Categoria: Cassazione penale
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Responsabilità del titolare di una ditta di autotrasporti, dunque responsabile della sicurezza degli ambienti di lavoro, per colpa, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e nella violazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994: egli ometteva la manutenzione del cancello scorrevole in ferro posto all'ingresso del magazzino della ditta e per questo provocava al dipendente S.R. J. gravi lesioni in conseguenza della caduta, sulla persona dello stesso, del predetto cancello, fuoriuscito dal binario per il cedimento del perno che avrebbe dovuto bloccarlo - Non sussiste.

Ha ritenuto il tribunale che nessun profilo di colpa potesse riscontrarsi nella condotta dell'imputato, atteso che il fermo posto al termine della corsa del cancello era stato divelto dall'eccessiva velocità dello stesso, favorita dalle piogge che lo avevano reso più scorrevole; il fermo, peraltro, non era stato ben ancorato al basamento di cemento a causa della scarsa profondità dello stesso, non addebitabile all'imputato, affittuario del magazzino al quale il cancello dava accesso.
Su appello proposto dalla parte civile, la Corte d'Appello di Ancona, con sentenza dell'8 ottobre 2007, ha confermato la decisione del primo giudice.

Avverso tale sentenza propone ricorso, agli effetti civili, la parte civile, S.R.J. - Infondato.

"I giudici del merito hanno concordemente sostenuto che l'istruttoria dibattimentale non aveva consentito di individuare prova appagante della sussistenza, a carico dell'imputato, di specifici profili di colpa, non
essendo stato neanche possibile individuare, con la necessaria certezza, le cause dell'incidente del quale il S. è rimasto vittima.
Ciò anche alla stregua delle conclusioni cui è pervenuto l'ispettore dell'ASL, M.S., il quale, se da un lato ha accertato che l'infortunio era stato causato dalla caduta del cancello addosso all'operaio infortunato, dall'altro non è stato in grado di indicarne le cause, avendo, solo in via d'ipotesi, sostenuto che l'incidente potesse essere stato provocato dall'assenza del fermo di fine corsa, ovvero
dall'avulsione dello stesso dal suo alloggiamento proprio in occasione dell'apertura del cancello da parte dell'infortunato.
Il M., peraltro, ha conclusivamente affermato che la più probabile causa dell'incidente doveva rinvenirsi nella cattiva realizzazione, da parte dell'impresa costruttrice, del basamento in cemento sul quale era stato impiantato il fermo di fine corsa, costituito da un paletto in ferro, e di non avere rilevato infrazioni, da parte dell'imputato - locatario del magazzino al cui piazzale si accedeva attraverso il cancello in questione - di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, anche
perchè non era possibile accorgersi della maldestra realizzazione del fermo. "


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RIZZO Aldo Sebastiano - Presidente
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA


sul ricorso proposto da:
1) S.R.J. N. IL (OMISSIS);
nei confronti di:
SI.FA. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1239/2003 CORTE APPELLO di ANCONA, del 08/10/2007;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/10/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FOTI Giacomo;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IANNELLI che ha concluso per l'annullamento agli effetti civili della sentenza impugnata e restituzione degli atti al giudice di competente per l'appello;
udito, per la parte civile, avv. Naspi che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
Udito il difensore Avv. Bangelletti che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FattoDiritto


1- Con sentenza del 13 novembre 2002, il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Senigallia, ha assolto Si.Fa. dal delitto di cui all'art. 590 c.p., art. 583 c.p., comma 1, perchè il fatto non sussiste.

Secondo l'accusa, non condivisa dal tribunale, l'imputato, nella qualità di titolare di omonima ditta di autotrasporti, e dunque di responsabile della sicurezza degli ambienti di lavoro, per colpa, consistita in
imprudenza, negligenza ed imperizia e nella violazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, avendo omesso la manutenzione del cancello scorrevole in ferro posto all'ingresso del magazzino della ditta, aveva causato al dipendente S.R. J. gravi lesioni in conseguenza della caduta, sulla persona dello stesso, del predetto cancello, fuoriuscito dal binario per il cedimento del perno che avrebbe dovuto bloccarlo.
Ha ritenuto il tribunale che nessun profilo di colpa potesse riscontrarsi nella condotta dell'imputato, atteso che il fermo posto al termine della corsa del cancello era stato divelto dall'eccessiva velocità dello stesso, favorita dalle piogge che lo avevano reso più scorrevole; il fermo, peraltro, non era stato ben ancorato al basamento di cemento a causa della scarsa profondità dello stesso, non addebitabile all'imputato, affittuario del magazzino al quale il cancello dava accesso.

Su appello proposto dalla parte civile, la Corte d'Appello di Ancona, con sentenza dell'8 ottobre 2007, ha confermato la decisione del primo giudice, rigettando, in conseguenza, le richieste risarcitorie dalla stessa proposte.
La corte territoriale, richiamate le dichiarazioni testimoniali in atti, ha sostenuto che l'impossibilità di accertare quali fossero le reali condizioni del cancello al momento del fatto e le cause dell'incidente, non
poteva che determinare l'assoluzione dell'imputato.

Avverso tale sentenza propone ricorso, agli effetti civili, la parte civile, S.R.J., che deduce:
a) mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata e violazione di legge, essendosi, a suo giudizio, la corte territoriale limitata ad una stringata motivazione "per relationem", attraverso il richiamo della sentenza del tribunale e dei giudizi in essa espressi, recepiti in maniera apodittica e stereotipata, avendo anche omesso di considerare argomenti ed ipotesi alternative che andavano in direzione della tesi d'accusa;
b) ancora vizio di motivazione e violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 194 c.p.p., con riguardo alla ritenuta attendibilità dei testi A. e H., colleghi di lavoro del lavoratore infortunato, che
avevano reso dichiarazioni false e reticenti, e dell'ispettore ASL M., intervenuto sul posto dell'incidente con notevole ritardo, quando lo stato dei luoghi era stato ormai modificato, e che è giunto, a causa di ciò, ad errate conclusioni; la stessa corte, inoltre, non aveva preso in considerazione altre testimonianze, ritenute
dal ricorrente significative in tesi d'accusa;
c) vizio di motivazione e violazione di legge in tema di nesso di causalità, affrontato dalla corte territoriale, si sostiene nel ricorso, in maniera del tutto errata e addirittura incomprensibile.
Conclude, quindi, chiedendo l'accoglimento delle domande risarcitorie proposte.

2- Il ricorso è infondato.

I giudici del merito hanno concordemente sostenuto che l'istruttoria dibattimentale non aveva consentito di individuare prova appagante della sussistenza, a carico dell'imputato, di specifici profili di colpa, non
essendo stato neanche possibile individuare, con la necessaria certezza, le cause dell'incidente del quale il S. è rimasto vittima.
Ciò anche alla stregua delle conclusioni cui è pervenuto l'ispettore dell'ASL, M.S., il quale, se da un lato ha accertato che l'infortunio era stato causato dalla caduta del cancello addosso all'operaio infortunato, dall'altro non è stato in grado di indicarne le cause, avendo, solo in via d'ipotesi, sostenuto che l'incidente potesse essere stato provocato dall'assenza del fermo di fine corsa, ovvero
dall'avulsione dello stesso dal suo alloggiamento proprio in occasione dell'apertura del cancello da parte dell'infortunato.
Il M., peraltro, ha conclusivamente affermato che la più probabile causa dell'incidente doveva rinvenirsi nella cattiva realizzazione, da parte dell'impresa costruttrice, del basamento in cemento sul quale era stato impiantato il fermo di fine corsa, costituito da un paletto in ferro, e di non avere rilevato infrazioni, da parte dell'imputato - locatario del magazzino al cui piazzale si accedeva attraverso il cancello in questione - di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, anche perchè non era possibile accorgersi della maldestra realizzazione del fermo.
Conclusioni che gli stessi giudici del merito hanno ritenuto riscontrate dalle dichiarazioni rese dai testi escussi.
Orbene, a fronte di tali coerenti considerazioni, già esposte dal primo giudice e più sinteticamente riproposte dal giudice del gravame, il ricorrente altro non fa che sottoporre all'esame della Corte altre
ipotesi ricostruttive dell'infortunio che il giudice di secondo grado, sia pure in termini di particolare sinteticità, ha ritenuto non corroborate da sufficienti elementi di prova, avendo ancora ribadito che erano
rimaste incerte le cause dell'improvvisa fuoriuscita del cancello dal suo binario.
Lo stesso, ricorrente, d'altra parte, proprio perchè prospetta tre diverse ipotesi ricostruttive, dimostra di non avere alcuna certezza circa le cause dell'incidente.
A sostegno delle stesse, peraltro, egli propone argomentazioni di ordine logico o affermazioni apodittiche, non dati di fatto certi ed oggettivamente percepibili.
Così, egli sostiene:
a) che il cancello non era, al momento dell'incidente, dotato del dispositivo di fermo per fine corsa, in quanto già divelto alcuni giorni prima per via di lavori in corso (prima ipotesi), senza tuttavia indicare idonei elementi di riscontro di tale tesi;
b) che detto "fermo" era uscito dal suo alloggiamento alcuni giorni prima dell'incidente ed era stato solo appoggiato all'interno del relativo foro, senza essere cementato (seconda ipotesi), senza tuttavia
indicare idonei elementi probatori, essendo tale tesi basata sulle dichiarazioni di un unico teste il quale, peraltro, secondo quanto pare di capire dallo stesso ricorso, avrebbe solo sostenuto che il "fermo" sarebbe uscito dal suo alloggiamento alcuni giorni prima dell'incidente, non anche che lo stesso non era stato cementato, ma solo appoggiato all'interno del foro; c) che il Si. era certamente al corrente dell'inidoneità del dispositivo di blocco del cancello e non aveva provveduto ad eliminare il difetto (terza ipotesi), affermazione basata su discutibili argomenti di natura deduttiva, non su fatti concreti.
A fronte dell'evidente inconsistenza delle ipotesi alternative e delle conclusioni cui è pervenuto l'ispettore dell'ASL, correttamente i giudici del gravame hanno confermato la sentenza assolutoria del primo giudice, richiamando quanto emerso in sede di istruttoria dibattimentale e le incertezze del quadro probatorio acquisito.
Tale conclusione non può, peraltro, essere contrastata dalle altre diffuse argomentazioni contenute nel ricorso.
Così, del tutto ingiustificato, oltre che generico e contraddittorio, è il giudizio di falsità e reticenza espresso nel secondo motivo di ricorso nei confronti dei testi X.F., A. e M..
Quanto ai primi due, osserva la Corte che la circostanza che X. attualmente lavori e che A. abbia in passato lavorato alle dipendenze del S. non giustifica, di per sè, un tale drastico giudizio; quello espresso nei confronti dell' A. presenta, peraltro, profili di illogicità, laddove si consideri che l'unico concreto elemento probatorio indicato dal ricorrente a sostegno delle ipotesi dallo stesso formulate, e sopra richiamate, è rappresentato proprio dalle dichiarazioni dell' A. che poi la stessa parte civile ricorrente finisce con in ritenere false, reticenti e mendaci.
Ugualmente infondati ed ingiustificati sono i giudizi espressi nei confronti dell'ispettore M., il quale ha riferito quanto accertato nel corso del suo intervento, pur tardivo, e le cui conclusioni possono certamente
non essere condivise, ma non tacciate di falsità; mentre i riferimenti a presunti interventi del Si., diretti ad alterare lo stato dei luoghi, altro non sono, che sospetti che, alla stregua degli elementi probatori raccolti, devono ritenersi del tutto ingiustificati.
Le incertezze rilevate circa le cause dell'infortunio e le relative responsabilità, esimono la Corte dall'esaminare il terzo motivo di ricorso, incentrato sul tema del nesso causale in relazione ad
un'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per la verità non pienamente comprensibile, e tuttavia censurata nel ricorso in termini del tutto generici.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010