Cassazione Penale, Sez. 4, 08 novembre 2022, n. 42023 - Responsabilità del presidente della cooperativa per la caduta dal tetto del lavoratore


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 04/10/2022
 

Fatto




1. Con sentenza dell'11/10/2021, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha concesso le circostanze attenuanti generiche a V.S., rideterminando la pena inflitta in quella di anni 1 e mesi 6 di reclusione.
Il V.S. è stato riconosciuto responsabile del delitto di omicidio colposo con violazione delle norme antinfortunistiche in danno del lavoratore B.J., per avere, in qualità di presidente del consiglio direttivo del circolo denominato "Associazione Sportiva Isola del Pescatore", omesso di adottare tutte le necessarie cautele richieste per l'effettuazione di lavori in quota a cui era stato adibito il predetto B.J..
Alla stregua di quanto accertato dai giudici di merito nelle due sentenze conformi, il lavoratore doveva provvedere al rifacimento del tetto di una manufatto, ad un'altezza superiore a due metri. Il B.J., nel corso dell'attività, precipitava dal tetto, procurandosi lesioni gravissime che, circa un mese dopo, ne determinavano il decesso.
2. Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.) quanto segue.
I) nullità della sentenza per violazione degli artt. 178, comma 1, 180 e 601, comma 4, cod. proc. pen.
La difesa lamenta la mancata citazione a giudizio innanzi alla Corte di appello del responsabile civile. La parte civile, sottolinea il ricorrente, aveva revocato la sua costituzione in giudizio solo in sede di udienza, pertanto, ai fini di una valida instaurazione del rapporto processuale, si doveva fare luogo alla notifica del decreto di citazione a giudizio del responsabile civile.
II) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla omessa valutazione della testimonianza resa in dibattimento dal teste F.V.; violazione degli artt. 546, 125, 192 cod. proc. pen. e 111 Cost.
In sede di appello si era evidenziato come, sulla base della testimonianza resa dal predetto teste, dovesse escludersi che la persona offesa fosse caduta al suolo mentre era intento a lavorare su incarico del ricorrente.
Il F.V. ha invero dichiarato che il B.J. aveva intrapreso il lavoro sua sponte, senza ricevere alcun ordine da V.S..
Il giudice di primo grado ha frettolosamente sostenuto come tale testimonianza fosse inattendibile, non attribuendo il giusto peso ad essa, benché la sua portata fosse in grado di scardinare l'intera ricostruzione offerta in sentenza e di elidere la responsabilità del ricorrente.
La Corte di merito, investita della questione, non avrebbe offerto adeguata motivazione, astenendosi dal valutare con la dovuta attenzione gli elementi favorevoli all'imputato nell'ottica di una ricostruzione alternativa della vicenda.
3. Il P.G. presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del primo motivo di ricorso.
Il difensore dell'imputato ha presentato memoria nella quale, riportandosi interamente ai motivi di ricorso, insiste nel richiedere il loro accoglimento.

 

Diritto




1. Il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile.
2. Quanto al primo motivo di doglianza, è d'uopo rilevare come il ricorrente non sia legittimato a proporre la questione sollevata in questa sede, non avendo alcun interesse giuridicamente apprezzabile a far rilevare l'omessa citazione del responsabile civile in grado di appello (cfr. in termini Sez. 4, n. 47288 del 09/10/2014 Rv. 261071: "L'omessa citazione nel giudizio di impugnazione del responsabile civile, presente nel giudizio di primo grado, integra una nullità di ordine generale a regime intermedio che può essere eccepita esclusivamente dalla parte illegittimamente pretermessa e non anche dall'imputato, il quale non vanta un interesse giuridicamente apprezzabile all'osservanza della disposizione violata"). Peraltro, nel caso in esame la mancanza di interesse a sollevare la questione di cui si tratta è resa ancora più evidente dalla revoca della costituzione in giudizio della parte civile.
3. Nel merito le doglianze difensive sono destituite di fondamento. I giudici di appello, condividendo la motivazione espressa in primo grado, hanno evidenziato come la responsabilità dell'incidente mortale occorso al B.J. debba ascriversi al ricorrente quale datore di lavoro di fatto dell'infortunato. Tale convincimento è stato tratto dalle dichiarazioni dello stesso B.J., il quale chiarì nel corso di sommarie informazioni che, a differenza degli altri soci della cooperativa, viveva in un alloggio messo a disposizione della società in cambio dello svolgimento di lavori di manutenzione.
Tutto ciò è sufficiente per ritenere che la persona offesa fosse alle dipendenze della società cooperativa, di cui era legale rappresentante il ricorrente; peraltro le dichiarazioni dell'infortunato, ha evidenziato la Corte di merito, sono avvalorate anche da altre emergenze processuali (accertamenti di polizia giudiziaria, dichiarazioni del nipote della vittima).
Sotto questo profilo, l'art. 2 d.lgs 81/08 nel definire la persona del «lavoratore», precisa che è tale colui che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato.
Pertanto, qualora sia accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o, anche di fatto, soggetti quali soci di società e di cooperative, che prestino la loro attività per conto della società e degli enti stessi, non occorre altro per ritenere obbligato ad attuare le misure di sicurezza il legale rappresentante della società o dell'ente [cfr. da ultimo Sez. 4, n. 27242 del 16/09/2020, Papini, Rv. 279536: "In tema di sicurezza sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni, ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, i soci delle cooperative sono equiparati ai lavoratori subordinati e la definizione di "datore di lavoro", riferendosi a chi ha la responsabilità della impresa o dell'unità produttiva, comprende anche il legale rappresentante di un'impresa cooperativa. (Conf. n. 3483 del 1996, Rv. 204973)].
Quanto al teste F.V., la Corte di merito, lungi dal trascurare il portato dichiarativo della testimonianza di questi, ha ritenuto che la stessa fosse non suscettibile di incrinare la ricostruzione offerta dal primo giudice. Attesa la qualifica di presidente della cooperativa rivestita dall'imputato egli non poteva ignorare il rapporto lavorativo di fatto instauratosi con il B.J. e l'attività a cui era stato adibito, avendo peraltro partecipato a tale attività (in un passaggio delle dichiarazioni rese dall'infortunato, acquisite agli atti del dibattimento e riportate nella motivazione della sentenza impugnata, il B.J. ebbe a riferire che "Il Presidente durante la giornata andava e veniva, dava una mano alla costruzione della casetta").
In conclusione, i giudici di merito hanno offerto adeguata motivazione, del tutto scevra dai vizi richiamati nel ricorso e rispondente ai principi stabiliti in questa sede in ordine ai criteri di individuazione della qualità datoriale rivestita dall'imputato e del rapporto lavorativo di fatto instauratosi tra la persona offesa e la società cooperativa.
3. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent . n. 186 del 13.6. 2000) .

 



P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua li e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso il 4 ottobre 2022