Cassazione Penale, Sez. 4, 08 novembre 2022, n. 42026 - Caduta mortale del titolare della ditta di fornitura ed installazione infissi a causa della rottura del pannello in cartongesso. Responsabilità dei proprietari dell'immobile


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 04/10/2022
 

 

Fatto

 


1. La Corte di appello di Caltanissetta il 20 settembre 2021 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dagli imputati, con cui il. Tribunale di Caltanissetta il 9 settembre 2020, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto A.F. e M.T.E.P. responsabili del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandoli, con le circostanze attenuanti generiche, alla pena stimata di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, alle parti civili, con assegnazione alle stesse di provvisionale.

2. I fatti, in estrema sintesi, come concordemente ricostruiti dai Giudici di merito.
Il 26 maggio 2014 è accaduto un infortunio mortale all'interno di un cantiere edile temporaneo, ,con necessaria presenza, anche non contemporanea, di più imprese, realizzato per la installazione di un mini-ascensore in un pre-esistente immobile a tre livelli: S.S., titolare dell'omonima ditta artigiana svolgente lavori di fornitura ed installazione di infissi, mentre si trovava in piedi sopra un pannello in cartongesso posto a copertura dell'apertura esistente nel solaio di un immobile in ristrutturazione, in corrispondenza della veranda esterna, con il proprio peso ha provocato la rottura del pannello ed è precipitato attraverso la sottostante apertura per circa 3,40 metri: il conseguente trauma cranico contusivo ne ha provocato il decesso.
Sono stati ritenuti responsabili dell'accaduto A.F. e M.T.E.P., in qualità di proprietari dell'immobile interessato dai lavori e committenti e al tempo stesso direttori/responsabili dei lavori, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e in violazione di plurime norme antinfortunistiche: per avere omesso di designare sia il coordinatore in fase di progettazione sia il coordinatore in fase di esecuzione, per non avere predisposto né il piano di sicurezza e coordinamento (acronimo: P.S.C.) né il piano operativo di sicurezza (P.O.S.) e per avere omesso di provvedere alla installazione di qualsiasi opera provvisionale rispetto al rischio di precipitazione dall'alto.

3. Ricorrono per la cassazione della sentenza entrambi gli imputati, tramite separati ricorsi curati da distinti Difensori di fiducia, affidandosi ciascuno a due motivi con i quali denunziano difetto di motivazione: si tratta di motivi comuni.
3.1. Con il primo motivo nell'interesse dei ricorrenti si lamenta manifesta illogicità della motivazione nella valutazione del trattamento sanzionatorio.

Premesso di avere con gli atti di appello censurato il mancato bilanciamento tra attenuanti eterogenee in ragione dell'erronea impostazione della decisione di primo grado, che tratta il reato contestato come figura autonoma, anziché come fattispecie aggravata dalla violazione della disciplina antinfortunistica, e dato atto che la Corte di appello ha spiegato come il Tribunale abbia solo "dimenticato" di citare l'aggravante, comunque considerata nel giudizio di prevalenza delle generiche in concreto operato, si sottopone a critica il trattamento sanzionatorio prescelto, che - si segnala - è quattro volte superiore al minimo edittale.
In particolare, la Corte di appello avrebbe trascurato di prendere in considerazione una pluralità di elementi pur descritti nella sentenza di primo grado e che giustificherebbero un trattamento sanzionatorio mite e cioè: avere immediatamente soccorso la vittima; essere seriamente dispiaciuti e provati per l'accaduto (come si legga alla p. 16 della decisione del Tribunale); la peculiarità del concreto contesto in cui sono svolti gli eventi («lavori in economia per una famiglia priva di risorse economiche per dotare - con immensi sacrifici - due figlie diversamente abili di un ascensore necessario alle loro esigenze»: così alla p. 2 di entrambi i ricorsi); non essere gli imputati gravati da precedenti penali.
A fronte di tali elementi, non disconosciuti dai Giudici, se ne contrappone un altro, che - si dice - non era stato evocato in primo grado, cioè avere violato la disciplina antinfortunistica, affermazione che si assume essere manifestamente illogica poiché «tale parametro deve essere valutato nell'ambito di un giudizio di bilanciamento, ma se cede alle generiche in un giudizio di minusvalenza non può essere nuovamente recuperato per giustificare un trattamento sanzionatorio 4 volte superiore al minimo edittale, con una sentenza motivata unicamente in direzione del contenimento della pena» (così alla p. 3 di entrambi i ricorsi).
In definitiva, ad avviso dei ricorrenti, la sanzione, che si assume essere eccessivamente afflittiva, di un anno e quattro mesi è derivata «in primo grado dalla mancata applicazione dell'art. 69 c.p., e in secondo grado dalla necessità di trovare un indice di gravità della pena (non rileva ovviamente la gravità del danno perché elemento costitutivo del reato) rinvenuto proprio nell'aggravante il cui potere afflittivo era stato eliso dal giudizio di bilanciamento operato per la prima volta in secondo grado» (così alla p. 3 dei ricorsi).
3.2. Oggetto del secondo motivo di doglianza, anche esso comune ai ricorrenti, è la ritenuta manifesta illogicità della motivazione nell'escludere rilevanza causale all'infarto subito dalla persona offesa, infarto che, poiché in effetti occorso, si ritiene precedente la caduta non già successivo ed essa, come emergerebbe dalle seguenti circostanze di fatto: la vittima non ha chiesto aiuto né gridato; non vi sono lesioni alle braccia o alle gambe da movimenti auto-protettivi ma soltanto al capo; non risultano tentativi di aggrapparsi. Né appare persuasiva la spiegazione che offre la Corte di merito secondo cui la vittima sarebbe caduta camminando all'indietro, poiché rimarrebbe inspiegata la mancanza di grida e non terrebbe conto che la vittima conosceva il luogo di lavoro e, comunque, avrebbe superato mattoni forati ed attrezzi da lavoro che delimitavano l'area; né si sarebbe tenuto conto che l'area ove è avvenuto l'infortunio non era interessata dai lavori che la vittima doveva svolgere.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.

4. Il P.G. della Corte di cassazione nella requisitoria scritta del 15 settembre 2022 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

5. I Difensori dei ricorrenti hanno presentato separate conclusioni scritte (il 23 settembre nell'interesse di A.F. ed il 26 settembre nell'interesse di M.T.E.P.), insistendo per l'accoglimento dei motivi di impugnazione.
 


Diritto

 


1. Premesso che il reato non è prescritto (fatto, 26 maggio 2014 + 15 anni = 26 maggio 2029, oltre alle sospensioni), i ricorsi sono manifestamente infondati, per le seguenti ragioni.

2. Quanto al primo motivo, in tema di trattamento sanzionatorio, esso, a ben vedere, non si confronta effettivamente con la motivazione della sentenza impugnata, che in maniera - sì - stringata ma non illogica né incongrua, spiega (alla p. 6) che la pena base è stata individuata in un valore (un anno e quattro mesi di reclusione) inferiore al medio edittale (forbice: sei mesi e cinque anni; medio edittale: due anni e nove mesi) e che il fatto è da ritenersi oggettivamente grave in ragione della pluralità di violazioni della normativa in tema di infortuni sul lavoro di cui gli imputati sono stati riconosciuti responsabili.
L'affermazione è peraltro in linea con il principio di diritto fissato da Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197, secondo cui «La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti, gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen.» (nello stesso senso v., già in precedenza, Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596; Sez. 6, n. 35346 del 12/ùG/2008, Bonarrigo e altri, Rv. 241189; Sez.. 1, n. 6677 del 05/05/1995, Brachet, Rv. 201537; in conformità, più recentemente, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro ed altri,, Rv. 271243; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, v. 276288).

3. In relazione all'ulteriore motivo (sulla causa alternativa di morte: la vittima sarebbe stata colta da infarti precedente a caduta, causativo della precipitazione nel vuoto), è sufficiente osservare come si tratta della mera reiterazione di una tesi sostenuta con l'atto di appello e già disattesa con regolamento non inadeguato, nè incongruo nè illogico dalla Corte territoriale (alle p. 4-6 della sentenza impugnata): risolvendosi, dunque, i reiterati motivi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti nell'impugnazione e già puntualmente disattesi dal Giudice di merito, essi devono considerarsi non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentativa avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. tra i numerosi precedenti in tal senso, Sez. 2, n. 42046 del 17.7.2019, Boutartour Sami, Rv. 277710). Si tratterebbe, in ogni caso, di una prospettazione meramente ipotetica e costruita in fatto.

4. Consegue la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in dispositivo, che si stima conforme a diritto ed equa, alla cassa delle ammende.
 


P.Q.M.


 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 04/10/2022