell'approntamento di un sistema di azionamento del verricello tale da consentire che non restasse costantemente in funzione quando l'operatore non era a distanza di sicurezza;
- l'art.6, comma 5 lett.g), d. lgs. n.271/99, che prescrive ad entrambi di «fornire ai lavoratori marittimi i necessari dispositivi individuali di sicurezza e di protezione, conformi alle vigenti norme e mantenerne le condizioni di efficienza », specificando che il dispositivo di protezione individuale necessario era il caschetto, la cui adozione avrebbe evitato che la testa del marinaio rimanesse intrappolata nel meccanismo di recupero della rete .
4.3. Se anche si è ritenuto provato che la vittima avesse perso l'equilibrio a causa del mare mosso e della coperta scivolosa, la circostanza che il lavoratore fosse scivolato rimanendo incastrato nello spazio presente tra la campana e il carter, mentre la campana era in continuo movimento di rotazione, si è ritenuta dimostrativa, con argomentazione del tutto congrua, del fatto che la morte fosse conseguenza anche della violazione di norme in materia di sicurezza sul lavoro, oltreché di generica negligenza mostrata dagli imputati con l'accettazione della prassi di inserire un chiodo per mettere in folle il motore e consentire alle campane di girare continuamente, specie nello spazio di soli 38 centimetri presente nel corridoio di passaggio tra la prua e la poppa del peschereccio. Ove le norme prevenzionistiche fossero state rispettate, si legge nella sentenza, l'evento sarebbe stato evitato con apprezzabile possibilità.
4.4. Con riguardo al nesso causale, la Corte ha ritenuto che rientrasse nell'area di rischio che entrambi gli imputati erano chiamati a governare evitare che nelle condizioni di mare grosso e di pavimento scivoloso della coperta del peschereccio si verificassero eventi del genere di quello concretizzatosi in quanto, tanto le condizioni metereologiche quanto la scivolosità della coperta del natante conseguente al recupero a bordo del pescato, non integrano quel rischio eccentrico che determina l'innescarsi di un percorso causale del tutto autonomo rispetto a quello attivato dalla condotta del garante.
4.5. Sotto il profilo della violazione di regole cautelari, segnatamente l'art.6, comma 5 lett.q) e lett. g) d. lgs. n.271/99, la Corte ha evidenziato trattarsi di obblighi gravanti tanto sull'armatore quanto sul comandante della nave.
5. Se ne deve trarre la conclusione che i giudici di merito abbiano sviluppato una motivazione corretta in diritto, completa e non manifestamente illogica né contraddittoria, tanto con riguardo al profilo della concretizzazione del rischio che le misure omesse avrebbero dovuto evitare, quanto in relazione alla oggettiva prevedibilità delle conseguenze che sarebbero derivate dall'omessa adozione di cautele doverose nelle condizioni di tempo e di luogo connotanti il caso concreto.
5.1. Se, infatti, elemento fondante la responsabilità di entrambi gli imputati è stata la violazione di norme al cui rispetto entrambi, nelle rispettive qualità, erano tenuti, del tutto prive di fondamento si palesano le censure inerenti all'omessa indicazione delle rispettive aree di rischio e delle omissioni ad esse correlate, concretate, da un lato, dall'utilizzo di un sistema di azionamento delle campane esterne tale da consentirne il movimento indipendentemente dalla posizione del lavoratore rispetto alle stesse, dall'altro, dall'utilizzo di attrezzature prive di strutture protettive degli organi in movimento.
5.2. Né risulta trascurata l'argomentazione difensiva che attiene al rilascio del certificato di navigabilità da parte del Registro Italiano Navale, avendo i giudici di merito specificato che tale documento non esime il datore di lavoro dal verificare il rispetto della normativa antinfortunistica, trattandosi di documento che ha valore certificativo della sicurezza della navigazione, piuttosto che dell'attività lavorativa che si svolge a bordo del natante.
5.3. La posizione di garanzia del comandante e dell'armatore è stata, dunque, correttamente inquadrata con riferimento alla violazione della normativa antinfortunistica citata, in linea con la considerazione che la dichiarazione rilasciata dal Registro Italiano Navale ai sensi dell'art.19 del d.m. 22 giugno 1982 (Approvazione del regolamento di sicurezza per le navi abilitate all'esercizio della pesca costiera) certifica la sottoposizione a controllo delle dotazioni di sicurezza dei macchinari a bordo del natante eseguita dalla Capitaneria di porto e attestante che il natante è strutturato in conformità ai requisiti di sicurezza della navigazione previsti dal d.P.R. 8 novembre 1991, n.435 e dai decreti ministeriali adottati per recepire le disposizioni adottate da organismi internazionali (art.10 d.P.R. cit.); tale testo normativo prevede visite e ispezioni concernenti «l'idoneita' della nave alla navigazione», funzionali al rilascio e alla conferma del «certificato di navigabilità» (art.21 d.P.R. cit.), e specifica quali siano le attrezzature soggette a verifica per le c.d. «annotazioni di sicurezza» (art.29 d.P.R. cit.). La Corte territoriale ha correttamente ritenuto che le certificazioni esibite fossero del tutto estranee alla materia della sicurezza sul lavoro; tale argomento è conforme a legge in quanto gli enti tecnici e amministrativi preposti al rilascio dei certificati che abilitano alla navigazione svolgono accertamenti funzionali a verificare «l'adempimento delle prescrizioni relative alla sicurezza della vita umana in mare» (art.36 d.P.R. cit.). Nella sentenza è stato, inoltre, correttamente precisato che i certificati concernenti le attrezzature presenti sul motopeschereccio non autorizzavano l'apposizione di un chiodo che lasciasse operativo il meccanismo di rotazione delle campane né l'omessa fornitura ai lavoratori di presìdi antinfortunistici.

6. Corretto in diritto ed esente da vizi motivazionali è il punto della decisione in cui la Corte ha ritenuto infondata la censura inerente alla quantificazione del danno subito dalle parti civili, trattandosi di questione che il giudice di primo grado aveva demandato al giudice civile; ne consegue la manifesta infondatezza dell'analoga censura sottoposta al giudizio della Corte di legittimità.
Per quanto attiene all'istanza di revoca della provvisionale e della subordinazione della sospensione condizionale all'avvenuto pagamento della stessa, va evidenziato che specifica replica ad analoga censura, invero parimenti aspecifica, è comunque rinvenibile a pag.13 della sentenza impugnata.

7. In conclusione, i ricorsi sono infondati e devono essere rigettati; segue, a norma dell'art.616 cod.proc.pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 13 ottobre 2022